Due volti di Trump: il calcolo politico dietro mosse spregiudicate
I DUE TRUMP
Andrea Marcigliano
A mente fredda: l’america di oggi tra due volti di Trump. da un lato il leader spregiudicato, che impone dazi e sfida gli alleati; dall’altro l’abilissimo stratega politico, capace di parlare direttamente al suo popolo. un dualismo che ridisegna gli equilibri mondiali.
A mente fredda. Possiamo dire, e non senza ragioni, che vi sono due Trump. Naturalmente nella stessa persona, e, altrettanto ovviamente, collegati fra loro.
Epperò, dal nostro punto di vista, sono comunque due.
Vi è il Trump che ha parlato, pubblicamente, il giorno dell’insediamento. Dell’ingresso, questa volta veramente trionfale, alla Casa Bianca. E che ha affermato, con orgoglio, il primato dell’America. Della sua America. Quindi dell’industria statunitense, della sua economia…di un primato e una supremazia cui non intende rinunciare. E che, anzi, vuole riconquistare, perché in parte perduto.
È un Trump che si è limitato a pochi accenni alla politica estera. Senza, praticamente, mai nominare alleati e competitori. Un breve accenno alla liberazione degli ostaggi israeliani, e alla pacificazione del Medio Oriente, ma senza neppure nominare l’amico Netanyahu.
Un discorso tutto interno. E rivolto al popolo americano, che lo ha riportato nello Studio Ovale. Un discorso acceso, orgoglioso, per certi versi anche estremo. Nessuna concessione ai suoi predecessori, mai nominati. Eppure presenti. Lui, Trump, è stato eletto sotto le insegne repubblicane, ma è, palesemente, cosa diversa dai Bush. Che lo hanno osteggiato in ogni modo.
Un populista, ovvero un esponente di quella cultura politica che, per la prima volta, giunge a conquistare Washington.
E populismo significa, anche, una distanza siderale dalla mentalità di conventicole e pseudo-élite europee. Un’America profonda, che lavora e produce. Che vuole mantenere il primato o riconquistarlo. Distante, però, anni luce da un’Europa che non le interessa. Con la quale ha ben pochi punti di contatto. Forse ormai nessuno.
Sullo sfondo resta l’altro Trump. Quello che, appunto, non ha parlato di politica estera. Perché non era il momento, né il pubblico.
Però quel Trump esiste, e non va mai dimenticato.
Questo, ad esempio, spiega l’attenzione di Putin. Che, da lontano, ne saluta l’avvento. Cautamente, certo, perché la Russia sa bene che non è un “amico”. E, tuttavia, sa anche che con lui potrà dialogare.
Dialogo difficile, fra Potenze. Ma, comunque, dialogo. Che già fa intravedere qualche risultato. Nessun accenno da parte di Trump all’Ucraina. Come se non esistesse. E il rifiuto di incontrare Zelensky. Per il quale suona, ormai, campana a morto.
C’era, all’incoronazione di Trump, un cinese. Un vice Segretario di Xi Jinping. Osservatore attento e silenzioso. Apparentemente ignorato da Trump. Che, però, sa bene che con Pechino dovrà misurarsi a lungo. E questa presenza, questo invito, resta di per sé significativo.
La partita Washington/Pechino è agli inizi. Una fase di studio. Uno studio dal quale dipenderà se questa competizione resterà economica e di influenza. O finirà con il deflagrare in un conflitto.
Trump è, in fondo, un commerciante. Vuole il primato, ma preferirebbe evitare la guerra.
I cinesi restano impenetrabili. Attendono. Hanno pazienza. Il loro impero, non a caso, è plurimillenario.
E poi mancava completamente l’Europa. Assenza voluta da Trump, per significare ciò che la UE, e in prospettiva la stessa, vecchia, NATO, conta per lui. Poco, pochissimo. Praticamente nulla. Nella logica del Tycoon, la grande politica la fanno gli Imperi in competizione fra loro. Quindi Cina, Russia e, su tutti, la sua America. L’Europa conta poco. E non esiste, se non come mastodonte burocratico. Autoreferenziale e impotente.
Un’unica “europea” invitata. Giorgia Meloni, che sembra aver percepito il vento che tira. Ed essersi, rapidamente, accodata. Trump potrà usarla. L’indipendenza, o anche solo l’autonomia dell’Italia appartiene al mondo delle favole.
E Trump, in politica estera, accetta solo vassalli. Estremamente obbedienti.
