”Nuota ancora negli oceani il “Megalodonte”? Questo poderoso squalo, il più grande predatore di tutti i tempi, è davvero sfuggito all’estinzione? L’esempio del Celacanto ripescato vivente nel 1938, nelle acque delle isole Comore.
“Provate a pensare a uno squalo bianco, lungo dai quindici ai diciotto metri, di circa venti tonnellate di peso. Riuscite a immaginare una cosa del genere? (…) A volte faccio anch’io fatica a invaginare un animale del genere, ma questo mostro è sicuramente esistito. La sola testa era probabilmente più grande di una jeep. Le sue mascelle avrebbero potuto inghiottire in un solo colpo quattro uomini. Per non parlare dei denti, che erano affilati come rasoi, lunghi venti centimetri e seghettati come un coltello da sub. (…) La prossima diapositiva, per favore. Ah, ecco il disegno di un sub alto un metro e ottanta di fianco a uno squalo bianco lungo cinque metri. Bene, il nostro”Carcharodon Megalodon” ne misura diciotto. Questo spiega perché i paleontologi sono tutti concordi nel sostenere che questo animale è stato il re dei predatori. (…) I denti fossilizzati di “megalodon”, che sono stato trovati un po’ dappertutto sul pianeta, provano che questa specie dominava gli oceani già settanta milioni di anni fa, se non prima. Ma quello che è veramente interessante, è come il “megalodon” sia sopravvissuto agli eventi catastrofici occorsi circa quaranta milioni di anni fa, quando i dinosauri e la maggior parte dei pesci preistorici si estinsero Infatti, sono stato ritrovati denti di “megalodon” che dimostrano come il predatore fosse ancora presente centomila anni fa, un lasso di tempo insignificante dal punto di vista geologico.”
Uno studente alzò la mano. “Professor Taylor, ma se questi “megalodon” erano ancora vivi centomila anni fa, come mai si sono estinti?”.
Jonas sorrise. “Questo, amico mio, è uno dei grandi misteri della paleontologia. Alcuni studiosi sostengono che l’elemento base della loro alimentazione fosse costituito da pesci molto grossi e molto lenti, e che il “megalodon” non sia riuscito ad adattarsi alle specie più piccole e più veloci esistenti oggi. Altri ritengono che sia stata la diminuzione della temperatura degli oceani a causare l’estinzione della specie”.
Un uomo piuttosto anziano, seduto in prima fila, alzò a sua volta la mano. Jonas lo riconobbe, era un suo ex collega dell’istituto, uno che l’aveva più volte criticato.
“Dottor Taylor credo che a tutti noi piacerebbe sentire la SUA teoria sula scomparsa del “Carcharodon Megalodon”. Un mormorio d’approvazione seguì la richiesta. (…)
“Quelli tra voi che mi conoscono personalmente o che sono al corrente del mio lavoro, sanno che le mie tesi differiscono da quelle della maggior parte dei paleontologi. La maggioranza dei miei colleghi passa gran parte del tempo cercando di spiegare perché una particolare specie non esiste più. Io preferisco studiare come una specie considerata estinta potrebbe, invece, esistere ancora.
L’anziano professore si alzò in piedi. “Dottor Taylor, lei sta forse cercando di dirci che il “Carcharodon Megalodon” potrebbe essere ancora in circolazione?”.
Nuota ancora negli oceani il “Megalodonte”?
Questo è lo spunto iniziale del romanzo dello scrittore di fantascienza Steve Alten(1) – classe 1959, vivente – Meg. Un romanzo di terrore profondo (titolo originale: Meg: A novel of Deep Terror, New York, Bantam Books, 1997; traduzione dall’inglese di Stefano Fusi, Milano, Mondadori, 1997, pp. 11-13). Chi di noi non vorrebbe sapere se una cosa del genere è possibile: se il più grande squalo mai vissuto sul nostro pianeta, il più grande predatore di tutti i tempi, per caso non si aggiri ancora nei mari, tenendosi ben lontano dalle coste e dalle rotte più battute, e immergendosi nelle sconosciute profondità oceaniche? Considerato che gli squali esistono ancora oggi e sono praticamente uguali a quelli vissuto 300 milioni di anni fa, un lasso di tempo di soli centomila anni è veramente poco, quasi niente sulla scala dei tempi geologici. E si consideri che il professor Taylor, il protagonista del romanzo di Steve Alten, si basa su di un dato temporale che è largamente approssimato per difetto: infatti la rivista Nature(2) dell’ottobre 1959 riferiva, in un articolo di W. Tschernetzky, intitolato Age of Carcharodon megalodon?, che la nave oceanografica Challenger aveva trovato due denti di questa specie la cui età, sulla base dell’accumulo di manganese su di essi, poteva essere fissata approssimativamente fra 24.000 e 11.000 anni or sono. Poco più di diecimila anni e non centomila, dunque: se così fosse, ma non tutti gli studiosi sono d’accordo su tale datazione, sarebbe davvero impossibile evitare la domanda se questo poderoso animale sia davvero sfuggito all’estinzione. Dopotutto, non è forse vero che il Celacanto (Latimeria chalumnae), un pesce preistorico che si credeva estinto sin dal Cretaceo, vale a dire da qualcosa come 60 milioni di anni nel migliore dei casi, ma forse più di 100, è stato
ripescato vivente nel 1938, nelle acque delle isole Comore? E che dopo quella data ne sono state trovate alcune colonie ancora intatte, non solo nelle acque sudafricane, ma anche in quelle indonesiane, precisamente presso la grande isola di Sulawesi (Celebes), dove ne è stata identificata una nuova specie (Latimeria menadoensi)? Eppure, se qualche biologo marino avesse affermato, prima del 1938, che il celacanto avrebbe potuto essere ritrovato ancor vivo e vegeto, sarebbe divenuto oggetto d’ironia e dileggio, e probabilmente avrebbe visto finire la propria carriera scientifica. Oppure che dire della scoperta dell’okapi (Okapia johnstoni), una giraffa di minori dimensioni ma pur sempre rispettabili, visto che è alto 1,5 m. al garrese e lungo 2,5 m, avvenuta nel 1901 nelle foreste a baldacchino dell’Africa centrale, nella fascia fra 500 e 1.500 m. d’altitudine? Oppure, ancora, della riscoperta del takahe (Porphyrio hochstetteri), un uccello non volatore della Nuova Zelanda, dal piumaggio quanto mai curioso, che si credeva irrimediabilmente estinto, avvenuta in una solitaria valle della Fiordland, sulle montagne Murchison dell’Isola del Sud, nel 1948? E l’elenco delle sorprese potrebbe continuare a lungo. Questi fatti dovrebbero renderci assai prudenti nell’escludere che una specie marina vissuta fino ad alcune migliaia di anni fa, sia adesso completamente estinta. Nell’ambiente marino, infatti, le condizioni di vita sono molto più uniformi che sulla terraferma e quindi anche i fattori che possono determinare l’estinzione agiscono in maniera assai più lenta e graduale, e ben difficilmente assumono il carattere di una catastrofe repentina, come nel caso della caduta di un grosso meteorite e il successivo sconvolgimento climatico dovuto alle polveri rimaste a lungo in sospensione nell’atmosfera.
Del resto, non solo per ciò che riguarda la datazione degli ultimi esemplari sicuramente viventi, ma anche per le dimensioni del Charcardon megalodon, i dati esposti dal professor Taylor appaiono sottostimati rispetto alla realtà. Infatti, anche se nessuno scheletro completo è mai stato rinvenuto, come è perfettamente logico, e quindi la lunghezza dell’animale deve essere stimata in base ai soli
denti e alle vertebre, il che lascia dei margini d’incertezza, il fatto che siano stati ritrovati dei denti lunghi da 17 a 20 cm farebbe pensare che alcuni esemplari di questo mostro marino arrivassero a misurare la bellezza, si fa per dire, non di “soli” dodici o quindi metri, ma diciotto; e i biologi marini Patrick J. Schembri e Stephen Papson si sono spinti fino ad asserire che la lunghezza massima avrebbe potuto giungere anche a 24 o 25 metri: vale a dire cinque volte la lunghezza di un grande squalo bianco dei nostri giorni, terrore dei mari. Di tutte queste cose avevamo già avuto occasione di parlare in un precedente lavoro: Il mistero del Megalodonte del 02 Febbraio 2016 Non ci sembra tuttavia inutile tornare sulla questione, che è già di per sé affascinante e che ha ricevuto nuovo stimolo dalla diffusione di un video, reperibile facilmente sulla rete: Vedi il video: Megalodon attack Caught on Camera – Cape Town del 16 maggio 2018 relativo a un presunto attacco di megalodonte a una imbarcazione da pesca, avvenuto presso le coste del Sud Africa, vicino a Città del Capo e precisamente nella Hout Bay, il 5 aprile 2013. Il video è stato girato in maniera amatoriale da alcuni amici che sarebbero tutti periti nel corso dell’attacco; la videocamera sarebbe rimasta a documentare, sola, la tragedia avvenuta, senza altri testimoni, mostrando le confuse immagini degli ultimi istanti di vita del gruppo. Il video consta di due parti. Nella prima si vedono due coppie di fidanzati, di età sui trent’anni circa, che filmano se stessi mentre, sereni e sorridenti, gettano l’amo da una grossa motobarca da pesca. C’è ancora il sole, ma l’inclinazione della luce fa pensare che manchino poche ore al tramonto. I giovani appaiono spensierati; indossano pesanti maglioni di lana e giubbotti, ma non sembrano infreddoliti (nell’emisfero australe le stagioni sono rovesciate e quindi i primi di aprile corrispondono ai primi di ottobre nel nostro emisfero). La seconda parte è stata girata quando ormai è quasi calato il buio e mostra la barca che, all’improvviso, viene squassata da violenti colpi provenienti dal basso: le immagini sono alquanto mosse, la videocamera deve essere caduta a terra; si odono delle grida e poi più nulla. Il video è stato diffuso dalla rete Discovery Channel, nota per essere specializzata in documentari di avventura, ingegneria, sport estremi e mistero. È una rete italiana che trasmette sia in italiano che in inglese, nata nel 2007 e fa parte del gruppo Discovery Communications; gode di una discreta reputazione e non le si attribuiscono fake news. D’altra parte, non ci sono riscontri oggettivi alla notizia della scomparsa di una barca da pesca con quattro persone a bordo, in quel giorno e in quelle acque; le autorità sudafricane e la stampa non hanno parlato della cosa (ma forse per evitare il panico?), pertanto ci sembra doveroso sospendere il giudizio sull’attendibilità del video, consigliando però il lettore di andarselo a vedere.
In una delle opere più complete e documentate sugli squali che siano state scritte da specialisti con intento divulgativo, Squali, a cura di John D. Stevens (titolo originale: Sharks, Intercontinental Publishing Corporation, 1987; traduzione dall’inglese di Maria Bianchi e Mauro Mariani, Milano, Rizzoli, 1988, p. 16), il biologo John G. Maisey scrive:
Qual è la più antica segnalazione geologica di un mangiatore di uomini moderno? I denti di mako fossile e di smeriglio sono presenti nel Cretaceo inferiore (circa 100 milioni di anni fa) ed i denti di carcarinidi primitivi compaiono poco dopo. I più antichi denti di squalo bianco risalgono a 60-65 milioni di anni fa. All’inizio dell’evoluzione dello squalo bianco ci sono per lo meno due ramificazioni: una con denti grossolanamente seghettati, che probabilmente diede origine ai grandi squali bianchi attuali, l’altra con denti finemente seghettati e tendenza raggiungere dimensioni gigantesche. Questo gruppo raggiunse il massimo sviluppo su tutto il pianeta durante il Miocene (approssimativamente 10-25 milioni di anni fa) e comprende l’enorme “Carcharodon megalodon”, i cui denti superano i diciotto centimetri di altezza e la cui lunghezza corporea superava forse i dodici metri. Contrariamente a ciò che comunemente si crede, “C. megalodon” non arrivava a 25-30 metri; queste vecchie stime erano basate su calcoli erronei e su paragoni poco accurati con gli squali attuali. Del resto non sembra neppure che il “megalodon” sia il diretto antenato dei grandi squali bianchi attuali.
Sembra dunque che il megalodonte, se pure esiste ancora, debba essere un po’ più piccolo di come lo immaginano certi romanzieri e registi cinematografici, ma pur sempre enorme; in compenso, pare che solcasse i mari ancora da 20 a 10 mila anni fa, il che rende ammissibile l’ipotesi di una sua eventuale sopravvivenza, anche se ammissibile non fa rima con verosimile. Ma come avrebbe potuto sfuggire agli sguardi una bestia di quelle dimensioni? È una cosa difficile, in effetti, tuttavia non impossibile, se si pensa che gli animali marini sono comunque meno appariscenti di quelli terrestri: si pensi al caso del Celacanto, ma anche alla piovra gigante e al serpente di mare. Di parere negativo è comunque Richard Ellis il quale, nell’opera sopra citata, scrive (pp. 181-182):
Con denti che misuravano 15 centimetri o più lungo i bordi seghettati, questi mostri probabilmente arrivavano a lunghezze tra i dodici e quindici metri, ed erano abbastanza grandi da potersi magiare un cavallo. La sola prova dell’esistenza di queste creature terrificanti sono i loro enormi denti fossili, ma molto spesso nella letteratura popolare questi denti perdono misteriosamente il loro carattere di fossile e vengono usati per dimostrare che il “megalodon” esiste ancora, Nel libro altrimenti eccellente di Peter Matthiessen “Meridiano blu”, che è la cronaca della spedizione per la realizzazione di “Acqua blu, morte bianca”, l’autore erroneamente considera che “C. carcharias” e “C. megalodon” siano la stessa specie e che, quindi, potrebbero ancora esserci al giorno d’oggi degli squali bianchi di 15 metri in giro per i mari. Poi c’è il romanzo di Robin Brown, “Megalodon”, che parla di squali di 60 metri, incrostati di cirripedi, che stanno sul fondo in attesa di trangugiare sottomarini nucleari come tante noccioline.
Certo, questo è eccessivo. Ma bastano le esagerazioni di un romanziere per screditare una cosa seria?
Francesco Lamendola
NOTE
(1) Steven Robert Alten (nato il 21 agosto 1959) è un autore di fantascienza americano. È noto soprattutto per la sua serie di romanzi Meg incentrati sulla sopravvivenza fittizia del megalodonte, un gigantesco squalo preistorico. Alten è il fondatore e direttore di Adopt-An-Author, un programma nazionale di lettura libera della scuola secondaria che promuove opere di sei autori, incluso il suo. Dal suo romanzo è stato tratto anche un film intitolato The Meg. Diretto da Jon Turteltaub e interpreta Jason Statham nel ruolo di Jonas Taylor.
(2) Nella scala dei tempi geologici, il Pleistocene è la prima delle due epoche in cui è suddiviso il periodo Quaternario. È compreso tra 2,58 milioni di anni fa (Ma) e 11.700 anni fa, preceduto dal Pliocene, l’ultima epoca del precedente periodo del Neogene, e seguito dall’Olocene, l’epoca in cui viviamo. Il Pleistocene inferiore e medio corrispondono al periodo del paleolitico inferiore (Homo habilis e Homo erectus), mentre il Pleistocene superiore ai periodi del paleolitico medio e superiore (Homo neanderthalensis, Homo sapiens).
Vedi anche: Il mistero del Megalodonte del 02 Febbraio 2016
Vedi il video: Megalodon attack Caught on Camera – Cape Town del 16 maggio 2018