”Una giornata di festa, di allegria, il matrimonio di un’amica Lorena a Menaggio, tanti ricordi. Sulla motonave Plinio che la riporta a casa, una macabra scoperta: un morto nella toilette. Delma Pugliese, maresciallo maggiore del Comando Stazione Carabinieri di Lecco deve indagare, con un certo disagio, in abiti poco consoni per quella imprevista circostanza.
UN DELITTO LACUSTRE
Racconto
di
Riccardo Alberto Quattrini
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Aveva cercato di entrare in bagno, quando la motonave traghetto Plinio IV si era staccata dal molo diretta a Bellagio. La difficoltà di accesso aveva richiesto l’intervento di un marinaio. Questi, dopo una certa insistenza, era riuscito solo ad aprire una piccola porzione della porta. La donna, solo a quel punto, si era qualificata:
«Sono il maresciallo Delma Pugliese», disse toccandolo appena sulla spalla. Questi si voltò e la osservò con uno sguardo dubbioso. «Sì, sì, non è la divisa d’ordinanza», e fece scorrere una mano lungo il tailleur blu scuro, come a rilevarne l’incongruenza. «Sono stata a un matrimonio. Si sposti ora» concluse autoritaria.
Già, il matrimonio della sua amica Lorena. Un matrimonio sfarzoso, d’altronde lo sposo è di una nota casata tedesca, i Weber. Quelli delle industrie pesanti. Walter è il suo nome. Tanto potente la casata che era riuscita a farsi assegnare Villa Mylius Vigoni per il ricevimento, costruita sulle balze del lago di Como nel 1829 da Enrico Mylius, un facoltoso commerciante nativo di Francoforte, per il figlio Giulio e la sua promessa sposa Luigia Vitali, aristocratica fanciulla milanese. L’enorme parco all’inglese che, finita la cerimonia, Lorena aveva voluto attraversare con lei per ricordare i giorni più belli della loro amicizia. Era ricco di memorie storico-artistiche, di essenze rare e di alberi secolari. Percorsero i sentieri ammirando gli scorci che all’improvviso si aprivano ai loro sguardi tra le folte chiome. Un luogo davvero incantevole.
Il giovane marinaio si rialzò, nuovamente lo sguardo si soffermò sulle scarpe nere con un bel tacco e su quelle gambe inguainate nel nylon scuro. Da una spalla scendevano due catenelle dorate che agganciavano una pochette nera. Delma si chinò e cercò, per quanto le permettesse quella piccola porzione di vista, di osservare quel corpo che giaceva a terra. Suggerì si dovesse cercare di raddrizzargli le gambe in modo da poter aprire la porta. Quell’accorgimento le consentì di creare lo spazio sufficiente per entrare.
«Lei stia lì, e non faccia entrare nessuno.»
Il maresciallo cavò dalla pochette i guanti bianchi usati al matrimonio dell’amica, se li infilò ed entrò facendo attenzione a non lasciare impronte. La toilette era quella tipica delle motonavi con il caratteristico odore di piscio e nafta. Un lavello con un cartello “Acqua non potabile”, il wc e un pavimento fatto di ferro a grate strette, dove non esisteva alcuna possibilità di ottenere impronte digitali. Delma se ne stava sulle punte per evitare che i tacchi s’infilassero nelle grate. Si mise a esaminare il cadavere, perché di questo si trattava. Era un uomo sui cinquant’anni. Il corpo era rannicchiato in posizione fetale. Indossava una camicia bianca e pantaloni blu. Gli occhi erano spalancati, immobili in quello sguardo vacuo, senza vita, le labbra cianotiche. Il collo presentava un unico solco di una profondità omogenea, ed erano evidenti segni di emorragie sottocutanee, dimostrazione che era stata usata una grossa corda o un filo di ferro. Viso e collo erano violacei, segno dell’accumulo di emoglobina. Ipostasi precoci diffuse e abbondanti, rigidità cadaverica allo stadio iniziale. La camicia era aperta, molti bottoni erano stati strappati, e ora giacevano oltre le griglie di ferro. Sulla schiena segni scuri poco sopra il canale sacrale, come se gli fosse stato posato un ginocchio con forza per meglio far presa sul collo. Forse l’assassino gli era piombato alle spalle all’improvviso. Le mani erano ben curate, non presentavano escoriazioni, sotto le unghie si evidenziavano dei frammenti di pelle; segno che aveva cercato di liberarsi dalla presa ma era riuscito solo a graffiare le braccia del suo aggressore.
Bene, pensò Pugliese, i RIS da quei frammenti potranno risalire con facilità al DNA dell’assassino. Il corpo dell’uomo era ancora caldo, il rigor mortis non sopraggiunge che dopo due, tre ore, non era morto da molto dunque. Il suo fiuto di carabiniere le diceva che l’assassino non era lontano, forse ancora su quel battello. Al primo approdo se la sarebbe svignata facendo perdere le sue tracce. Frugò le tasche del cadavere alla ricerca di documenti. Trovò un mazzo di chiavi appeso a un passante tramite un moschettone. Frugò ancora: strano, nessuna chiave d’auto. Nella tasca posteriore recuperò un portafoglio gonfio di soldi. Carte di credito, patente e carta d’identità. Non si trattava dunque di una semplice rapina finita male.
Stava per alzarsi, quando il suo sguardo cadde su qualcosa che era dietro il wc, incastrato tra le grate di ferro. Si avvicinò e con due dita tirò l’estremità che sporgeva dalla grata. Era un orologio, un Rolex Daytona acciaio e oro, roba da nove, diecimila euro. Lo osservò. Aveva il vetro scheggiato, per una probabile botta, ma funzionava ancora, segnava le diciassette e trentotto. Osservò il polso sinistro, la striscia di pelle più chiara lasciata dal bracciale, diceva che quell’orologio gli apparteneva. Si alzò con uno scrocchio delle ginocchia e uscì.
«A che ora avete ormeggiato?», chiese al marinaio.
«Siamo arrivati a Menaggio alle 16.40.»
«E ripartiti?»
«Alle 16.49 per Bellagio.»
Quindi, pensò, potrebbe essere stato ucciso quasi subito, appena hanno attraccato, e l’assassino essere disceso subito e allora sarà più difficile rintracciarlo, o è ancora sul battello, questo renderebbe la cosa più facile.
«Hai per caso notato qualcuno che, dopo essere salito, e ridisceso in tutta fretta?» Il marinaio scosse la testa.
Un uomo, stretto in una divisa di una taglia più piccola della sua, segno che era ingrassato, si avvicinò.
«Sono Bruno Lombardi, il comandante. Cos’è successo, e lei chi è?», chiese con gli occhi azzurri socchiusi per via del riverbero del sole.
«Maresciallo maggiore Delma Pugliese.»
Il comandante guardò la bella donna che lo sovrastava di un buon palmo, mora, con i capelli neri raccolti, due occhi scuri espressivi, e quell’abbigliamento così poco consono, ma seducente, e si mise sull’attenti portandosi istintivamente la mano alla visiera.
«Che cosa è successo?»
«C’è stato un omicidio», rispose diretta il maresciallo.
«Un omicidio?!», disse stupito e guardò il suo sottoposto che annuì. «Che devo fare? Mi dica.»
«Per ora non lasci avvicinare, né tantomeno entrare nessuno», disse indicando la toilette.
«Se vuole, possiamo chiuderlo.»
«Bene. Allora lo faccia subito.»
Il comandante annuì.
«Hai sentito Primo», disse rivolgendosi al marinaio, «chiudi il cesso.»
Stava per andarsene, quando fu nuovamente richiamato dal maresciallo.
«Lei ora sta puntando su quale scalo?»
«Bellagio», rispose aggiustandosi il berretto.
«Ecco, appunto. Lo deve saltare. Punti diretto a Bellano.»
«Ma… non posso. C’è gente che lì deve scendere. Ci sono le macchine… A Bellano non c’è il pontile per il Ferry. Come faccio, maresciallo», disse quasi pregandola.
Delma Pugliese aprì la pochette ed estrasse un paio d’occhiali da sole neri, che indossò aggiungendo alla sua figura, un’aria d’eleganza.
«Mi dispiace, ma c’è stato un omicidio. Nel frattempo identificherò tutte le persone presenti sul battello. Poi farò convergere magistrato, medico legale e Scientifica a Bellano. È la procedura.»
«Dovrò avvertire la capitaneria.»
«Lei faccia ciò che deve fare. Altrettanto farò io.»
Il comandate girò sui tacchi e si avviò, ma la Pugliese lo fermò di nuovo con una domanda: «Quanto equipaggio c’è a bordo?»
«Siamo in sette. Oltre a me ci sono il vicecomandante, il motorista, il suo vice e tre persone di coperta. Vuole i nomi?»
«Dopo. E quante persone si sono imbarcate?»
«Questo lo sa lui», e indicò il giovane marinaio.
«Venti, no, ventuno con lei. Nove autovetture e un furgone.»
«Molto bene. Comandante mi dovrebbe procurare un blocco notes, una penna e un sacchetto di plastica. Poi dovrà fare un comunicato per convocare tutti i passeggeri. Quale è, secondo lei, il posto più adeguato?»
«La sala bar.»
«Bene. Si accerti che ci siano tutti. Mi raccomando.»
«Anche l’equipaggio?»
«Quello per ultimo. Ora vada.»
Bruno Lombardi gli ordini li aveva sempre dati, anche in casa era abituato a comandare: moglie, figli e suocera. Soprattutto quest’ultima, che voleva mettere becco dappertutto. Di fronte a quella donna, la cui bellezza lo metteva a disagio, non era capace di reagire come aveva sempre fatto. Va bene che era un maresciallo, cercò di giustificarsi, ma sempre sull’attenti lo metteva.
«Ah, comandante. Le sequestro il giovane…», disse e fece schioccare le dita per rammentarle il nome.
«Primo Moretti», disse il marinaio. Certo, pensò Delma, non è come sentirsi rispondere: Bond, James Bond, ma fa lo stesso.
«È tutto», concluse con un gesto di congedo.
Il comandante si portò la mano alla visiera, si voltò, non prima d’averle dato un ultimo sguardo, come a volerla memorizzare e portarla con sé nella sala comando.
«Sono davvero il suo assistente?», domandò Primo sfregandosi le mani. Quando mai gli era capitata una cosa simile; dopo il diploma raggiunto a fatica, era stato assunto dalla Compagnia Laghi. quando era salito su quei battelli, era solo un avanti e indietro lungo quello specchio d’acqua. Sì, certo, all’inizio apprezzava la sensazione di libertà, ma dopo un po’, come tutte le cose, quella sensazione era sfumata lasciando il posto alla routine.
«Dunque Primo, tu ora mi annoti tutti i numeri di targa. Va bene? E non dimenticarti di chiudere il…»
«Cesso.»
«Ah, Primo. Quella è la mia», e indicò un’auto sul ponte.
«Lo so, l’abbiamo notata subito quando è scesa», disse, per poi arrossire. Delma sorrise mentre entrava in uno dei due corridoi laterali. Guardò le montagne che si tuffavano a picco, quasi impietose, nel lago. In cima sono selvagge e spoglie e giù in basso, invece, punteggiate di paesini, giardini, locali, pensioncine, tutto così fantastico, pieno d’incanto, di ricchezza e di storia.
«Sono Pugliese.»
«Maresciallo comandi. Sono Deodato», rispose la voce all’altro capo del telefono.
«Ah, Deodato. Bravo. So che vorresti sapere del matrimonio, ci sarà tempo più tardi. Ora c’è un problema. Un cadavere.»
«Un cadavere? E dove?»
«Sul battello che mi trasportava a casa. Ascolta, allerta il medico legale e i RIS, falli convergere a Bellano. Il sostituto lo chiamo io. Nel frattempo prendo a tutti le generalità. Poi mi fai un accertamento su questo tizio che si chiama Quarto Pisano. Voglio sapere ogni cosa: vita morte e pure miracoli, se ne faceva. Mi raccomando Deodato», e riagganciò.
Un marinaio bussò discretamente al vetro sporco della porta. Delma gli fece un cenno con la mano. Così vestita incuteva più soggezione di quando indossava la divisa.
Il giovane senza dire nulla le porse un blocco quadrettato dove erano agganciate una penna e una busta di plastica trasparente.
«Tu sei?»
«Sono Corti», disse mostrando i denti bianchi che spiccavano sul viso abbronzato. «Corti Lino», precisò.
«Bene Lino, puoi andare ora.» Il giovane annuì e accennò un saluto militare.
Chiamò la procura, con un’assoluta consapevolezza, e la visione di chi avrebbe risposto.
«Sono il dottor Calabrò», disse una voce nasale.
«Buongiorno dottor Calabrò. Sono Pugliese… sì, tutto bene grazie. La mia amica si è sposata… Sì, come da copione tutto è finito con la solita grande abbuffata. No… Vanno solamente tre giorni a Venezia, lui ha impegni di lavoro… Sì, esatto, lei è quella della pubblicità, una bella ragazza, concordo con lei… come? No, la prego, non esageri… va bene anch’io potrei fare pubblicità. Dottore!» Disse imperativa «Se permette la interrompo perché la telefonata è alquanto importante. Si tratta di lavoro. Tornavo dal matrimonio e sono salita sul traghetto per Bellano… come? Sì, sono andata in macchina, ma per fare prima ho preso il traghetto, è più comodo. Sarei scesa a Varenna e sarei rientrata a Lecco. In bagno, invece, ho trovato un cadavere… Dottore, se le dico cadavere, significa che è morto! Aveva con sé i documenti. Come? Vuole sapere come si chiamava? Aspetti», e cavò dal sacchetto i documenti della vittima. «Ecco. Si chiamava Quarto Pisano… sì, Quarto come un quarto, come? Sì, anche Quarto da dove partì Garibaldi. Pisano. Quarto Pisano. Abitava a Como, di professione antiquario. Ho chiesto un accertamento più approfondito naturalmente, voglio sapere chi era veramente quest’uomo. Come? Sì, medico e scientifica già avvertiti. Sì, terrò tutti sulla motonave fino al termine delle procedure. Non si preoccupi. Sì, lo so che mi stima molto. La ringrazio dottor Calabrò, allora l’aspetto a Bellano. Arrivederci.»
Chiuse la conversazione con un lungo sospiro. Mio Dio, è peggio di una sanguisuga, che dico, di una zecca – pensò rinfilandosi gli occhiali da sole. Il sostituto, dottor Fidenziano Calabrò, quando lei aveva assunto il comando della Compagnia Carabinieri di Lecco, era letteralmente rimasto a bocca aperta. Si era presentata in divisa, perfettamente stirata, fregi e cinturone lucidati. Maresciallo maggiore Delma Pugliese, esordì stando sull’attenti nel riquadro della porta. Lui era scivolato dalla sua ampia poltrona di pelle e le aveva stretto la mano in modo militaresco, come a dimostrarle che era lui che dava gli ordini. Aveva un riportino che gli copriva il cranio rossiccio, come la faccia puntellata di lentiggini, le sopracciglia rosse e cespugliose si muovevano a ogni frase. Indossava spesse lenti tonde che gli ingrandivano gli occhi sporgenti. Insomma, non era certo un bell’uomo, ciononostante ci provava con tutte. Inoltre aveva una lisca nel parlare, fastidiosissima oltre che ridicola.
Aprì la porta e uscì nuovamente sul ponte, mentre la voce gracchiante del comandante prorompeva dagli altoparlanti per invitare i passeggeri nella sala bar per un comunicato importante.
«Ecco», disse Primo porgendole un foglio.
«Bravo. Qui sono riportate tutte le targhe?»
Annuì. «Ricordi quante persone sono salite senza auto?»
Primo sollevò il cappello e si passò le cinque dita sui capelli neri e crespi.
«Quattro, mi sembra. Ma non ne sono sicuro», disse e se lo risistemò.
Uhm, pensò Delma, è salito a piedi, oppure chi l’ha ucciso s’è preso la chiave della macchina. Verificheremo. «Dobbiamo abbinare queste auto ai loro passeggeri. Tu ora li cerchi e poi mi riferisci quale auto non ha un proprietario. Hai capito?»
«Lei pensa che quello che sta…», e indicò col mento la porta del cesso.
«Bravo. Vedo che sei un giovane sveglio. Vai, ora», e gli restituì il foglio con le targhe delle auto.
«Quello chi è?», domandò vedendo un altro marinaio uscire da una porta.
«Quello è Filiberto. Filiberto Molteni.»
«E quell’altro? Ah, sì è Corti. Lino Corti.»
«È la tua fidanzata?», gli gridò il Molteni ridendo. Primo gli fece un gestaccio con la mano.
«Dove è la sala bar?», domandò Delma.
«Venga.»
La scala che immetteva al ponte superiore era ripida e stretta. Delma fece un paio di gradini, poi si fermò e gli fece cenno di precederla. Sarebbe stato facile, con quella gonna, mostrare ciò che non voleva. Anche l’altro marinaio era già pronto a precipitarsi ai piedi della scala. La sala era ampia e già ospitava un certo numero di persone, alcune sedute altre in piedi ma tutte, quando Delma Pugliese apparve, le puntarono gli occhi addosso.
«Buongiorno a tutti. Sono il maresciallo maggiore Delma Pugliese.» Un silenzio spense il chiacchiericcio che aleggiava poco prima.
«Che, i carabinieri ora hanno cambiato la divisa?», disse uno dei tre giovanotti seduti a un tavolino, con l’aria di muratori al rientro dal lavoro. Il più anziano, senz’altro il capomastro, fece partire uno scappellotto che lo colpì alla nuca.
«Non so se vi hanno informato, ma c’è stato un omicidio», a quella parola il vocio riprese.
«E dov’è successo?», domandò un uomo.
«In una delle toilette. Ora vi domanderò di mostrarmi i vostri documenti, devo procedere all’identificazione.»
«Ci prenderete anche le impronte digitali?», chiese ancora il giovane muratore. Evitò lo scappellotto solo perché abbassò in tempo la testa.
«Comincerò da voi», disse puntando il dito sul muratore e i suoi compagni. L’esuberante giovanotto perse il sorrisino che gli stirava le labbra. Le identificazioni arrivarono al termine con la collaborazione di Primo Moretti che, in bella calligrafia, aveva trascritto: nome, cognome, indirizzo, città, professione e autovettura. Più difficile era stato il riconoscimento dei quattro tedeschi con due bambini, ma quelli non figuravano nei pensieri della Pugliese.
«Sono tutti qui, dunque?», domandò alla fine quando Primo le consegnò i fogli sui quali aveva annotato le generalità. Il giovane marinaio annuì felice per quel momento di gloria, seduto accanto a un maresciallo maggiore. Pur non indossando una divisa, ma un abito elegante, era così lontana dallo stereotipo dell’autorità preposta all’ordine pubblico.
«Signori, vi ringrazio per la vostra pazienza e della gentile collaborazione», disse facendo sventolare i fogli.
«E ora che succederà?», domandò un signore non più giovane.
«Purtroppo la procedura sarà alquanto lunga. C’è stato un omicidio. Oltre alle vostre generalità mi serviranno anche le impronte digitali. E in questo momento non ho gli strumenti. Ho avvertito la scientifica che procederà quando attraccheremo a Bellano.»
«Ein Bellano?», chiese un signore in tedesco «Wir müssen Bellagio zu gehen!»
«Ja, ja. Aber wie Sie, sagte der Assistenz Haupt, es ein Verbrechen!», intervenne il giovane marinaio ricevendo uno sguardo d’approvazione dal maresciallo.
«Che cosa gli hai detto?», domandò per avere chiara la situazione.
«Semplicemente che c’è stato un delitto.»
«Bene. Ora spiega bene che non possiamo lasciare scendere nessuno finché non avremo preso tutte le impronte digitali. Vai!»
«Sie können nicht von der Fähre zu bekommen, bis sie Fingerabdrücke zu nehmen. Holen Sie sich das. Verstehen?» Tutto il gruppo di tedeschi, bambini compresi, annuì e si mise a sedere confabulando.
«E bravo Primo», approvò Pugliese dandogli una pacca sulla schiena. «Lo parli bene il tedesco.»
«Mia nonna è tedesca. La mia nonna materna che fa Grunwald. Klaudia Grunwald. E guai a non sottolineare la “k” di Klaudia. Si arrabbia.»
«Mi sei proprio stato di grande aiuto.»
Il giovane le fece un ampio sorriso e arrossì. Poi le indicò la targa di un’auto.
«È quella che non ha padrone?»
Annuì.
«Scendiamo e vediamo se riusciamo a entrarci.»
«Abbiamo un mago qua», disse mentre scendevano le scale per tornare sul ponte.
Delma si voltò: «Mago?»
«Apre qualunque serratura», disse Primo indicando il Corti. Ma poi si pentì subito di quella confidenza.
«Vieni un po’ qua, tu», lo chiamò il maresciallo.
«Comandi!» rispose con un saluto innaturale.
«Un attimo», gli intimò, udendo lo squillo del cellulare. «Sì? Ah Deodato. Dimmi… sì, dunque non faceva solamente l’antiquario. Come?», domandò mettendosi una mano sull’orecchio libero per coprire il suono di una sirena, partito da un battello poco lontano. «Un cravattaio… Sì, li chiamano così a Roma. Strozzini, insomma. Usurai. Come? Nemici, dici. Certo, chi fa questo mestiere di nemici ne ha una collezione. Bene Deodato. Un’ultima cosa, quando vieni, prendimi la divisa e tutto il resto. È nell’armadio… Se ti dico di prenderla, significa che te lo ordino, quindi puoi entrare nel mio ufficio. Sì, bene. Portati Cigolani. C’è Cigolani? Così guida la mia macchina quando attraccheranno a Varenna. Io torno con te. Ciao», e chiuse la comunicazione. «Troviamo quest’auto, allora», disse ai due marinai, affascinati dall’idea di essere coinvolti in un’indagine.
«Lo strozzino è quel tizio?», domandò curioso Primo indicando con il mento la latrina.
«Già», disse il maresciallo che si sentiva sempre più a disagio in quegli abiti non consoni al suo ruolo.
«Allora è stato ucciso da qualcuno che gli doveva dei soldi», aggiunse Corti.
«Sentite Starsky e Hutch, la finite di fare domande e vi date da fare?»
Primo Moretti, seguito da Corti Lino, passò in rassegna le auto sul ponte.
«Eccola», disse indicando una BMW nera. «È questa.»
Il maresciallo si avvicinò alla macchina. Pose le due mani a conca contro il finestrino e guardò all’interno. Provò ad aprirla. Chiusa.
«Fammi vedere un po’ quanto sei bravo», disse al Corti che non vedeva l’ora di dimostrarglielo. Cavò dalla tasca un temperino Svizzero e un piccolo cacciavite. Armeggiò un poco nella serratura e… click, aperta.
«Non voglio chiederti dove e come hai imparato», disse il maresciallo aprendo la portiera, non prima di essersi infilata i guanti. Un odore di fumo le invase le narici. Si sedette al posto di guida. Aprì il cassetto portaoggetti. C’erano tutti i documenti che indicavano come proprietario Quarto Pisano. Guardò nelle tasche laterali e in quelle dei due sedili. Nulla, se non stracci sporchi e fazzoletti usati, tutto materiale per la Scientifica. Un suono lungo di sirena annunciò che erano in prossimità di Bellano. Era il momento di interrogare tutto il personale.
«Dite al comandante di convocare tutto l’equipaggio sul ponte», ordinò.
Il battellotto era ritto sul pontile e attendeva che il battello attraccasse. Aveva il volto stupito di chi si stava chiedendo come mai un Ferry è arrivato lì, a Bellano. Una volta terminate le fasi di manovra, il comandante scese dalla cabina di comando e allineò sul ponte di coperta i suoi sottoposti, non prima d’aver annunciato che nessuno doveva scendere: ordine del maresciallo maggiore. Delma Pugliese guardò verso il fondo del pontile e vide l’Alfa ferma con, all’esterno, il brigadiere Didimo Deodato e l’appuntato Luca Cigolani sull’attenti. Delma gli fece un gesto col braccio. Deodato prese dal baule una grossa borsa e si mosse verso il battello. La gente ferma sul pontile non comprendeva bene cosa stesse succedendo, anche loro si chiedevano che ci facesse lì quel battello. Ma la curiosità ben presto li conquistò. Che ci faceva luna gazzella dei carabinieri? ì Che cosa era successo? E chi era quella donna tutta elegante sul ponte che gesticolava?
«Comandi, maresciallo maggiore», disse il brigadiere consegnandole il borsone.
«Grazie Deodato. Ero proprio stufa di quest’abbigliamento. Ma evita quel “maggiore” per favore, te l’ho detto mille volte.»
«Se mi permette signor maresciallo, è un abito che le dona molto.»
Lei si girò e fece un piccolo sorriso, una lusinga fa sempre piacere. Il brigadiere era arrossito. Quando uscì dalla cabina che il comandante le aveva messo a disposizione, tutti la guardarono in modo diverso. La divisa della Benemerita aveva sempre un suo fascino, ma indossata da una donna, seduceva al di là dell’immaginario, non disgiunto all’autorevolezza.
Tutto l’equipaggio era allineato, Delma Pugliese procedette seguita dal brigadiere munito di penna e blocco per appunti. Sapevano già cosa voleva da loro. Man mano che li passava in rassegna, li osservava a uno a uno prima di ricevere il documento d’identità. Il brigadiere cominciò ad annotare: Bruno Lombardi Comandante. Prospero Padovesi Vicecomandante. Primo Moretti marinaio semplice. Garavaglia Marco vice macchinista. Lino Corti marinaio semplice. Filiberto Molteni marinaio semplice.
«Ne conto sei», disse il maresciallo rivolto al comandante.
«Ora arriva. Non si sentiva tanto bene.»
«Eccomi, eccomi», disse una voce uscendo da una porta.
«Lei è?», chiese Deodato, pronto a scrivere il nome sul blocco.
«Sono Gioele Castiglione, capo macchinista», e si pulì le mani in uno straccio sudicio di grasso.
«Accidenti Gioele, attento a quando ammazzi tua moglie, se no le impronte te le trovano subito», disse ridendo Lino.
«Ah, ah. Che ridere», rispose Castiglione spalancando la bocca e tirandogli addosso lo straccio lercio. Una lama di sole s’infranse su una porta a vetri spalancata da un colpo di vento, e s’infilò nella bocca del macchinista, proprio come la lampada del riunito.
«Un momento», intervenne il maresciallo. «Primo, mi devi riaprire il… Deodato, hai la torcia con te?»
Guardò il Molteni che aveva smesso di masticare la gomma.
«Sputala», ordinò porgendogli il palmo guantato. Si guardò un attimo attorno. Vide un piccolo pezzo di ferro lungo quanto bastava. Lo raccolse e vi infilò la gomma. Tutti gli occhi erano puntati su di lei. Sembrava di assistere a una scena di CSI. «Vieni», disse infine a Moretti.
Entrò di nuovo nella toilette, ma stavolta sapeva dove e cosa cercare. Si chinò, accese la torcia e lo vide. Infilò il pezzo di ferro tra le grate, scartò i tre bottoni: quel piccolo pezzo bianco scheggiato era ciò che cercava. Allungò il ferro e zac! Preso.
«Gioele Castiglione, la dichiaro in arresto per l’uccisione del signor Quarto Pisano», dichiarò tenendo davanti al viso il pezzo di ferro con la gomma sulla punta, come un fioretto bonsai.
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Il sostituto, dottor Fidenziano Calabrò stava seduto al tavolino del Caffè Imbarcadero. Di fronte aveva la splendida vista del lago quasi al tramonto, la Mentiva rinfrescava l’aria. Sorseggiando un caffè freddo, di cui si diceva facesse largo uso, domandò al sottufficiale di spiegargli bene com’era giunta, in così breve tempo, alla soluzione di quel delitto. Non prima di palesarle quanto gli rincrescesse non averla vista con l’abito da cerimonia.
«Al momento non ci avevo fatto caso, sembravano solo dei bottoni staccatisi dalla camicia del Pisano durante la colluttazione e finiti dentro le grate. Che l’assassino fosse ancora sul battello, questo sì, l’avevo sempre pensato e sperato. Poteva mai prevedere che sarebbe salito a bordo un carabiniere?»
«Già», fece il sostituto bevendo l’ultimo sorso e guardandola attraverso le spesse lenti.
«Quando mi hanno informato dell’attività del Pisano, della seconda attività per la precisione, ho capito che di nemici quell’uomo ne doveva avere tanti.»
«Chi fa strozzinaggio finisce sempre male. Ne ho anch’io una buona casistica. Ma prego, prosegua.»
Che non fosse solito ascoltare i suoi sottoposti era una prassi ma in quell’occasione, con la vista mozzafiato del lago al tramonto e la vicinanza di una bella donna, seduto a sorseggiarsi un buon caffè freddo, valeva la pena di assaporare fino in fondo tutto il privilegio che quel pomeriggio gli regalava.
«Ecco. È stato un raggio di sole.»
«Una folgorazione», disse rapito Calabrò.
«Quasi. Per un attimo, quel raggio, ha illuminato la bocca spalancata del Castiglione. È in quel momento che ho notato l’incisivo spaccato. Ed è lì che ho capito cos’era quel pezzettino bianco scambiato per un bottone rotto. E poi c’era il Rolex con il vetro scheggiato.»
«Un Rolex?», domandò increspando la fronte e congiungendo le ciglia cespugliose.
«Del Pisano, che prima di essere strangolato con un fil di ferro o una corda, questo è ancora da stabilire, ha tentato una reazione. Così nell’agitarsi ha colpito con l’orologio proprio l’incisivo del suo assassino, prima che si slacciasse e finisse in un angolo. Inoltre avevo notato quel segno scuro nella camicia, in corrispondenza della schiena. Era l’impronta del ginocchio che Castiglione gli aveva appoggiato per soffocarlo meglio. Quell’alone veniva proprio dal suo pantalone sporco di grasso. Quando gli chiesi di mostrare le braccia, c’erano evidenti graffi, graffi che gli aveva inferto il Pisano. E poi i soldi trovati nel portafoglio della vittima, che escludevano la rapina. Per finire ho saputo che Gioele Castiglione, oltre a fare il macchinista sulle motonavi, era un frequentatore di case da gioco clandestine ed era pieno di debiti. Aveva perso la casa, sua e di sua madre che, povera donna, ha dovuto elemosinare l’assistenza al Pio Istituto Figli della Provvidenza di Dervio, e aveva chiesto un prestito di oltre 35.000 euro proprio al Pisano.»
«E quindi, quando l’ha visto salire sulla motonave ha pensato di eliminarlo per estinguere definitivamente il suo debito. Un gesto disperato, dunque», disse il sostituto passandosi una mano sul cranio rosso e spelacchiato.
«Il gesto disperato di un uomo con le spalle al muro, pronto a tutto», confermò alzandosi e infilandosi il berretto. «Ora la saluto. Domani avrà il rapporto completo.»
«Bene maresciallo. Le posso offrire qualcos’altro?», disse dopo che si era alzato e le aveva porto la mano piccola e sudaticcia.
Delma scosse la testa.
«Mi congratulo ancora con lei per aver risolto in così breve tempo il caso. Abbiamo risparmiato un’inutile perdita di tempo a tutte quelle persone.»
Il battellotto sciolse le cime e le gettò oltre la murata. Moretti e Corti le legarono alle bitte. Tre colpi di sirena annunciarono la partenza. La Plinio IV si allontanò lenta, diffondendo una scia rosseggiante, complice il sole che, lentamente, tramontava alle spalle dei monti di Groma e Bregnano.