”L’identità è un bisogno radicale dell’animo umano
IDENTITÀ, TRADIZIONE E NEGAZIONE
L’identità è un bisogno radicale dell’animo umano. Un bisogno naturale e culturale, personale e comunitario, su cui si fonda il riconoscimento di sé e il rispetto dell’altro; vale anche l’inverso. Non c’è dialogo che non avvenga tra identità differenti; chi pretende di dialogare mettendo da parte se non addirittura cancellando le identità, rende inutile e impossibile il dialogo; non può esistere infatti un dialogo tra identità neutre, intercambiabili.
L’epoca che stiamo vivendo è invece protesa a deprimere e vanificare le identità, a considerarle d’ostacolo alla pace e all’inclusione, residui tossici e contundenti di una chiusura al mondo. È un bombardamento dell’identità così vasto, costante e capillare; dall’alto, dall’interno e dal basso. Una cappa di obblighi, emergenze e disposizioni calata dall’alto, un’infiltrazione continua di modelli d’influenza ostili attraverso i media e le istituzioni, e un’affluenza massiccia di flussi migratori che producono alienazione, tensioni e disagio.
Il triplice attacco all’identità produce reazioni ostili di tre tipi principali: un rifugio introverso nel proprio habitat, un atteggiamento di rabbia e scontentezza verso l’esterno, una richiesta di protezione securitaria e insieme di rappresentazione identitaria. È quel che sta accadendo nel mondo, in Occidente, in Italia. Larga parte dei conflitti e del malessere che attraversano le società deriva dall’identità in pericolo, il mancato riconoscimento e rispetto di ciò che siamo, la desertificazione delle differenze, la vertigine del mondo globale e spaesato.
L’identità, tuttavia, non è inerte, solida come un macigno e inamovibile. L’identità entra nella storia, ed è comunque un essere nel divenire; il fluire dell’identità si chiama tradizione, che è un trasmettere in cui persistenza e duttilità cercano un punto di equilibrio. L’identità non presuppone un mondo immobile ma una società che sa mutare, ricordare, far tesoro dell’esperienza e del patrimonio ereditato ma anche affrontare le sfide del futuro. La tradizione non è immobilità o culto del passato ma continuità, procedere e tornare; e, mutatis mutandis, salvare quel che non merita di perire. Gioia delle cose durevoli.
L’avversario dell’identità e della tradizione non è dunque il progresso e l’avvenire, ma l’ideologia woke(1) contro la realtà, la storia e la natura; e dai suoi derivati, a partire dalla cosiddetta cancel culture. E’ in corso un’aggressione capillare e pervasiva di tutto ciò che costituisce l’habitat naturale e culturale, biologico e storico della nostra civiltà; il senso religioso, i legami comunitari, le appartenenze affettive, il sentire comune dei popoli.
Chi colse per primo, agli albori della nostra modernità, la negazione del reale e dello spirituale, mediante un attacco al sentire comune, alla famiglia, al senso religioso e al legame territoriale, fu Giambattista Vico, a cui ho dedicato di recente la prima biografia (Vico dei miracoli, Vita tormentata del più grande pensatore italiano, ed. Rizzoli).(2) Vico oppose al dominante razionalismo ateo, e poi illuminista, del suo tempo e alla “boria dei dotti”, il richiamo alla civiltà e a ciò che la connota: la memoria storica e il ricordo delle origini, la tradizione, il linguaggio, la poesia ma anche la famiglia, il sacro, l’amor patrio. In quella visione che connetteva anziché separare o porre in antitesi mito e scienza, storia e pensiero, filosofia e religione, fisica e metafisica, Vico difendeva l’identità come principio di realtà.
Prefigurava tre secoli fa, quel che poi sarebbe avvenuto, fino al rovesciamento della realtà, in base al quale, si denuncia la xenofobia, l’omofobia, l’islamofobia per non vedere la patriofobia, la teofobia e la famigliofobia, e più in generale l’odio e la vergogna per la propria civiltà e la sua storia, la sua vita, la sua natura e cultura. È una cancellazione sistematica e aggressiva di tutti i vasi sanguigni entro cui scorre la vita di un uomo; dalla famiglia alla natività e al ruolo genitoriale, dalla comunità cittadina alla comunità nazionale, dal lessico corrente ai simboli alle tradizioni in cui è nato e cresciuto agli stili di vita. In questo contesto degradato provate a immaginare dove possa finire la sua identità, l’identità di popolo e di sé persona. Ma poi quando allinei tutti questi fattori, quando metti insieme una demolizione dopo l’altra, ti accorgi che alla fine di te non resta niente, se non il dispositivo che ti fa dir di si, come una foca ammaestrata, per accedere al secondo gradino e poi al terzo, al quarto… O che ti punisce, ti priva di riconoscimento, se scegli una strada diversa. Resti spaesato, esacerbato, ma soprattutto disconnesso, perdi i contatti con le tue origini, la tua vita, il tuo mondo, vivi solo l’ebbrezza del transito. Perdi la libertà di essere te stesso nel miraggio di diventare tutto e il suo contrario, in una fluidità incessante; perdi la relazione col tuo ambiente, la dignità di quel che sei e le tue sicurezze. Perché l’identità non è una sorta di icona che riposa negli iperurani ma è la tua vita col calore di un’anima e dei suoi affetti, il fervore di un’intelligenza collegata alla realtà, la carne dei tuoi amori, il sangue della tua memoria e la rètina delle immagini che vi sono impresse e documentano la tua storia. Dell’identità ti accorgi solo quando è in pericolo, altrimenti ci vivi dentro senza accorgertene. Quando perdi l’identità perdi la familiarità con te stesso e la tua storia; e la familiarità col mondo e con la storia, sul piano dell’identità comunitaria. Diventi mutante in orbita e straniero in casa tua. L’identità è semplicemente quel che siamo, la nostra realtà di uomini, anima, mente e corpo.
Anche senza esserne pienamente consapevoli, i popoli chiedono di tutelare la propria identità: e sul piano pratico prima che culturale, passando naturalmente per gli interessi e i bisogni. Con l’identità insorge un’energia negata che scompagina le carte, i teoremi e gli assetti e riapre la storia all’imprevedibile avvenire.
Approfondimenti del Blog
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Sinossi
«Ma chi è quel cristiano secco e bassolino col bastone appuntito che attraversa ogni mattina Spaccanapoli? Se ne va sempre solo, cammina piano, sembra un poco scartellato, come dicono qui…» L’uomo dal fare modesto e dall’aspetto dimesso che nel 1730 – a sessantadue anni – percorre le vie di Napoli è in realtà uno dei più fulgidi e influenti pensatori del suo tempo, forse il più importante in assoluto: Giambattista Vico. Che ha appena dato alle stampe la seconda edizione, riveduta e ampliata, del suo capolavoro: La scienza nuova. Quell’anno e quell’opera lo consacreranno «alla posterità e alla notorietà, segnando l’inizio del suo periodo aureo». Un periodo, però, fin troppo breve, perché spesso il suo fondamentale contributo è stato frainteso o sminuito, tanto dai contemporanei quanto dai posteri. Eppure, dal Medioevo fino al Novecento, Vico «primeggia, precorre tempi e pensieri, lascia impronte destinate a fruttare e semina intuizioni che ciberanno pensieri e pensatori del futuro». Come ci ricorda Marcello Veneziani, egli si pone al crocevia della cultura mediterranea; «fonda il pensiero della storia, nutre la filosofia con la filologia, intuisce le origini favolose e poetiche dell’umanità, intreccia ragione e fantasia, tradizione e modernità, visione cristiana e visione classica della storia, disegna una teologia civile, risale alle fonti della religione e infine ritrova nelle vicende umane, storiche e mondane, la traccia di Dio e della Provvidenza». Con il piglio del cantastorie e la precisione dello storico, Veneziani ci racconta la vita tormentata di uno dei grandi filosofi della nostra tradizione. Tutto scorre come in un romanzo, ma ogni dettaglio è veritiero: la nascita e l’infanzia travagliata; il lavoro di precettore; i primi passi accademici; le incredibili vicissitudini familiari; i rapporti con la Chiesa, i reali e la nobiltà; le opere incomprese; la vecchiaia, la morte e la farsa dei funerali ripetuti; la gloria postuma. Vico dei miracoli è un libro inconsueto e avvincente, il quadro potente di un’epoca, di un pensiero originale e di un uomo grande e singolare.