Il relativismo culturale è la morte della verità

La morte e il taglialegna Jean-François Millet (1859) Ny Carlsberg Glyptotek, Copenaghen

IDEAZIONI DELLA MORTE


Se prendiamo il concetto di morte, come paradigma di analisi e di interpretazione della politica attuale – e delle sue manifestazioni concrete nella realtà condivisa – si comprende meglio l’impostazione ideologica di certe scelte culturali e sociali.

Il relativismo culturale – direttamente collegato al pensiero debole – è la morte della verità, perché negando l’idea stessa di certezza documentata, rifiuta ogni dottrina e ripudia ogni principio, privilegiando le interpretazioni personali e la chiacchiera opinionista, in una atmosfera di paradossale intolleranza verso qualunque precetto. Con esso finisce anche il confronto e il giudizio, fattori selettivi per definire il bene e il male, il vero e il falso, il giusto e l’errato.

Michael Wolgemut, Morte della Vergine (1480-1520) Olio su tavola Museo di Palazzo Venezia, Roma

La teologia dell’uguaglianza è la morte di ogni vocazione personale, annegando la realtà differenzialista in un magma inconsistente di individui simili e indefiniti, genericamente omologati, disarticolati da un proprio senso di appartenenza identificabile e dispersi in un calderone di gusti e di visioni del mondo. Con essa si chiude la minima possibilità di creativo rapporto tra diversità di opportunità e di intenti.

Il politicamente corretto, introdotto per tutelare le minoranze e combattere le discriminazioni – esattamente definito come neolingua – è la morte del pensiero libero, inteso come la lecita espressione delle proprie persuasioni e dei personali stati d’animo, aggravato da una pressante censura da parte dei commissari politici della nuova ortopedia moralistica. Con esso il pensiero critico è criminalizzato, e ogni dubbio, quando non è reato, diventa pericolosamente sospetto.

 

 

 

 

 

 

L’ideologia gender, con le sue varie infiltrazioni in ambito giuridico, biologico, medico, sociologico e linguistico, è la morte delle leggi di natura, con la sovversione di ogni dato di oggettività accusato di essere una manipolazione culturale e un equivoco rimaneggiamento dovuto alle contingenze storiche e a soprusi educativi da sradicare definitivamente. Con essa la valenza psichica – quando non è artatamente sovvertita – viene scomunicata e resa eretica.

L’apologia dei diritti – a buona ragione intesa come incremento alla gratificazione delle voglie – è la morte del desiderio, inteso nella sua più ampia accezione psicologica, ovvero di quel sentimento di insoddisfazione che è la molla del cambiamento interiore, della ricerca di nuove vie di realizzazione, della volontà perseguire un proprio particolare destino. Con essa, per il singolo significa ebete adattamento euforico, per la massa diventa una forma di incosciente assuefazione.

L’atmosfera di morte è ampiamente diffusa – della cultura, della scuola, della giustizia, della famiglia, della comunità e via via elencando – metastatizzando istituzioni, coscienze e mentalità. Ma sopra e intorno ad essa c’è la sorgente di questo clima malsano e funesto, che si insinua e pervade l’intera realtà, come il malvagio e astuto Forestaro di jungeriana memoria.

“La magistrale arte del Forestaro si dimostrava appunto nel somministrare il terrore a piccole dosi, accresciute a poco a poco, allo scopo di produrre una paralisi delle forze che gli si opponevano”. (Ernst Jünger, Sulle scogliere di marmo) f.d.b.

‘Scudo con testa di Medusa’. Michelangelo Merisi da Caravaggio. 1598 circa. Galleria degli Uffizi, Firenze

È il pensiero unico quale morte del conflitto dialettico che, tra le tesi e le antitesi dei diversi interlocutori, tende a raggiungere una sintesi concettuale che cerchi di soddisfare le differenti sfumature di convinzioni e di pareri. Esso non ammette alternative non solo pratiche, ma neppure ipotetiche. Pretende un riconoscimento totalizzante e un assoggettamento incondizionato. È come la testa della Medusa: è lì bisogna attaccare, è la parte da decapitare, evitando il suo sguardo ingannatore e paralizzante.

Adriano.Segatori

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Descrizione

Sotto il cielo terso della Marina vive un popolo che ha fatto tesoro della storia ed è arrivato a un felice equilibrio di organizzazione politica e sociale. Ma ai confini di questa contrada serena si addensano nubi cupe, sinistre. Annunciato da incerti messaggeri, il pericolo si insinua gradualmente, si fa reale e violento: i popoli barbari dei boschi circostanti riversano la loro volontà di potenza sull’armoniosa comunità, fomentano il disordine, minacciano il lavoro dell’uomo… In questo romanzo, pubblicato all’indomani della «notte dei cristalli», le autorità tedesche lessero un attacco all’ideologia del nazismo, ma al di là del fortissimo coinvolgimento nella vicenda politica dell’epoca, l’opera si fa portatrice di un valore più generale, e a essere rappresentata è tutta la storia dell’Occidente, minacciata dal male e dalla guerra.

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