”L’apparato militare-industriale ha fatto un ulteriore passo sulla strada della manipolazione umana
IL CERVELLO UMANO, ARMA SEMISEGRETA
DELL’OSPIZIO OCCIDENTE
Prima ci hanno decerebrato, denaturato, reso inoffensivi, docili animali umani da salotto incapaci di difendere se stessi, proteggere figli e famiglie, reagire ai soprusi. Adesso, messo alle strette dalla geopolitica multipolare, il canuto, sfiancato Occidente, il Grande Ospizio descritto da , sta elaborando un’arma tecnologica nuova di zecca per conservare una stanca egemonia, sottomettere i popoli al suo suprematismo, alla sua risibile democrazia dominata dal denaro, alla sua litania dei diritti. E’ il cervello umano, sì, proprio il contenuto delle nostre teste, sterilizzate da decenni di propaganda, programmazione neurolinguistica, esperimenti psico sociali.
L’apparato militare-industriale (i due termini sono simbiotici) ha fatto un ulteriore passo sulla strada della manipolazione umana, la via per trasformare l’antiquato homo sapiens in un cyberuomo sorvegliato da remoto, addirittura utilizzabile come arma. Eterogenesi dei fini per il povero omino occidentale, pacifista, tremebondo, impaurito, pazientemente programmato da generazioni. La Nato, l’apparato militare che difende quel che resta del dominio occidentale nel mondo, ha infatti aggiunto ai tradizionali ambiti della guerra – terra, mare, aria- e ai più moderni spazio e cyberspazio, un nuovo settore, il campo cognitivo.
Non si tratta solo di trasmettere determinate idee o comportamenti, come nella propaganda tradizionale e nelle operazioni psicologiche (psyop), ma di alterare la cognizione, influenzando il processo attraverso il quale arriviamo a idee, intuizioni, credenze, scelte e comportamenti. L’obiettivo non è l’esercito nemico, ma l’uomo comune, utilizzato come arma nelle battaglie.
“La guerra cognitiva è uno degli argomenti più discussi all’interno della NATO”, ha affermato il ricercatore François Du Cluzel. Lo scienziato militare francese è autore di un articolo di capitale importanza intitolato “Guerra cognitiva” per il think tank Nato Innovation Hub. La guerra cognitiva si sovrappone alla guerra dell’informazione, alla propaganda classica e alle operazioni psicologiche, penetrando in profondità nel cervello dei destinatari. In una guerra dell’informazione, si cerca di controllare il flusso di notizie. Le operazioni psicologiche implicano l’influenza di percezioni, credenze e comportamenti. L’obiettivo della guerra cognitiva è “armare tutti” e “l’obiettivo non è attaccare ciò che pensano gli individui, ma come pensano”. È una guerra contro la cognitività, il modo in cui il nostro cervello elabora le informazioni e le trasforma in conoscenza. Mira direttamente al cervello: consiste nell’hackerare l’individuo per programmarne il cervello.
Ovvia l’inquietudine di leggere – su una rivista di studi strategici della principale alleanza militare del mondo – concetti e obiettivi di questo tipo, che negano in radice la libertà individuale e la democrazia – totem e tabù d’Occidente – e vanno addirittura a intaccare la natura umana, la struttura antropologica e l’essenza dell’umano. I dottori Stranamore della Nato, per conseguire l’obiettivo di fare di ciascuno di noi un’arma, si rivolgono a tutti i campi di conoscenza più innovativi: psicologia, linguistica, neurobiologia, logica, sociologia, antropologia, scienze comportamentali, “e altro”. Questo oscuro “e altro” può significare qualsiasi esperimento sulla carne viva dell’essere umano concreto, un immenso potenziale di pericolo per la nostra vita, la nostra libertà, forse per la sopravvivenza stessa della specie homo sapiens.
Un’operazione gigantesca di architettura sociale che “parte sempre dalla comprensione dell’ambiente e del target; l’obiettivo è comprendere la psicologia della popolazione target”. Target nel linguaggio commerciale designa i potenziali acquirenti di un prodotto o i destinatari di un messaggio pubblicitario, ma significa obiettivo, bersaglio. Ce lo dicono con chiarezza: l’obiettivo siamo noi, proprio io e te.
La base rimangono le tecniche tradizionali di propaganda e disinformazione, migliorate dalla tecnologia attuale e dai progressi della conoscenza. “Ora il comportamento può essere previsto e calcolato a tal punto”, continua Du Cluzel, “che l’economia comportamentale guidata dall’intelligenza artificiale dovrebbe essere classificata come scienza dura piuttosto che scienza morbida.”. La distinzione non è di poco conto, giacché la differenziazione riguarda il rigore metodologico, l’esattezza e obiettività delle conoscenze e delle tecniche. In parole semplici, le scienze naturali sono considerate “dure”, mentre le scienze sociali (psicologia, sociologia, eccetera) vengono descritte come “morbide”. Il salto è compiuto: gli scienziati al servizio della tecnostruttura di potere ritengono di essere pervenuti a certezze, all’elaborazione di metodologie indiscutibili dai risultati certi, prevedibili, ripetibili su vasta scala. In corpore vili, il nostro.
Il ragionamento non fa una grinza: poiché quasi tutti sono attivi su Internet e sulle reti sociali, gli individui non sono più destinatari passivi della propaganda; con la tecnologia odierna, partecipano attivamente alla sua creazione e diffusione. La conoscenza su come manipolare questi processi “è facilmente armabile”. L’esempio è il caso Cambridge Analytica. Grazie ai dati forniti volontariamente a Facebook, vennero stilati precisi profili psicologici individuali, riguardanti una vasta popolazione di elettori. Normalmente, le informazioni sono utilizzate per veicolare annunci pubblicitari personalizzati, ma possono essere utilizzate per altri scopi, come manipolare le elezioni e determinarne l’esito. La guerra cognitiva “sfrutta le debolezze del cervello umano”, riconoscendo l’importanza delle emozioni nel guidare la cognizione. La cyberpsicologia, che studia l’interazione tra esseri umani, macchine e intelligenza artificiale rivestirà un ruolo sempre più importante.
Altre tecnologie sono le neuroscienze e le tecnologie NeuroS/T (Emerging Neurosciences and Technology, tecnologie e neuroscienze emergenti) oltreché le NBIC (nanotecnologie, biotecnologie, tecnologie dell’informazione, scienze cognitive), compresi gli sviluppi nell’ingegneria genetica. I NeuroS/T possono essere agenti farmacologici, accoppiamenti cervello-macchina, ma anche informazioni psicologicamente disturbanti. Influenzando il sistema nervoso attraverso la conoscenza o la tecnologia, si possono causare modifiche nella memoria, nella capacità di apprendimento, nei cicli del sonno, nell’autocontrollo, nell’umore, nell’auto-percezione, nella capacità di afferrare il processo decisionale, nella fiducia e nell’empatia, nella forma fisica e nel vigore. Du Cluzel scrive: “Il potenziale di NeuroS/T di creare insight e la capacità di influenzare la cognizione, le emozioni e il comportamento degli individui è di particolare interesse per i servizi di sicurezza e di intelligence, e per le iniziative militari e di guerra. “L’insight è la capacità di vedere dentro una situazione, o dentro sé stessi: la percezione chiara, l’intuizione di fatti esterni o interni.
La guerra centrata sui processi cognitivi individuali rappresenta un allontanamento radicale dalle forme tradizionali di guerra, che, almeno in linea di principio, cercavano di tenere fuori i civili. Nella guerra cognitiva, il cittadino è l’obiettivo (target) e il suo cervello il campo di battaglia. Cambia la natura della guerra, gli attori, la durata e il modo in cui la guerra viene combattuta.
Secondo Du Cluzel, ” la guerra cognitiva ha una portata universale, dall’individuo agli stati e alle multinazionali”. Non si vince più occupando il territorio o regolando i confini su una mappa, perché “l’esperienza ci insegna che mentre la guerra nel regno fisico può indebolire un esercito nemico, non raggiunge tutti gli obiettivi”. Con la guerra cognitiva, l’obiettivo finale cambia: “Qualunque sia la natura e lo scopo della guerra, alla fine si riduce a uno scontro tra gruppi che vogliono qualcosa di diverso, e la vittoria significa quindi la capacità di imporre il comportamento desiderato a un pubblico prescelto”. Si tratta dunque, di fatto, di operare una conversione ideologica e comportamentale nella popolazione target.
Il nemico non sono solo i civili nei territori occupati, ma anche gli stessi cittadini, che secondo la NATO sono facili bersagli per le operazioni cognitive nemiche. “L’ essere umano è l’anello debole. Questo deve essere riconosciuto per proteggere il capitale umano della NATO”. Poi giunge la franca confessione: “l’obiettivo della guerra cognitiva non è solo quello di danneggiare i soldati, ma anche le società. Questo modo di fare la guerra assomiglia a una guerra ombra e richiede il coinvolgimento di tutto il governo per combatterla”. La guerra può quindi essere combattuta con o senza i militari, ed è potenzialmente infinita, “perché per questo tipo di conflitto non si può concludere un trattato di pace, né firmare una resa”.
È evidente che dietro la guerra cognitiva è condotta una battaglia per il controllo del nostro cervello, ovvero delle idee, delle emozioni e dei sentimenti, architrave delle credenze e delle scelte concrete. Ciascuno di noi diventa un’arma, teleguidata da remoto o manipolata da chi esercita il controllo sulla cultura, la comunicazione, l’istruzione. Du Cluzel rileva che ” il cervello sarà il campo di battaglia del XXI secolo” e che gli esseri umani sono il territorio da conquistare. “
Come accade nelle società cariche di ipocrisia, tenta un’impossibile giustificazione etica. “L’essere umano è molto spesso la principale vulnerabilità e questo deve essere riconosciuto per proteggere il capitale umano della Nato, ma anche per poter sfruttare le vulnerabilità dei nostri avversari”. Tuttavia, il punto è l’ammissione esplicita che ” l’obiettivo della guerra cognitiva è danneggiare le società, non solo i militari “. Lo studio descrive questo fenomeno come l’armamento della scienza del cervello. Ma sembra ovvio che lo sviluppo della guerra cognitiva porterà a una militarizzazione della società umana, dalla psicologia, dalle relazioni sociali più intime alla mente stessa.
Questa militarizzazione onnicomprensiva si riflette nel tono paranoico del rapporto, che avverte di “una quinta colonna integrata, dove tutti, inconsapevolmente, si comportano secondo i piani di uno dei nostri concorrenti “. Ecco i veri complottisti! In altre parole, il documento mostra che la NATO vede la propria popolazione come una minaccia, potenziali cellule dormienti nemiche, quinte colonne che mettono in discussione la stabilità delle “democrazie liberali occidentali.”
Lo sviluppo di nuove forme di guerra ibrida arriva in un momento in cui le campagne militari prendono di mira le popolazioni nazionali a un livello senza precedenti. L’ Ottawa Times ha riferito che l’esercito canadese ha approfittato della pandemia per condurre una guerra dell’informazione contro la popolazione, testando tattiche di propaganda sui civili. Rapporti interni suggeriscono che questa notizia sfiora solo la superficie di un’ondata di nuove tecniche di guerra non convenzionali impiegate dalle forze armate occidentali in tutto il mondo. “La guerra cognitiva cerca di cambiare non solo ciò che le persone pensano, ma anche il modo in cui agiscono”, ha scritto il governo canadese in una dichiarazione ufficiale.
“Gli attacchi al campo cognitivo implicano l’integrazione di cibernetica, informazione/disinformazione, psicologia e capacità di ingegneria sociale. La guerra cognitiva posiziona la mente come uno spazio di battaglia e un dominio conteso. Il suo scopo è seminare dissonanza, innescare narrazioni contraddittorie, polarizzare l’opinione e radicalizzare i gruppi. La guerra cognitiva può indurre le persone ad agire in modi che possono sconvolgere o frammentare una società altrimenti coesa.” Sulla coesione delle società occidentali stendiamo un pietoso velo.
Per Du Cluzel la guerra cognitiva è l’arte di usare la tecnologia per alterare la cognizione degli obiettivi umani. Queste tecnologie “integrano i campi delle NBIC: nanotecnologie, biotecnologie, tecnologie dell’informazione e scienze cognitive. Il tutto forma una sorta di cocktail che consente di manipolare ulteriormente il cervello”. Il nuovo metodo di attacco “va ben oltre” la guerra dell’informazione o le operazioni psicologiche. ” La guerra cognitiva non è solo una lotta contro ciò che pensiamo, è una lotta contro il modo in cui pensiamo, e possiamo cambiare il modo in cui le persone pensano “.
È in gioco il controllo su come il nostro cervello elabora le informazioni e le trasforma in conoscenza. In altre parole, guerra cognitiva non è solo un altro nome per la guerra dell’informazione. È una guerra contro il nostro processore individuale, il cervello. Il ricercatore della NATO sottolinea che “questo è estremamente importante per noi militari ” perché ” ha il potenziale, sviluppando nuove armi e nuovi modi per danneggiare il cervello, per coinvolgere le neuroscienze e la tecnologia in molti approcci diversi per influenzare l’ecologia umana, poiché tutti sapete che è molto facile trasformare la tecnologia civile in tecnologia militare”.
Per quanto riguarda chi potrebbe essere l’obiettivo della guerra cognitiva, Du Cluzel conferma che riguarda tutti. “La guerra cognitiva ha una portata universale, a partire dall’individuo fino agli Stati e alle organizzazioni multinazionali. Il suo campo d’azione è globale e mira a prendere il controllo degli esseri umani”.
Se crediamo ancora alla favola bella della libertà, dei diritti umani, della democrazia, alla superiorità etica del modello liberal liberista occidentale, allora probabilmente la guerra cognitiva ci ha già raggiunto, manipolato e modificato nel profondo.
Roberto Pecchioli
Illustrazione copertina di Pérák fumettista ceco