”Agatha Christie non andò mai a scuola, eppure è diventata la più grande scrittrice di gialli di tutti i tempi.
Nata il 15 settembre 1891 a Torquay (Gran Bretagna), figlia minore del matrimonio di Fred Miller (Miller è il suo vero cognome) e Clara Boehmer. Da bambina aveva un carattere timido e ritirato, e rifiutava le sue bambole per giocare con amici immaginari. Suo padre, che viveva affittando appartamenti, passava la giornata a giocare a carte e morì quando lei aveva 11 anni, lasciando la moglie e i figli in bancarotta Agatha crebbe dunque in una famiglia borghese e non avendo frequentato alcuna scuola, viene istruita dalla madre, Clara Boehmer, donna della buona società e nonché dalla nonna e dalle governanti di casa. Tornata da Parigi dopo aver tentato gli studi per diventare una cantante lirica, conosce Archibald Christie, colonnello della Royal Flying Corps, con cui si fidanza.
Nel 1920 le venne l’idea, lavorando in un ospedale, come assistente nel dispensario, a contatto con i veleni, per il suo primo romanzo giallo che vedeva come protagonista l’investigatore belga Hercule Poirot, “Poirot a Styles Court”.
Attraverso le avventure di quest’ultimo e dell’arzilla vecchietta Miss Marple fece la storia del genere “giallo/poliziesco”, influenzando generazioni di scrittori. Si misurò anche con il “romanzo rosa” pubblicando sei opere sotto lo pseudonimo di Mary Westmacott.
Ricordata per capolavori assoluti come Assassinio sull’Orient Express e “Dieci piccoli indiani”, è, dopo Shakespeare, la scrittrice inglese più tradotta di sempre e i suoi romanzi hanno ispirato numerose versioni cinematografiche.
Ecco a voi Hercule Poirot.
Doveva essere un ispettore per avere una buona conoscenza del crimine. Doveva essere anche meticoloso e molto ordinato, decisi, mentre mi affaccendavo a raccogliere una serie di oggetti che avevo seminato nella mia stanza. Un omino preciso, con la mania dell’ordine, della simmetria, e una netta propensione per le forme quadrate piuttosto che per quelle tonde. E poi molto intelligente, con il cervello pieno di piccole cellule di materia grigia… ah, che bella frase, non dovevo dimenticarla. Bisognava anche che avesse un nome importante, un nome che non sarebbe sfigurato nella famiglia Holmes. Già, perché loro quanto a nomi… Come si chiamava il fratello di Sherlock? Mycroft, nientemeno.
E se l’avessi chiamato Hercules? Hercules mi parve un ottimo nome per un omino così. Trovargli un cognome era più difficile. Non so assolutamente perché scelsi Poirot, se fu una folgorazione o se lo lessi su qualche giornale. Comunque mi parve buono, anche se non si legava bene con Hercules. E se fosse stato Hercule? Hercule Poirot… perfetto, grazie a Dio, era fatta.
Agatha Christie.
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Il furto di gioielli al Grand Metropolitan; Titolo originale: The Jewel Robbery at the Grand Metropolitan. Pubblicato per la prima volta con il titolo The Curious Disappearance of the Opalsen Pearls su «The Sketch» il 14 marzo 1923.è un racconto incluso in Poirot indaga, la prima raccolta di racconti di Agatha Christie con protagonista il piccolo e geniale investigatore belga Hercule Poirot, pubblicato per la prima volta nel Regno Unito nel 1924.
Trama.
Poirot e Hastings stanno soggiornando all’hotel Grand Metropolitan a Brighton, dove incontrano il signore e la signora Opalsen. Lui è un agente di borsa diventato ricco grazie al boom del petrolio, e la moglie grazie a questi soldi colleziona gioielli. Una sera, a cena, la signora Opalsen decide di mostrare a Poirot delle perle, così si reca in camera per andare a prenderle. Lì l’amara scoperta, le perle sono sparite. La coppia chiede a Poirot di occuparsi del furto. Nella stanza sono entrate solo due persone da quando le perle sono state viste per l’ultima volta – la cameriera personale della signora Opalsen, Celestine, e la cameriera dell’albergo. Celestine doveva restare nella stanza per tutto il tempo in cui la cameriera dell’albergo era dentro. Le due donne vengono interrogate ed entrambe negano tutto e si accusano l’un l’altra. La camera ne ha un’altra contigua, in cui dorme Celestine, ed una porta con il saliscendi che conduce nella stanza accanto. Le due cameriere si erano controllate a vista per tutto il tempo, tranne in due brevi momenti durati al massimo 15 secondi durante i quali Celestine è andata nella sua camera – tempo insufficiente per prendere il cofanetto dei gioielli dal cassetto, aprirlo, prendere i gioielli e rimettere a posto il cofanetto. Le due ragazze vengono perquisite, ma non viene trovato niente. Anche le camere vengono setacciate,e alla fine le perle vengono ritrovate nel materasso di Celestine. Il caso sembra dunque chiuso, ma Poirot comunica a Hastings che i gioielli ritrovati sono falsi. L’investigatore quindi interroga di nuovo la cameriera del Grand Metropolitan e il cameriere che si occupava della stanza del signor Opalsen e chiede loro se hanno mai visto un pezzetto di carta bianca che mostra ad entrambi. I due negano. Poirot si reca a Londra e il giorno dopo, tornato a Brighton, comunica a Hastings e agli Opalsen la risoluzione del caso e il ritrovamento delle vere perle. La cameriera e il cameriere, infatti, sono due ladri di gioielli – il trucco del pezzetto di carta era per ottenere le loro impronte da consegnare a Japp per un controllo. Il cameriere era dall’altra parte della porta con il saliscendi e la cameriera gli aveva passato il cofanetto la prima volta che Celestine era andata in camera sua. La seconda volta, la cameriera aveva rimesso a posto il cofanetto nel cassetto, i cui cardini erano stati spennellati con della cipria in modo che scorressero senza fare alcun rumore. Le perle vengono trovate addosso al cameriere, e restituite alla signora Opalsen.
Fonte: Wikipedia.
Il furto di gioielli al Grand Metropolitan
«Poirot,» dissi «un cambiamento d’aria vi farebbe bene.»
«Lo pensate, mon ami?»
«Ne sono sicuro.»
«Eh… eh?» disse il mio amico sorridendo. «Allora è tutto predisposto, vero?»
«Verrete?»
«Dove intendete portarmi?»
«A Brighton. Un mio amico della City mi ha dato un ottimo consiglio e… be’, ho denaro da spendere. Credo che un fine settimana al Grand Metropolitan farebbe a entrambi un mucchio di bene.»
«Grazie, accetto con molta riconoscenza. Siete buono a pensare a un vecchio come me. E un buon cuore vale tanto quanto tutte le piccole cellule grigie. Sì, sì, io stesso a volte rischio di dimenticarmene.»
L’implicazione sottintesa in quella frase non mi garbava molto. Ho l’impressione che a volte Poirot sia un po’ portato a sottovalutare le mie capacità mentali. Ma il suo piacere era così evidente che accantonai la mia leggera irritazione.
«Bene, allora è tutto a posto» mi affrettai a rispondergli.
Sabato sera cenammo al Grand Metropolitan in mezzo a gente gaia. Tutto il mondo sembrava essersi dato convegno a Brighton. Gli abiti erano meravigliosi e i gioielli – a volte portati più per esibizionismo che con buon gusto – erano stupendi.
«È uno spettacolo!» mormorò Poirot. «Qui gli arricchiti sono di casa, vero, Hastings?»
«Così si dice» risposi io. «Ma limitiamoci a sperare che non lo siano tutti.»
Poirot si guardò attorno con aria placida.
«Alla vista di tanti gioielli rimpiango di non aver dedicato il mio cervello al crimine invece che all’investigazione. Che magnifica occasione per un ladro in gamba! Osservate, Hastings, quella donna robusta accanto al pilastro; è praticamente coperta di gioielli.»
Seguii il suo sguardo.
«Ma è la signora Opalsen!» esclamai.
«La conoscete?»
«Non molto bene. Suo marito è un ricco agente di Borsa che ha fatto un sacco di soldi con il recente boom petrolifero.»
Dopo cena nell’atrio ci imbattemmo nei signori Opalsen e li presentai a Poirot. Chiacchierammo per qualche minuto e finimmo per prendere il caffè insieme.
Poirot ebbe parole di ammirazione per alcune delle gemme più costose che la signora esibiva sul vasto petto e lei si illuminò improvvisamente.
«È proprio un hobby per me, monsieur Poirot, io adoroi gioielli. Ed conosce questa mia debolezza e ogni volta che gli affari gli vanno bene mi regala un gioiello. Vi interessano le pietre preziose?»
«Di tanto in tanto ci ho avuto a che fare, madame. La mia professione mi ha messo in contatto con alcuni dei più famosi gioielli del mondo.»
Usando per discrezione degli pseudonimi, Poirot raccontò la storia di gioielli appartenenti a una casa regnante mentre la signora Opalsen lo ascoltava senza parole e con il fiato sospeso.
«Ecco!» esclamò mentre lui finiva. «Sembra proprio un romanzo! Sapete, io ho delle perle che hanno una storia. Sono ritenute tra le più belle del mondo: sono perfettamente uguali e di un colore meraviglioso. Devo proprio andare di sopra a prenderle!»
«Oh, madame», protestò Poirot «siete troppo amabile. Vi prego di non disturbarvi!»
«Desidero proprio mostrarvele!»
La pettoruta signora attraversò con passo piuttosto vivace l’atrio per raggiungere l’ascensore. Il marito, che stava chiacchierando con me, guardò Poirot con espressione incuriosita.
«Oh, le perle!» disse Opalsen con un sorriso soddisfatto. «Vale proprio la pena di vederle. E costano un bel po’, tra l’altro! Tuttavia è un buon investimento; potrei recuperare quello che ho pagato quando voglio, e forse anche di più. E può darsi che ci sia anche costretto, se le cose continuano ad andare come stanno andando ora. Nella City il denaro scarseggia. Tutte queste maledette tasse sui profitti di guerra!» Continuò a chiacchierare lanciandosi in spiegazioni tecniche che non ero in grado di capire.
Fu interrotto da un giovane cameriere che si avvicinò e gli mormorò qualcosa all’orecchio.
«Eh… come? Vengo subito. Non si è sentita male, vero? Scusatemi, signori.»
Si allontanò bruscamente. Poirot si appoggiò allo schienale e accese una delle sue piccole sigarette russe poi, con cura meticolosa, sistemò le tazze vuote di caffè in una fila ordinata e guardò raggiante il risultato.
Passarono diversi minuti ma gli Opalsen non si videro.
«Strano» osservai dopo un po’. «Mi chiedo quando torneranno.»
Poirot osservò le spirali di fumo che salivano, poi disse in tono pensoso:
«Non torneranno.»
«Perché?»
«Perché, amico mio, è successo qualcosa.»
«Che genere di cosa? Come lo sapete?» chiesi incuriosito.
Poirot sorrise.
«Qualche istante fa il direttore è uscito frettolosamente dal proprio ufficio ed è corso di sopra. Sembrava molto agitato. Il giovane cameriere sta chiacchierando animatamente con uno dei lift. Il campanello dell’ascensore è squillato tre volte, ma lui non ci ha fatto caso. Inoltre persino i camerieri sono distraits, e per distrarre un cameriere…» Poirot scosse il capo con aria decisa. «Dev’essere successo qualcosa di veramente importante. Ah, proprio come pensavo! Ecco la polizia!»
Due uomini erano appena entrati nell’atrio dell’albergo, uno era in divisa, l’altro in borghese. Si rivolsero a un cameriere e furono subito accompagnati di sopra. Qualche minuto dopo il giovane cameriere ridiscese e si avvicinò al tavolo dove eravamo seduti.
«Il signor Opalsen chiede se volete salire.»
Poirot scattò in piedi con agilità. Si sarebbe detto che aspettasse la convocazione. Lo seguii non meno prontamente.
L’appartamento degli Opalsen era al primo piano. Dopo aver bussato alla porta il cameriere si ritirò e ci fu detto di entrare. Ci trovammo davanti a una strana scena. Era la camera da letto della signora Opalsen; accasciata su una poltrona, la donna era in preda a un violento accesso di pianto. Era uno spettacolo straordinario perché le lacrime formavano grandi solchi nella cipria di cui la pelle era ricoperta. Il signor Opalsen camminava su e giù, visibilmente adirato. I due funzionari di polizia erano in piedi al centro della stanza e uno teneva in mano un blocco di appunti. Accanto al camino, spaventata da morire, c’era una cameriera dell’albergo, e all’altro capo della stanza una francese, ovviamente la cameriera personale della signora Opalsen, stava piangendo e torcendosi le mani con un’intensità dolorosa che gareggiava con quella della sua padrona.
Poirot entrò in mezzo a quel pandemonio, lindo e sorridente. Immediatamente, con un’energia sorprendente in una persona di quella mole, la signora Opalsen scattò dalla poltrona e gli si avvicinò.
«Ecco, Ed può dire quello che vuole, ma io credo nel destino, ci credo davvero. Era destino che incontrassi voi stasera e ho la sensazione che, se non riuscirete voi a recuperare le mie perle, nessuno ci riuscirà.»
«Vi prego, madame, calmatevi.» Poirot le picchiettò la mano con fare consolatorio. «Rassicuratevi, andrà tutto bene, Hercule Poirot vi aiuterà.»
Il signor Opalsen si rivolse all’ispettore di polizia.
«Non ci sono obiezioni al fatto che… io… abbia chiamato questo signore, vero?»
«Nessuna, signore» rispose l’altro con educazione ma con totale indifferenza. «Forse ora che vostra moglie si sente meglio ci racconterà come sono andate le cose.»
La signora Opalsen guardò Poirot con espressione di impotenza. Lui la riaccompagnò alla poltrona.
«Sedete, signora, e raccontateci tutta la storia senza agitarvi.»
La signora Opalsen si asciugò gli occhi con gesto deciso e cominciò a parlare.
«Dopo cena sono salita per prendere le mie perle perché volevo mostrarle a monsieur Poirot, qui presente. La cameriera e Célestine erano entrambe nella stanza come al solito…»
«Chiedo scusa, madame, ma che cosa intendete dire con “come al solito”?»
La signora Opalsen spiegò:
«Ho ordinato che nessuno entri in questa stanza a meno che non ci sia anche Célestine, la nostra cameriera. La cameriera dell’albergo rifà la stanza al mattino in presenza di Célestine e ritorna nel pomeriggio per preparare i letti, sempre nelle stesse condizioni; non entra mai nella stanza in altre occasioni.
«Bene, come stavo dicendo,» proseguì la signora Opalsen «sono salita, mi sono avvicinata a quel cassetto,» indicò il cassetto destro in basso della toilette «ho preso il mio portagioielli e l’ho aperto. Tutto sembrava in ordine, ma le perle non c’erano!»
L’ispettore era indaffarato a scrivere sul suo blocco di appunti. «Quando le avete viste l’ultima volta?» chiese.
«Quando sono scesa per la cena c’erano.»
«Ne siete sicura?»
«Sicurissima. Ero incerta se metterle o no. Ma alla fine ho deciso per gli smeraldi e le ho riposte di nuovo nel portagioielli.»
«Chi ha chiuso a chiave il portagioielli?»«Io. Tengo la chiave appesa a una catenina attorno al collo» e la sollevò per mostrarcela mentre parlava.
L’ispettore la esaminò e scrollò le spalle.
«Il ladro doveva avere un duplicato della chiave, non è difficile, la serratura è semplice. Che cosa avete fatto dopo aver chiuso a chiave il portagioielli?»
«L’ho rimesso nel cassetto in basso dove lo metto sempre.»
«Non avete chiuso a chiave il cassetto?»
«No, non lo faccio mai; la cameriera rimane nella stanza finché salgo io e quindi non ce n’è bisogno.»
Il viso dell’ispettore divenne più grigio.
«Volete dire che i gioielli c’erano quando siete scesa per cenare e che da quel momento la cameriera non ha mai lasciato la stanza?»
All’improvviso, come se per la prima volta l’orrore della situazione in cui si trovava le fosse apparso in tutta la sua chiarezza, Célestine emise un urlo lacerante e, avventandosi verso Poirot, gli riversò addosso un torrente di parole incoerenti.
Quell’allusione era infame! Lei sospettata di derubare madame! Era noto che la polizia era di una stupidità incredibile! Ma monsieur, che era francese…
«Belga» la interruppe Poirot, ma Célestine non fece caso alla correzione.
Monsieur non sarebbe restato lì a vedere come veniva falsamente accusata mentre l’infame cameriera dell’albergo se ne sarebbe andata libera. Non le era mai garbata quella donna sfrontata dal viso rosso, una ladra nata. Fin dall’inizio lei aveva detto che non era una donna onesta e l’aveva anche tenuta attentamente d’occhio quando rifaceva la stanza di madame! Che quegli idioti di poliziotti la perquisissero, e ci si sarebbe stupiti se non le avessero trovato addosso le perle di madame!
Sebbene quell’arringa fosse stata pronunciata in un francese veloce e virulento, Célestine l’aveva inframmezzata con dovizia di gesti e la cameriera era riuscita a capire perlomeno una parte del significato di quelle parole. Arrossì violentemente.
«Se questa straniera dice che io ho preso le perle è una bugia!» dichiarò con veemenza. «Non le ho mai neanche viste.»
«Perquisitela!» gridò l’altra. «Le troverete, ve lo dico io.»
«Sei una bugiarda, mi senti?» disse la cameriera dell’albergo avanzando verso l’altra. «Le hai rubate tu e vuoi dare la colpa a me. Ma come, se io ero entrata in questa stanza solo tre minuti prima che arrivasse la signora e tu te ne stavi seduta qui, come fai sempre, come un gatto che sorveglia il topo!»
L’ispettore guardò Célestine con aria inquisitoria.
«È vero? Non avete mai lasciato la stanza?»
«Non l’ho mai lasciata sola nella stanza,» ammise con riluttanza Célestine «anche se sono andata in camera mia passando da quella porta due volte, unaper prendere del filo e un’altra per prendere le forbici. Deve averlo fatto in quei momenti.»
«Ma se non sei stata via neanche un minuto!» ribatté irosamente la cameriera. «Sei schizzata fuori e rientrata subito. Vorrei proprio che la polizia mi perquisisse, non ho niente da temere io.»In quel momento si udì bussare alla porta. L’ispettore andò ad aprirla e si rischiarò in volto quando vide chi era.
«Oh!» esclamò. «Siamo fortunati. Avevo mandato a chiamare una delle nostre ispettrici ed è arrivata. Se non vi dispiace, potreste andare con lei nell’altra stanza.»
Guardò la cameriera, che varcò la soglia con la testa alta mentre l’ispettrice la seguiva da vicino.
La cameriera francese si era lasciata cadere singhiozzando su una poltrona. Poirot si guardava attorno nella stanza le cui caratteristiche principali ho esemplificato con uno schizzo.
«Dove conduce quella porta?» chiese indicando con un cenno del capo la porta accanto alla finestra.
«Nell’appartamento adiacente, credo» rispose l’ispettore. «È chiusa con il saliscendi da questa parte.»
Poirot, attraversata la stanza, si avvicinò alla porta, provò ad aprirla, poi ritrasse il saliscendi e riprovò di nuovo.
«E anche dall’altra parte» osservò. «Bene, e questa possiamo eliminarla.»
Si avvicinò alle finestre esaminandole una alla volta.
«E anche qui… niente, nemmeno un balcone.»
«Anche se ci fosse», disse spazientito l’ispettore «non vedo come questo potrebbe aiutarci, se la cameriera non ha mai lasciato la stanza.»
«Évidemment» disse Poirot, imperturbabile. «Visto che mademoiselle è sicura di non aver lasciato la stanza…»
Fu interrotto dalla ricomparsa della cameriera e dell’ispettrice di polizia.
«Niente» disse quest’ultima laconicamente.
«Vorrei ben vedere» disse in tono oltraggiato la cameriera. «E quella donnaccia francese dovrebbe vergognarsi di diffamare una ragazza onesta!»
«Suvvia, suvvia, ragazza mia, è tutto a posto» disse l’ispettore aprendo la porta. «Nessuno sospetta di voi. Andate pure a riprendere il vostro lavoro.»
La cameriera si voltò avviandosi malvolentieri.
«Perquisirete anche lei?» chiese indicando Célestine.
«Sì, sì!» L’ispettore le chiuse la porta in faccia e girò la chiave nella toppa.
Célestine seguì l’ispettrice nella stanzetta vicina e qualche minuto dopo ritornò: non le era stato trovato niente addosso.
Il volto dell’ispettore divenne molto severo.
«Temo che dovrò chiedervi lo stesso di venire con me, signorina.» Si rivolse alla signora Opalsen. «Mi dispiace, signora, ma tutte le prove puntano in quella direzione. Se non li ha addosso deve averli nascosti nella stanza.»
Célestine emise un urlo stridulo e si aggrappò al braccio di Poirot, che si chinò e le bisbigliò qualcosa all’orecchio. Lei lo guardò con espressione dubbiosa.
«Sì, sì, mon enfant, vi assicuro che è meglio non opporre resistenza.» Poi si rivolse all’ispettore: «Permettete, monsieur,un piccolo esperimento, puramente per mia soddisfazione?».
«Dipende da cosa si tratta» rispose il funzionario di polizia, che non voleva sbilanciarsi.
Poirot si rivolse ancora una volta a Célestine.
«Ci avete detto di essere andata in camera vostra a cercare del filo. Dove si trovava?»
«Sul ripiano della cassettiera, monsieur.»
«E le forbici?»
«Anche quelle erano lì.»
«Vi disturberei troppo, mademoiselle, se vi chiedessi di ripetere quei due movimenti? Eravate seduta qui a lavorare, avete detto?»
Célestine sedette e poi, a un cenno di Poirot, si alzò, passò nella stanza vicina, prese un oggetto dalla cassettiera e ritornò.
Poirot divideva la propria attenzione tra i movimenti della donna e un grande orologio a cipolla che teneva nel palmo della mano.
Ancora una volta, per favore, mademoiselle.»Quando la cameriera ebbe ripetuto i gesti la seconda volta, lui annotò qualcosa sulla sua agenda e rimise l’orologio in tasca.
«Grazie, mademoiselle, e grazie a voi, monsieur,» fece un cenno del capo all’ispettore «per la vostra cortesia.»
L’ispettore parve piuttosto divertito da quella eccessiva gentilezza. Célestine se ne andò in un mare di lacrime, accompagnata dall’ispettrice e dal funzionario in borghese.
Poi, dopo essersi brevemente scusato con la signora Opalsen, l’ispettore fece mettere a soqquadro tutta la stanza. Estrasse cassetti, aprì armadi, disfece completamente il letto e picchiò sul pavimento. Il signor Opalsen guardava la scena con aria scettica.
«Credete davvero che le ritroverete?»
«Sì, signore, è abbastanza logico pensarlo. Non ha avuto tempo di portarle fuori dalla stanza. Il fatto che la signora abbia scoperto il furto così presto ha sconvolto i suoi piani. No, devono essere qui. Una delle due cameriere deve averle nascoste… ed è assai improbabile che sia stata la cameriera dell’albergo.»
«Più che improbabile… è impossibile» affermò Poirot con calma.
«Come?» L’ispettore lo guardò con occhi spalancati.
Poirot sorrise con modestia.
«Vi darò una dimostrazione. Hastings, mio buon amico, prendete il mio orologio, con cura, è un’eredità di famiglia! Poco fa ho cronometrato i movimenti di mademoiselle; la prima assenza dalla stanza è durata dodici secondi, la seconda quindici. Ora osservate le mie azioni. Madamesarà così gentile da darmi la chiave del portagioielli. Grazie. Il mio amico Hastings avrà la gentilezza di dirmi “via”.»
«Via!» dissi.
Con velocità quasi incredibile Poirot tirò con forza il cassetto della toilette, estrasse il portagioie, inserì la chiave nella serratura, aprì il portagioie, prese un gioiello, chiuse a chiave il portagioie, lo rimise nel cassetto che richiuse. Il tutto con movimenti veloci come il fulmine.
«E allora, mon ami?» chiese con il fiato mozzo.
«Quarantasei secondi» risposi.
«Visto?» Si guardò attorno. «La cameriera non avrebbe nemmeno avuto il tempo di tirare fuori la collana, tantomeno di nasconderla.»
«E allora non ci resta che l’altra cameriera» disse l’ispettore con soddisfazione riprendendo la sua ricerca. Passò nella stanza della cameriera francese.
Poirot aveva un’espressione accigliata e pensosa. All’improvviso sparò una domanda al signor Opalsen.
«La collana… indubbiamente era assicurata, vero?»
«Sì,» rispose lui con una certa esitazione «lo era.»
«Ma che importanza ha?» interruppe la signora Opalsen in tono piagnucoloso. «È la mia collana che voglio, era unica. Nessuna cifra potrebbe mai consolarmi di non averla più.»
«Comprendo, madame» rispose Poirot in tono consolatorio. Comprendo perfettamente. Per la femme il sentimento è tutto, non è vero? Ma monsieur, che non ha una sensibilità altrettanto grande, troverà nel fatto una lieve consolazione.»
«Certo, certo» disse il signor Opalsen in tono piuttosto incerto. «Tuttavia…»
Fu interrotto da un urlo di trionfo dell’ispettore. Questi rientrò nella stanza facendo penzolare qualcosa tra le dita.
Con un grido la signora Opalsen si alzò dalla sedia. Era un’altra donna.
«Oh, oh, la mia collana!»
Se la portò al petto con entrambe le mani. Noi ci stringemmo attorno a lei.
«Dov’era?» chiese Opalsen.
«Nel letto della cameriera, tra le molle. Deve averla rubata e nascosta lì prima che la cameriera dell’albergo arrivasse.»
«Permettete, madame?» chiese con delicatezza Poirot e, dopo averle preso la collana dalle mani, la esaminò attentamente; poi gliela restituì con un inchino.
«Temo, madame, che dovrete consegnarcela, per il momento» disse l’ispettore. «Ne abbiamo bisogno per stendere l’accusa. Ma vi sarà restituita al più presto.»
Il signor Opalsen si accigliò.
«È necessario?»
«Temo di sì, signore, è una semplice formalità.»
«Oh, lascia che la prenda, Ed!» esclamò sua moglie. «Mi sentirò più sicura. Non riuscirei a chiudere occhio al pensiero che qualcun altro potrebbe cercare di impadronirsene. Quella disgraziata! Non l’avrei mai creduto possibile!»
«Su, su, mia cara, non prendertela così.»
Sentii una lieve pressione sul braccio. Era Poirot.
«Vogliamo filarcela, amico mio? I nostri servigi non sono più necessari.»
Tuttavia quando fummo fuori esitò e poi con mia grande sorpresa osservò:
«Mi piacerebbe vedere la stanza attigua.»
La porta non era chiusa a chiave e noi entrammo. La stanza, una grande camera doppia, non era occupata. Si vedeva che non era stata spolverata da un bel po’ e il mio sensibile amico fece una smorfia caratteristica mentre passava il dito su un segno rettangolare sopra un tavolo accanto alla finestra.
«Il service lascia a desiderare» osservò in tono asciutto.
Stava guardando pensoso fuori dalla finestra, in assorta meditazione.
«Allora?» chiesi io con impazienza. «Perché siamo venuti qui?»
Lui sobbalzò.
«Je vous demande pardon, mon ami, volevo vedere se la porta era veramente chiusa a chiave anche da questa parte.»
«Be’,» dissi dando un’occhiata alla porta comunicante con la stanza che avevamo appena lasciato «è chiusa a chiave.»
Poirot annuì. Sembrava ancora assorto nei suoi pensieri.
«E comunque» continuai io «che cosa importa? Il caso è chiuso. Vorrei che aveste avuto più possibilità di mettervi in luce. Ma si trattava di quel genere di caso che perfino un idiota come quell’ispettore poteva risolvere.»
Poirot scosse il capo.
«Il caso non è chiuso, amico mio. Non sarà chiuso fino a che non scopriremo chi ha rubato le perle.»
«Ma è stata la cameriera!»
«Perché dite questo?»
«Ma come!» balbettai. «Le hanno trovate… addirittura sotto il suo materasso.»
«Via, via» disse con impazienza Poirot. «Non erano quelle le perle.»
«Come?»
«Un’imitazione, mon ami.»
Quell’affermazione mi lasciò senza fiato. Poirot sorrideva placido.
«Il buon ispettore ovviamente non si intende affatto di gioielli. Ma tra un po’ ci sarà un bel trambusto!»
«Andiamo!» esclamai tirandolo per un braccio.
«Dove?»
«Dobbiamo dirlo subito agli Opalsen.»
«Non credo.»
«Ma quella povera donna…»
«Eh bien, quella povera donna, come voi la chiamate, passerà una notte più tranquilla pensando che il suo gioiello è al sicuro.»
«Ma il ladro potrebbe fuggire con le perle!»
«Come al solito, amico mio, parlate senza riflettere. Come fate a sapere che le perle messe al sicuro così attentamente dalla signora Opalsen non fosserole false e che il vero furto non abbia avuto luogo molto prima?»
«Oh!» dissi io, attonito.
«Proprio così» affermò Poirot, raggiante. «Ricominciamo da capo.»
Fece strada fuori dalla stanza, si fermò un momento come per riflettere, quindi percorse il corridoio fino in fondo fermandosi fuori dalla stanzetta in cui si riunivano cameriere e camerieri dei vari piani. Una cameriera in particolare, in quel momento, sembrava tenere banco in mezzo a un gruppetto e stava raccontando le sue ultime esperienze a un pubblico attento. Si fermò a metà di una frase mentre Poirot si chinava davanti a lei con la solita compitezza.
«Scusate se vi disturbo, ma vi sarò grato se vorrete aprirmi la porta della stanza del signor Opalsen.»
La donna si alzò di buon grado e la seguimmo di nuovo lungo il corridoio. La stanza del signor Opalsen era sull’altro lato e la porta era di fronte alla camera di sua moglie. La cameriera l’aprì con il passe-partout e noi entrammo.
Poirot la fermò prima che lei se ne andasse.
«Un momento, tra gli effetti del signor Opalsen avete visto un biglietto come questo?»
Le mostrò un cartoncino bianco molto lucido e di tipo poco comune. La cameriera lo prese e lo esaminò attentamente.
«No, signore, non posso dire di averlo visto, ma comunque è il cameriere che perlopiù ha a che fare con le camere dei clienti di sesso maschile.»
«Capisco. Grazie.»
Poirot riprese il biglietto e la donna se ne andò. Il mio amico parve riflettere per un po’, poi fece un brusco e breve cenno del capo.
«Per favore, Hastings, suonate il campanello, tre volte, per il cameriere.»
Obbedii, divorato dalla curiosità. Nel frattempo Poirot aveva svuotato per terra il cestino della carta straccia e stava rapidamente esaminandone il contenuto.
Di lì a poco il cameriere arrivò e Poirot gli pose la stessa domanda di prima dandogli da esaminare il biglietto. Ma la risposta fu la stessa. Il cameriere non aveva mai visto un biglietto di quel genere tra gli effetti del signor Opalsen. Poirot lo ringraziò e lui si ritirò, piuttosto malvolentieri, dopo aver dato un’occhiata incuriosita al cestino rovesciato e alla carta straccia che era per terra.
Era difficile che non avesse udito la pensosa osservazione di Poirot, che stava di nuovo rovistando in mezzo alle carte: «E la collana era assicurata per una forte cifra…».
«Poirot!» esclamai. «Capisco…»
«Non capite niente, amico mio» rispose lui subito. «Come al solito niente di niente. È incredibile… ma è così. Torniamo nelle nostre stanze.»
Lo facemmo in silenzio. Una volta in camera, con mia enorme sorpresa, Poirot si cambiò rapidamente.
«Stasera vado a Londra,» mi spiegò «è essenziale.»
«Come?»
«Assolutamente. Il vero lavoro, quello del cervello… Ah, quelle coraggiose piccole cellule grigie!… è stato fatto. Vado a cercare la conferma. E la troverò! È impossibile ingannare Hercule Poirot!»
«Un giorno o l’altro farete fiasco» osservai, piuttosto disgustato da quella sua vanità.
«Non arrabbiatevi, vi prego, mon ami. Conto su di voi perché mi facciate un piacere… sulla vostra amicizia.»
«Certo» risposi io subito, vergognandomi un po’ della mia suscettibilità. «Di che cosa si tratta?»
«La manica della giacca che ho tolto… vi dispiacerebbe spazzolarla? Vedete, c’è rimasta sopra un po’ di polverina bianca. Indubbiamente mi avrete visto passare il dito attorno al cassetto della toilette, vero?»
«No, non l’ho notato.»
«Dovreste badare a quello che faccio, amico mio. In tal modo mi sono messo la polvere sul dito e, dato che ero un po’ sovreccitato, me lo sono sfregato sulla manica; un’azione irrazionale che deploro… contraria a tutti i miei principi.»
«Ma che cos’era quella polvere?» chiesi, non particolarmente interessato ai principi di Poirot.
«Non era certo il veleno dei Borgia» ribatté lui ammiccando. «Vedo che la vostra immaginazione sta lavorando. Direi che si tratta di talco.»
«Talco?»
«Sì. I mobilieri lo usano per far scorrere agevolmente i cassetti.»
«Vecchia volpe, avevo pensato che steste elaborando qualcosa di molto eccitante!»
«Au revoir, amico mio, scappo. Volo!»
La porta si chiuse alle sue spalle. Con un sorriso in parte di derisione e in parte di affetto presi la giacca e tesi la mano per prendere la spazzola per i vestiti.
Il mattino dopo, non avendo avuto notizie di Poirot, uscii a fare una passeggiata, incontrai dei vecchi amici e pranzai al loro albergo. Nel pomeriggio andammo a fare un giro in macchina, una gommabucata ci fece ritardare e quando tornai al Grand Metropolitan erano le otto passate.
La prima cosa che mi si parò davanti agli occhi fu Poirot che, incastrato tra gli Opalsen, sembrava ancora più minuto del solito. Sul suo volto c’era un’espressione raggiante di placida soddisfazione.
«Hastings, mon ami!» esclamò, e balzò in piedi per venirmi incontro. «Abbracciatemi, amico mio, tutto è andato a meraviglia!»
Fortunatamente l’abbraccio fu solo accennato, cosa di cui con Poirot non si è mai sicuri.
«Volete dire…» cominciai io.
«Dico che è assolutamente meraviglioso!» interferì la signora Opalsen con un gran sorriso sul volto grasso. «Non ti avevo detto, Ed, che se non fosse riuscito lui a trovare le mie perle non ci sarebbe riuscito nessun altro?»
«L’hai detto, mia cara, l’hai detto e avevi ragione.»
Guardai con espressione di impotenza Poirot e lui mi restituì l’occhiata.
«Il mio amico inglese è in alto mare. Sedete e vi racconterò come è andata tutta questa faccenda che si è conclusa così felicemente.»
«Conclusa?»
«Ma sì, sono stati arrestati.»
«Chi è stato arrestato?»
«La cameriera e il cameriere dell’albergo, parbleu! Non avevate sospettato? Nemmeno quando prima di andarmene vi ho accennato al talco?»
«Avete detto che lo usano i mobilieri.»
«Certo… per far scivolare bene i cassetti. Qualcuno voleva che quel cassetto scivolasse fuori e dentro senza fare il minimo rumore. Di chi poteva trattarsi? Ovviamente solo della cameriera dell’albergo. Il piano era così ingegnoso che non è subito balzato agli occhi, neppure a quelli di Hercule Poirot.
«Ascoltate la dinamica dei fatti: il cameriere è nella stanza vuota vicina, in attesa. La cameriera francese lascia la stanza. Veloce come un fulmine la cameriera dell’albergo spalanca il cassetto, ne toglie il portagioielli e, dopo aver aperto il saliscendi, lo passa attraverso la porta. Il cameriere apre con tutta calma con il duplicato della chiave che si è procurato, toglie la collana e aspetta. Célestine di nuovo lascia la stanza e… pst!… in un lampo il portagioie viene ripassato di là e rimesso nel cassetto.
«Arriva madame e il furto è scoperto. La cameriera chiede di essere perquisita con virtuosa indignazione e lascia la stanza senza macchia. La collana fasulla che loro si sono procurati è stata nascosta nella mattinata dalla cameriera sotto ilmaterasso della cameriera francese: un colpo da maestri questo!»
«Ma perché siete andato a Londra?»
«Ricordate il biglietto da visita?»
«Certo. Mi ha lasciato perplesso e mi lascia tuttora… pensavo…»
Esitai con delicatezza, dando un’occhiata al signor Opalsen.
Poirot rise di gusto.
«Une blague a beneficio del cameriere. Il biglietto era un cartoncino con una superficie appositamente predisposta per le impronte digitali. Sono andato dritto filato a Scotland Yard, ho chiesto del nostro vecchio amico, l’ispettore Japp, e gli ho spiegato i fatti. Come avevo sospettato, è risultato che le impronte digitali erano quelle di due noti ladri di gioielli ricercati dalla polizia. Japp è tornato qui con me. I ladri sono stati arrestati e la collana è stata scoperta in possesso del cameriere. Una coppia astuta, Hastings, ma carente nel metodo. Vi ho già detto, Hastings, almeno trentasei volte, che senza metodo…»
«Almeno trentaseimila volte» lo interruppi. «Ma dove non ha funzionato il loro metodo?»
«Mon ami, è un ottimo piano assumere un posto di cameriere o cameriera, ma non bisogna fingere di lavorare. Non hanno spolverato una stanza vuota e di conseguenza, quando lui ha deposto il portagioielli sul tavolino accanto alla porta comunicante, questo oggetto ha lasciato una traccia di forma rettangolare…»
«Me la ricordo!» esclamai.
«Prima ero indeciso, poi… ho saputo!»
Seguì un momento di silenzio.
«E io ho riavuto le mie perle» disse la signora Opalsen come una specie di coro greco.
«Bene» dissi io. «Sarà meglio che vada a mangiare qualcosa.»
Poirot mi accompagnò.
«Questo dovrebbe significare gloria per voi» osservai io.
«Pas du tout» ribatté Poirot tranquillamente. «Japp e l’ispettore locale si divideranno il merito ma» si batté una mano sulla tasca «ho qui un assegno del signor Opalsen e… Come dite voi, amico mio? Questo fine settimana non è andato secondo i piani, vogliamo tornare qui la settimana prossima, questa volta a mie spese?»
Traduzione di Lydia Lax.
Foletti Massimiliano
5 Febbraio 2019 a 13:01
“Agatha Christie non andò mai a scuola”; e difatti un critico statunitense suo contemporaneo su uno quei “quotidiani – guida” non si peritò di affermare che scriveva male. Ancor oggi non sono sicuro che tutti concorderebbero coll’affermazione: “eppure è diventata la più grande scrittrice di gialli di tutti i tempi”. Nessun attacco, solo due lievi puntualizzazioni “storiche”.