”La débâcle suscitata dalle recenti dichiarazioni del ministro dell’interno Piantedosi
IL “FETICISMO DELLA PRIVACY” SECONDO REPUBBLICA
che sogna la tecnocrazia istituzionale
La débâcle suscitata dalle recenti dichiarazioni del ministro dell’interno Piantedosi, riguardanti l’estensione dell’utilizzo delle tecnologie di riconoscimento facciale nello svolgimento delle attività di pubblica sicurezza, ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica il tema della sempre più pervasiva sorveglianza digitale e quanto sia possibile (e lecito) per uno stato penetrare all’interno della sfera privata dei singoli cittadini in nome della prevenzione e del controllo dell’ordine pubblico.
Immancabile è stato l’intervento di Repubblica, ormai eletto a furor di popolo come l’organo di stampa più fastidiosamente allineato alla narrativa politica chic del momento, che sulle sue pagine il 6 maggio pubblica un articolo firmato da Andrea Monti intitolato “Il feticcio della privacy e le polemiche sul riconoscimento facciale”.
In sintesi, facendo appello all’usuale principio di autorità (dal sapore medievale) degli “addetti ai lavori” e alla presunta “robustezza” intrinseca del nostro sistema politico e giuridico, Monti liquida i dubbi legittimi
di una grossa fetta di popolazione preoccupata per la presenza sempre più invasiva degli apparati statali e para-statali all’interno della vita dei cittadini del nostro paese come una “mancanza di fiducia” nelle istituzioni. Non contento, procede in conclusione d’articolo a bollare le obiezioni dei sostenitori del diritto alla privacy come prodotti di un pensiero binario basato su convinzioni che hanno a che fare più con la fede in feticci ideologici che con la ragione.
Ora, chiunque con una media capacità di comprensione del testo può evidenziare le problematiche e contraddizioni negli argomenti esposti da Repubblica, ma giusto per non farci mancare nulla osserviamo quelle più salienti:
– Dire che il sostegno del diritto alla privacy è un atto di fede verso un feticcio è intellettualmente disonesto, quando dall’altra parte abbiamo l’esatto ribaltamento della stessa fede irrazionale, di cui vengono accusati i propri avversari, verso le istituzioni statali e gli organi di pubblica sicurezza. Lo scetticismo non è mai stato una fede, semmai una naturale preoccupazione per la Legge delle conseguenze involontarie, tanto ignorata quanto ferrea.
– L’idea che l’unico modo per garantire la sicurezza sia la prevenzione mediante un controllo diffuso e pervasivo della popolazione senza che vi siano abusi (o, ancora più ilare, che possano essere puniti) è un ingenuo delirio da tecnocrate che non tiene conto di centinaia di variabili sociali e psicologiche, come in tutte le più becere forme di pensiero positivista e autoritarismo utopico.
– Potenziare gli strumenti del cittadino per denunciare i sopracitati abusi è, allo stato attuale, solo dargli un megafono in apparenza più rumoroso, continuando a ignorarlo o a sbatterlo da una parte all’altra com’era prassi già prima.
– “Il problema è, evidentemente, reale, ma gestirlo invocando un principio di precauzione in nome del quale determinate attività devono essere vietate a priori perché qualcuno potrebbe abusarne è una scelta semplicemente sbagliata”. No, al contrario, proprio perché l’elemento di invasione nella sfera privata dell’individuo è così prominente, essere cauti non è sbagliato: è sacrosanto.
– Nell’articolo si evidenziano, giustamente, le problematiche e la fallacità del nostro sistema politico e giuridico, cadendo però subito in contraddizione e affermandone allo stesso tempo la robustezza e la “forte consapevolezza democratica” delle sue forze dell’ordine che porterebbero la macchina statale a non cedere a “derive autoritarie” che la politica contemporanea ama odiare in pubblico per poi applicarle nel momento in cui la gente è distratta.
Infine, se questo problema non è giuridico, come sostenuto dalla penna di Repubblica, bensì politico, allora stiamo discutendo di ideologia, alla faccia della razionalità. Se fosse una chiacchierina da bar ci starebbe anche. Qui però stiamo parlando di giustificare su una testata nazionale l’ennesimo tentativo dello stato di estendere i poteri di controllo esercitabili sulla popolazione dell’unico organo con il monopolio della violenza, in teoria supervisionato da molti ma nella pratica da quasi nessuno.
Allora mi permetta di riportarla alla cruda realtà: no, è una pessima idea. In qualunque modo la si voglia porre.
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