In questo articolo si parla di morti in guerra
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I MORTI DEL “RISORGIMENTO”
di Maurizio Ruggero
In questo articolo si parla di morti in guerra, in particolare si parla di pochi morti. È necessaria una precisazione. I morti non sono mai pochi, in nessuna guerra. Lo spirito dell’articolo è di fare un confronto relativo delle vittime, per valutare l’importanza e l’impatto degli eventi in cui sono stati coinvolti degli uomini che, sicuramente avrebbero preferito un alto modo di abbandonare i loro cari.
La Seconda guerra mondiale ha fatto circa 60 milioni di morti, la prima circa 17 milioni. In un passato più remoto le guerre napoleoniche hanno ucciso circa 5 milioni di persone, ma prima ancora si parla di quasi 4 milioni per la guerra dei Trent’anni.
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Per portare la Pax Romana ai Galli, che erano circa 4 milioni, Giulio Cesare ne uccise circa un milione e un altro milione fu ridotto in schiavitù, si evince che la Pax Romana è stata goduta da un Gallo superstite su due. Ma prima ancora a Canne morirono 75.000 soldati romani. Nella selva di Teutoburgo 18.000. Vicino a casa nostra, la sconosciuta Battaglia di Creazzo nel 1513, tra gli imperiali e i Veneziani, lasciò sul campo 4000 morti. È considerata una battaglia minore, una scaramuccia.
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Fatta questa doverosa premessa per inquadrare in termini relativi le cifre, le vittime patite dal cosiddetto Risorgimento, assommano a 6.262 (1), considerate tutte le battaglie combattute dai piemontesi e garibaldini nelle tre guerre del 1848-49, del 1859-60 e del 1866, che furono in realtà guerre civili fra italiani, promosse da chi voleva distruggere l’Italia tradizionale e cattolica, per imporle una camicia di forza centralista e di taglio liberal-massonico, come poi avvenne. Operazione spregiudicata, condotta per liquidare la presenza “straniera” in Italia, con l’appoggio determinante però di altre Potenze straniere, liberali e/o protestanti, come la Francia di Napoleone III e l’Inghilterra, contro l’Impero d’Austria cattolico.
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A proposito di truppe “straniere”, va poi ricordato che furono ben 500mila i lombardo-veneti che militarono nell’esercito imperiale dal 1814 al 1866; e interi Reggimenti erano costituiti di soli Lombardi o Veneti. Anche un odierno fautore dell’unità risorgimentale conferma i calcoli di Salvemini: “I caduti delle forze armate regolari e volontarie «italiane» nelle guerre del Risorgimento dal 1848 al 1870 furono 6mila”.
Peraltro la tesi di questo autore è che il divario economico del Mezzogiorno dal resto d’Italia, sostanzialmente ancora appaiati al tempo dei Borbone di Napoli, sia da imputare al cosiddetto brigantaggio e non alle cause che lo determinarono ovvero all’invasione, senza neppure dichiarazione di guerra, di un Regno pacifico e prospero; alla conseguente guerra civile scatenata dall’invasore (oltre 50mila garibaldini e 33mila piemontesi); alla conseguente occupazione in armi e allo sfruttamento economico; alla feroce repressione scatenata dai sabaudi. 117mila soldati, i 2/3 degli effettivi dell’intero esercito italiano, cui si aggiunsero altrettante, se non più, Guardie Nazionali, furono mandati a reprimere 80mila uomini datisi alla macchia e raggruppati in oltre 400 bande armate, impegnate nella disperata difesa del loro territorio.
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A fronte di questo, solo nel mezzogiorno, ci furono non meno di 250mila morti, tra briganti combattenti, fucilati e prigionieri, e circa 500mila condannati. Paesi distrutti, stupri e violenze inaudite, processi e fucilazioni sommarie.
«Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di briganti. »
(Antonio Gramsci). (non parlava del fascismo ma del Risorgimento. NdA).
Di lì a poco un esodo biblico di emigranti avrebbe spopolato interi paesi del Sud, quando invece sotto i Borbone c’era pane e lavoro per tutti. Infatti nel 1861 il divario economico a sfavore del Sud era minimo: 1.950 euro era infatti il PIL (prodotto interno lordo) pro capite nel Centro-Nord della Penisola; 1.860 quello al Sud e nelle isole; mentre ancora nel 1871 la Campania e la Sicilia erano rispettivamente al quinto e al settimo posto fra le Regioni più industrializzate d’Italia, laddove nel 2012 erano rispettivamente precipitate al penultimo e al terz’ultimo posto.
Concludiamo questa prima parte con la considerazione che i morti causati dal Risorgimento, tra i popoli liberati, furono 50 volte di più dei morti dei cosiddetti liberatori, i quali, a loro volta, furono un numero troppo esiguo per parlare di fenomeno nazionale e di volontà inarrestabile di unità. Sembra più opportuno parlare, come sopra accennato, di un movimento elitario, mosso da interessi estranei e stranieri, di cui la nascente Italia era solo una pedina.
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Chi ha fatto questi calcoli, in epoca assolutamente non sospetta, circa cento anni fa, è stato Gaetano Salvemini nel suo lavoro “Le Guerre del Risorgimento” pubblicato su “La voce Politica anno VII numero 5 del 7 luglio 1915. Qualche esempio ripreso dallo stesso Salvemini. Nelle due battaglie di Custoza, fra i nazionalisti risorgimentali vi furono 270 morti nel 1848 e 736 nel 1866; a Novara, nel 1849: 578 rimasti sul campo; a San Martino della Battaglia (Bs), nel 1859: 761; in tutta la campagna garibaldina del 1860 contro il Reame delle Due Sicilie: 68 morti; alla battaglia del Volturno, nel 1860: 506 periti; a Castelfidardo (An), nel 1860, contro i Pontifici: 61 vittime; a Lissa, nel 1866, contro la Marina austro-veneta: 620 morti; a Mentana (Roma), nel 1867, contro i franco-pontifici, i garibaldini contarono 150 caduti
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