Ci risiamo. Ed era inevitabile
I MISSILI NEL GIARDINO
Verso l’equilibrio del terrore
Ci risiamo. Ed era inevitabile. Perché la storia, anzi le storie tendono a ripetersi. Con un percorso ciclico, e non lineare. Persino quel vecchio storicista impenitente di Marx, se ne era dovuto rendere conto.
E poi, chi studia la geopolitica sa che vi sono delle costanti geografiche che portano gli eventi a ripetersi. Con varianti, certo. E non in modo meccanico. Perché c’è pur sempre il fattore umano. Ed è questo ad essere determinante. Ad avere l’ultima parola.
Veniamo al dunque. Scarso rilievo sui nostri, al solito distratti e servili, Media, ma vi è un gran affaccendarsi diplomatico dalle parti dell’America Latina e, soprattutto, della regione mesoamericana. Caraibi e zone limitrofe.
Una grande attività della diplomazia russa. Che, inevitabilmente, sta recuperando le direttrici che un tempo erano di quella sovietica. Cercando di rinverdire vecchie amicizie, un po’ appassite nei decenni successivi al tracollo dell’URSS.
Appassite. Non morte o dimenticate.
Perché molti, anche se non tutti, i paesi latino-americani vivono con malcelata sofferenza il fatto di continuare ad essere il “giardino di casa” di Washington. E, inevitabilmente, cercano sponde internazionali che permettano loro di affrancarsi da una subalternità politica ed economica sempre più pesante.
Il colosso brasiliano, naturalmente, fa storia a sé. Ed è, ormai, un membro importante dei BRICS. Molto attivo nel sostenere la sostituzione del dollaro statunitense, come valuta di riferimento degli scambi internazionali, con un paniere di monete bilanciate fra loro. Una minaccia pesante, quasi mortale, per l’egemonia americana.
Ed è palese come i paesi della, vecchia, Unione Andina, in particolare Venezuela e Perù, guardino con estremo interesse alla tensione fra Mosca e Washington. Sperando di poter usufruire di un ombrello russo, per proteggersi dalle ingerenze dei poco amati “gringos’.
Ma, come dicevo, è in Mesoamerica e nei Caraibi che stanno maturando eventi importanti. E gravidi di pericolose conseguenze.
Il riavvicinamento tra Cuba e Russia è, ormai, cosa fatta. Nuove intese economiche, certo. Ma anche prospettive di una cooperazione strategica e militare.
È, soprattutto, il Nicaragua a preoccupare, però, il Pentagono. Visto che proprio in queste ore il suo Presidente Daniel Ortega – il vecchio leader Sandinista al potere, di fatto, dagli anni ’80 – ha annunciato che il Nicaragua ospiterà, presto, una base missilistica russa.
Annuncio clamoroso, visto che così i missili di Putin si troverebbero a pochi minuti, meno di tremila chilometri, da Washington.
Si viene, così, prefigurando uno scenario molto simile a quelli della, famosa, crisi di Cuba del 1962.
Quando, per reazione all’installazione di missili nucleari statunitensi in Turchia, quindi ai confini dell’URSS, Mosca rispose con la minaccia di piazzare i suoi nell’isola di Fidel Castro. (1)
E questa è la verità storica. Non la fiction dei film hollywoodiani.
Nel ’62, al Cremlino, c’era Kruscev. E nello Studio Ovale J.F. Kennedy. Due realisti. Che trovarono un accordo. Per altro entrambi pagando, in seguito, un prezzo alto. Kruscev defenestrato dal Comitato Centrale. J.F.K… beh, tutti sanno come finì.
Comunque, ebbero il buon senso di fare marcia indietro. Evitando lo scontro nucleare. Altrimenti… non saremmo qui a parlarne.
Oggi la situazione si sta prefigurando molto simile. Tu piazzi basi missilistiche in Ucraina, e io ti rispondo con missili in Nicaragua e, forse, Cuba. Nel tuo giardino di casa.
Al Cremlino, oggi, c’è Vladimir Putin. Duro quanto volete, ma sicuramente realista. Preferirebbe evitare lo scontro frontale e, presumibilmente, finale. E fare come nel ’62. Un passo indietro da entrambe le parti.
Ma, nello Studio Ovale siede Joe Biden. E questo dovrebbe preoccuparci. Molto.
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