Un cattolico smarrito di fronte a una Chiesa che cambia volto: dal poncho del Papa ai nuovi dogmi della modernità.
IL PAPA COL PONCHO
Roberto Pecchioli
Uno sguardo disilluso e appassionato di un cattolico di lungo corso sul pontificato di Papa Francesco. In Il Papa col Poncho, Roberto Pecchioli racconta con toni amari e accorati il proprio disagio spirituale e culturale di fronte a una Chiesa che percepisce sempre più distante dai suoi riferimenti tradizionali. Il testo si apre con la dichiarazione convinta della propria appartenenza cattolica, ma si sviluppa come un appello dolente, scosso da immagini simboliche — come quella del Papa in poncho a San Pietro — che incarnano una frattura non solo stilistica, ma dottrinale e identitaria. Il Papa che tace su Dio, che firma encicliche in chiave ecologista, che abbraccia simboli lontani dalla tradizione cristiana, diventa il centro di una riflessione su cosa significhi oggi “essere Chiesa”. Il tutto è filtrato dallo sguardo di un “povero cristiano” che non rinnega la fede, ma fatica a riconoscersi nella nuova direzione presa dalla sua guida spirituale. (f.d.b.)

Sono cattolico. Battezzato, cresimato, sposato in chiesa, desideroso di ricevere, quando sarà, l’unzione degli infermi, che ai tempi miei si chiamava estrema unzione. Da quando Jorge Mario Bergoglio è salito al soglio di Pietro (tu sei Pietro e su questa pietra costruirò la mia Chiesa, parola del Redentore, o fondatore per miscredenti e neocattolici) ho visto cose che fanno gelare il sangue. Vedrete cose, amico Sancho, che faranno parlare le pietre, dice Don Chisciotte. Il Papa che tace su Dio, che non vive in Vaticano, che ha portato in processione a Roma un idolo amazzonico, che ha firmato encicliche simili a libelli ecologisti, ci aveva già abituato a tutto. Ma l’ultima no, fa troppo male. Vedere fotografato in San Pietro il Papa – la maiuscola è per la funzione- vestito con un poncho a righe, pantaloni stazzonati e senza zucchetto le supera tutte, agli occhi di un povero cristiano. La fede resiste ma l’uomo genera imbarazzo. Una volta si sarebbe detto scandalo, ma nella neo Chiesa della laica trinità green, immigrazione e omosex, la parola non significa nulla.
Profondo è il rispetto per l’anziano sofferente, con tubicini per la respirazione e in carrozzella, ma il Papa no, non può aggirarsi così nel luogo sede, simbolo e centro della cristianità. Più rispettoso il suo infermiere, inappuntabile in completo scuro e cravatta intonata. Tempo fa ebbi un tuffo al cuore in una parrocchia, allorché l’Eucaristia venne distribuita da un’anziana signora in jeans sdruciti, scarpe da tennis, spettinata, con addosso la cappa dei chierichetti. Mi lamentai con il curato, che rispose “è solo un simbolo”. Agghiacciante. L’eucaristia non è un simbolo: per il credente significa ricevere veramente, in forma di ostia consacrata, il corpo di Cristo. Infatti era d’obbligo un ragionevole digiuno per chi si comunicava e un abbigliamento decoroso. Ora vediamo il vicario di Cristo in San Pietro (!!!) senza alcun simbolo della sua funzione.
L’abito non fa il monaco, recita il proverbio. Ma il monaco ha l’abito, il saio simbolo – ancora questa parola! – dell’umiltà e della dedizione a Dio. Il Papa no, non può rinunciare all’abito, al bianco che spicca tra i diversi colori degli altri consacrati, allo zucchetto e all’ abbigliamento che ne segnala l’unicità. La stampa anti religiosa ha esaltato l’immagine del papa in poncho e calzoni, simbolo – un’altra volta! – di semplicità, vicinanza alla gente, rinuncia agli orpelli. Qualcuno ha parlato di sofferenza espressa anche nell’abito. Ridicolo: papa Wojtyla, gravemente malato, non rinunciò mai alle insegne papali e al bastone pastorale, la ferula con in cima la croce. Già, la croce, il simbolo per eccellenza. Neanche un piccolo crocifisso, una catenina al collo. Chissà che ne direbbe San Francesco, l’omonimo.
Un altro segnale, l’ennesimo, di indifferenza non all’apparato, ma al centro della fede. Nulla di strano che i suoi dipendenti – li chiamiamo così poiché la Chiesa sembra una ONG- cedano luoghi consacrati ai musulmani o sostituiscano con una confezione di igienizzante- visto con i miei occhi- l’acqua santa con cui i fedeli detergono le mani prima del segno della croce. Un altro simbolo, sempre i simboli. Per diventare gradevole al mondo, simpatica, moderna (l’Eterno sottoposto al tribunale del presente!) la Chiesa si spoglia di tutto: dogmi, riti, liturgie, segni, abiti. Un prete ha celebrato messa (in questo caso, lettera minuscola) in costume da bagno. Nudi alla meta, ma quale meta? Lo spogliarello è arrivato in Vaticano e Francesco alias Jorge Mario Bergoglio mostra se stesso senza i simboli del ministero. L’uomo ha diritto al rispetto per l’umana fragilità di vecchio malato, ma Francesco, ossia Pietro, è ancora la pietra angolare dell’edificio fondato da Gesù, per i credenti figlio di Dio?
I segni, i simboli hanno un significato potentissimo. Chi li nasconde o li calpesta fa male agli uomini, fa perdere loro bussola, àncora, direzione. Se lo fa il vicario di Cristo, ferisce i fedeli, forse umilia Dio. Mille volte no al papa vestito di stracci.
Dal Blog una pasquinata liberatoria
Una fede che resiste al poncho, ma trema davanti all’oblio della tradizione.
Er Papa col Poncho
Vedrai Sancho, le pietre a chiacchierà,
dicea l’idalgo co’ spada e fantasia.
Ma qui è Roma, fratè, nun è bugia:
er Papa in poncho ce fa barcollà.
Nun vive in Vaticano, e già ce sta,
co’ l’idolo strano e l’ecologia,
scrive encicliche come poesia
de chi la croce nun sa più portà.
Er saio fa er monaco, dice er detto,
ma lui ce va co’ ‘n poncho a righe e basta,
senza zucchetto e co’ ‘n pantalone stretto.
La fede regge, ma er core s’abbassa,
ché vede l’ommo e sente solo un petto
che pe’ ‘sto gregge nun mena più cassa.
🇮🇹 Per li forestieri – Traduzioni ufficiale
Il Papa col Poncho
Vedrai, Sancho, anche le pietre parleranno,
diceva l’hidalgo con spada e fantasia.
Ma qui è Roma, fratello, non è un’invenzione:
il Papa in poncho ci fa vacillare.
Non vive in Vaticano — e già questo basta —
porta in processione un idolo strano, parla d’ecologia,
scrive encicliche come fossero poesie
di chi ormai non sa più portare la croce.
“Il saio fa il monaco”, dice il proverbio,
ma lui si presenta con un poncho a righe e basta,
senza zucchetto e con pantaloni stropicciati.
La fede resiste, ma il cuore si intristisce,
perché vede l’uomo, e non sente più il pastore,
che per questo gregge non suona più la campana.