Un commissario si trova intrappolato in una spirale di omicidi inquietanti, dove le voci tacciono e i segreti affiorano

IL PECCATO DEL SILENZIO

Racconto

Paolo Quattrini

Luca Ferri, agente della squadra mobile di Milano, si trova invischiato in una scia di omicidi inquietanti. Le vittime, tutte escort, stringono nella mano destra un dettaglio macabro e inspiegabile: una perlina colorata. Mentre segue le tracce dell’assassino, Luca scopre un filo invisibile che lega quei delitti al suo passato. Ogni indizio lo costringe a scavare più a fondo, riportando alla luce verità che avrebbe voluto dimenticare. Ma il tempo stringe. Il killer è ancora là fuori, e fermarlo significa affrontare non solo l’orrore dei crimini, ma anche i fantasmi sepolti dentro di sé.


Scrivere è sempre stato difficile per me. Da bambino, restavo bloccato davanti ai temi scolastici, mentre gli altri riempivano pagine con naturalezza. Mio padre, appassionato scrittore, e mia madre, lettrice instancabile, sono stati i miei modelli, ma per anni ho faticato a trovare la mia voce.

Poi, grazie all’intelligenza artificiale, qualcosa è cambiato: ho superato il blocco e dato forma alle mie idee. Così è nata questa storia, ambientata a Milano, la città della mia infanzia, il cui ritmo e le cui ombre hanno ispirato il mio thriller noir.

È la storia di Luca, un detective in cerca della verità, e di Bruno, l’ombra che lo sfida. Tra segreti, tensione e mistero, il lettore verrà condotto nei vicoli e nei palazzi del potere, dove realtà e fantasia si intrecciano.

Questo racconto è più di una semplice storia: è un viaggio. Un viaggio attraverso paure, ambizioni e ricordi, alla ricerca di una verità che forse non vuole essere trovata.

Buona lettura.

♣♣♣

Capitolo 1: L’Appartamento

Milano si destava, avvolta in una foschia leggera che filtrava i primi raggi del sole. I palazzi austeri si stagliavano contro il cielo pallido, mentre la città sembrava trattenere il respiro.

Quella quiete fu spezzata dal suono improvviso di una sirena, che rimbalzò tra le facciate come un grido. Una pattuglia della polizia si fermò davanti a un elegante edificio residenziale, tra lo sguardo curioso dei pochi passanti già in strada. In uno degli appartamenti superiori, dietro una porta socchiusa, li attendeva una scena destinata a rimanere impressa nella memoria di chiunque vi mettesse piede.

Luca Ferri, Commissario del Corpo di Polizia di Milano, fissava l’accesso sbarrato dal nastro della scientifica, che oscillava debolmente davanti a lui. La soglia era rimasta appena aperta, quel tanto che bastava per lasciare intravedere una sottile ombra oltre l’ingresso. Qualcosa lo tratteneva: non era solo il silenzio a metterlo a disagio, ma la sensazione opprimente che ogni dettaglio lì dentro lo stesse aspettando.

Noto per il suo intuito, aveva pagato il prezzo della sua dedizione. Alto, asciutto, con capelli brizzolati e occhi verdi attenti, portava negli sguardi il peso di troppe notti insonni.

«Ehi?»

la voce di Alessandra lo riportò al presente. Vice Commissario e sua stretta collaboratrice, era abituata a gestire situazioni complesse con pragmatismo e decisione. Mora, con i capelli raccolti in una coda disordinata che lasciava sfuggire ciocche ribelli, aveva un’aria pratica che non ammetteva esitazioni. Gli occhi scuri, profondi e indagatori, sembravano sempre leggere oltre le apparenze, e il suo portamento slanciato tradiva anni di disciplina e allenamento. Si avvicinò a lui, inclinando la testa.

«Non è da te esitare così. Che c’è?»

Lui si passò una mano tra i capelli brizzolati, senza rispondere subito.

«Non so… c’è qualcosa che non mi torna.»

Lei alzò un sopracciglio e incrociò le braccia. «La tua famosa ‘sensazione’, eh? Bene, vediamo se ci azzecchi anche stavolta» Poi lo superò e, con un gesto pratico, spinse la porta quel tanto che bastava per entrare.

«Forza, abbiamo perso abbastanza tempo.»

Luca la seguì, cercando di scacciare dalla mente un’immagine che continuava a tormentarlo: un altro appartamento, anni prima, un altro corpo lasciato lì come un messaggio. La differenza era che stavolta il peso sul suo petto sembrava più profondo, quasi personale.

Dentro l’appartamento, l’ordine maniacale contrastava con il caos della scena del crimine. Le tende pesanti soffocavano la luce, il tappeto persiano era allineato al millimetro, i mobili senza traccia di polvere. Nell’aria stagnava un odore dolciastro e oppressivo, che sembrava incollarsi alla gola. Un vecchio orologio da parete ticchettava piano, un rumore ipnotico che spezzava il silenzio. Tutto era immobile, come se il tempo si fosse fermato nel momento esatto della morte.

Dal corridoio arrivava il lieve cigolio di una finestra lasciata socchiusa, accompagnato dal sussurro lontano del traffico cittadino. Sul letto, nuda, la giovane donna giaceva immobile, il corpo posizionato in modo innaturale, come se qualcuno l’avesse modellato per un macabro dipinto. Lunghi capelli rossi le incorniciavano il volto, formando un’aureola sanguigna che brillava nella luce fredda.

Fu allora che Luca notò la mano della vittima, leggermente socchiusa, come se volesse ancora trattenere qualcosa. Tra le dita rigide, spuntava un piccolo oggetto brillante. Si avvicinò, inclinando appena la testa per osservare meglio. Una perlina, minuscola, di un blu profondo attraversato da venature dorate. Non poteva essere lì per caso.

«Alessandra» mormorò.

Lei si avvicinò, seguendo il suo sguardo. Si fermò accanto a lui, le mani sui fianchi. «Che razza di messaggio è questo?» disse con una smorfia. «Sembra roba da thriller psicologico…»

«Non è un caso» rispose, senza distogliere gli occhi dall’oggetto. «Chiunque l’abbia lasciata, voleva che la trovassimo.»

Alessandra piegò la testa, scrutandolo per un attimo. Poi fece un passo indietro, mettendo le mani sui fianchi. «Magari ci lascia anche un biglietto da visita» borbottò con il suo solito tono pratico.

Dal corridoio, il responsabile della scientifica li raggiunse con un tablet in mano. «Abbiamo recuperato alcune informazioni preliminari dal computer della vittima» disse, indicando un laptop sul tavolo della cucina.

«Sembra che fosse iscritta a un sito di incontri per escort. Il suo ultimo appuntamento era con qualcuno che si fa chiamare… Assiral.»

«Assiral?»

Alessandra ripeté il nome con incredulità.

«Cos’è, un mago? Suona come un nome inventato in cinque secondi.»

Luca non rispose subito. Lesse e rilesse quella parola sullo schermo.

«C’è qualcosa in quel nome» disse infine, quasi a bassa voce. «Non so cosa, ma mi dà la sensazione che non sia casuale.»

Alessandra lo fissò per un momento, poi annuì.

«Un nome del genere non è casuale. Qualcuno si sta divertendo, e non siamo noi.»

Poco lontano, una pila di libri era sparsa sul comodino accanto a una foto incorniciata. La vittima sorrideva accanto a due figure più anziane, forse i suoi genitori. Sul tavolo della cucina, un quaderno aperto mostrava una lista di cose da fare:

«Comprare latte. Chiamare mamma. Invio domanda borsa di studio.» Ogni dettaglio parlava di una vita ordinaria, interrotta brutalmente.

Alessandra notò il quaderno e sospirò.

«Era una studentessa, pare. Lettere moderne, almeno a quanto diceva il suo profilo. Chissà quanto le costava vivere qui.»

Luca non rispose. Continuava a fissare la perlina nella mano della vittima.

«Questa non è solo una scena del crimine» disse infine. «È un messaggio. Ma a chi?»

Prima di lasciare l’appartamento, si fermò sulla soglia, lo sguardo che vagava ancora sulla stanza. La perlina, il nome, il corpo. Niente sembrava casuale. Si voltò verso Alessandra.

«Questo non è un caso come gli altri.»

Lei lo osservò, aspettandosi qualcosa di più.

«Perché lo dici?»

Lui esitò un istante, ma il suo tono era grave.

«Perché non sta lasciando solo indizi. Sta scrivendo una storia che ci costringe a leggere.»

Capitolo 2: Il Politico

Bruno Alfieri si svegliò nel suo attico nel centro di Milano. La luce filtrava dalle ampie finestre, accarezzando il salotto impeccabile. Si stiracchiò pigramente, lasciandosi scivolare fuori dalle lenzuola di seta, mentre un velo di indolenza gli offuscava i pensieri.

Aveva un aspetto impeccabile anche appena sveglio: ben curato, con un sorriso che ispirava fiducia, ma che celava, sotto la superficie, un mondo di pensieri e segreti accuratamente nascosti. Dopo una doccia veloce, scese in cucina, dove trovò la moglie intenta a preparare la colazione per i loro due figli.

«Buongiorno» disse con tono disinvolto, avvicinandosi al piano di lavoro.

Anna versò il caffè con un gesto lento e misurato, senza nemmeno guardarlo.

«Buongiorno» disse, e la parola sembrò cadere nel vuoto.

Lui si chinò a sfiorarle la guancia con un bacio leggero, più un’abitudine che un gesto d’affetto.

«Dormito bene?» chiese lei, senza aspettarsi davvero una risposta.

«Abbastanza»

rispose Bruno, sedendosi al tavolo. Prese la tazza che lei gli aveva già riempito, ignorando il fatto che non avesse fatto altro per lui. Il tintinnio dei cucchiaini contro le tazze riempiva la cucina, un suono familiare che strideva con il silenzio tra loro.

Anna tornò al piano di lavoro, appoggiando le mani sul bordo. Le dita tamburellavano appena, come se stesse cercando di contenere un pensiero.

«Non ti fermi mai a fare colazione con noi.»

«Gli impegni non aspettano» rispose lui, con un’alzata di spalle.

«Sì, certo» mormorò lei, abbozzando un sorriso amaro. Poi si voltò verso i figli, lasciandolo da solo con il suo silenzio.

I bambini entrarono in cucina, rompendo la tensione. «Buongiorno papà!» disse uno di loro con un sorriso.

«Buongiorno, ragazzi» rispose con un sorriso altrettanto perfetto. Ma la sua mente era già altrove. «Fate i bravi a scuola, ok?» aggiunse, alzandosi senza aspettare una risposta.

Mentre lasciava la casa, non si voltò. Gli impegni della giornata già ronzavano nella sua mente, spingendo lontano ogni pensiero legato a quella cucina, ormai estranea.

L’autista lo aspettava davanti all’ingresso. Durante il tragitto verso il Comune, osservava Milano scorrere dal finestrino: il traffico, i marciapiedi affollati, tutto sembrava parte di un disegno già tracciato, una coreografia che conosceva a memoria.

Arrivato nel suo ufficio, situato in uno dei palazzi storici di Milano, si immerse nelle attività quotidiane: riunioni, discussioni su politiche educative e incontri con colleghi e rappresentanti delle istituzioni. L’ambiente era elegante e luminoso, con alte finestre incorniciate da pesanti tende color avorio, che offrivano una vista maestosa sui tetti della città. Le pareti, in un tenue grigio perla, erano decorate con dipinti di artisti locali, mentre una libreria in legno scuro dominava un’intera parete, colma di volumi ordinati con precisione ossessiva.

La scrivania in noce lucido rifletteva la luce del mattino, perfettamente ordinata. Vi campeggiavano solo pochi oggetti: un’agenda in pelle con l’elastico chiuso, una penna stilografica dal design sobrio – regalo di suo padre, simbolo di disciplina e aspettative – e una cornice d’argento con una foto di famiglia, troppo nuova per sembrare vissuta.

Bruno firmava documenti con la sua penna stilografica mentre la sua assistente, una giovane donna dai modi impeccabili, scorreva i punti della prossima riunione con un tono rapido e professionale, mostrando la sicurezza di chi sapeva di non poter sbagliare. Lui annuiva con un’espressione attenta, anche se la sua mente vagava altrove.

Alle undici, si sedette al tavolo ovale della sala riunioni insieme ad altri assessori. Al centro della discussione c’era una proposta per introdurre un aumento delle ore scolastiche settimanali, una misura che mirava a migliorare i risultati accademici ma che rischiava di scontrarsi con le esigenze delle famiglie e degli insegnanti. Come Assessore all’Istruzione, era il principale promotore del progetto, convinto che l’educazione fosse il fulcro di ogni vera riforma sociale.

«Non possiamo proporre un cambiamento così drastico senza consultare gli insegnanti»

protestò l’assessore al Lavoro, armeggiando con la cravatta. «I sindacati lo considereranno una provocazione, e potremmo ritrovarci con scioperi in pieno anno scolastico.»

Bruno sorrise, senza fretta.

«Capisco i tuoi timori, Luigi, ma questa non è una riforma calata dall’alto. Abbiamo già aperto un dialogo con alcuni rappresentanti sindacali e il progetto pilota è stato concepito proprio per raccogliere il loro feedback. Coinvolgeremo direttamente gli insegnanti delle scuole selezionate. Non possiamo lasciare che il timore di qualche polemica blocchi un’iniziativa che può davvero fare la differenza.»

La voce era calma, ma le parole erano taglienti. Il suo sguardo si posò sull’assessore come una lama ben affilata e l’uomo sembrò indietreggiare leggermente sulla sedia. Bruno sapeva come imporre la sua autorità senza alzare il tono, con un controllo assoluto del linguaggio e dei tempi.

Quando la riunione si concluse, diversi colleghi si avvicinarono per congratularsi con lui per la sua lucidità. Lui sorrise, accettando i complimenti con la modestia studiata di chi sa di essere ammirato.

Quando rientrò nel suo attico, Milano brillava sotto di lui, pulsante di luci e rumori. Ma per lui era solo un fondale scenico, lontano e irrilevante.

Dopo aver salutato distrattamente i figli e la moglie, salì nello studio e chiuse la porta dietro di sé. Si sedette alla scrivania, accendendo il computer con un gesto lento e deliberato. Rimase per un momento immobile, fissando lo schermo con un’espressione indecifrabile.

La luce del monitor disegnò sul suo volto contorni netti, esaltando le ombre. Le dita scorrevano rapide sul touchpad, mentre le pagine si susseguivano veloci sotto i suoi occhi. Poi si fermò. Rimase immobile, lo sguardo fisso su una schermata come chi si trova davanti a qualcosa che non dovrebbe esistere eppure lo affascina.

Avrebbe dovuto chiuderla, dimenticarla, ignorarla. Ma non lo fece.

Un sorriso sottile gli sfiorò le labbra, diverso da quello che aveva mostrato tutto il giorno. Era più intimo, quasi compiaciuto. Sul monitor c’era qualcosa che non avrebbe mai dovuto essere lì, eppure sembrava assaporarne ogni dettaglio.

Si sporse leggermente in avanti, come a voler ridurre la distanza tra sé e lo schermo. Quella pagina lo attirava, nutrendo una parte di lui che il mondo non conosceva.

Chiuse il computer con calma e si alzò. Per un attimo, le dita indugiarono sul bordo del tavolo, accarezzando il contorno di un segreto.

Quando tornò in salotto, Anna gli chiese:

«Tutto bene?»

Bruno la guardò, il volto di nuovo impassibile.

«Nulla di insolito» rispose. «Solo la solita routine.»

Capitolo 3: Il Medico Legale

Il sole era appena sorto su Milano quando Luca e Alessandra entrarono nell’obitorio. Il silenzio sterile dell’ambiente li avvolgeva, interrotto solo dal ronzio sommesso di una lampada al neon che sembrava sul punto di spegnersi. Le pareti erano rivestite da piastrelle bianche che riflettevano una luce fredda e impersonale, amplificando la sensazione di vuoto. Un odore pungente di disinfettante permeava l’aria, unito a una traccia indefinibile, metallica, che sembrava insinuarsi nella gola.

Il dottor Rinaldi, il medico legale, li attendeva accanto al tavolo di metallo dove giaceva il corpo della vittima, coperto da un lenzuolo candido. Strumenti chirurgici sterilizzati brillavano su un carrello poco distante: pinze, bisturi, seghetti ossei. Ogni oggetto era disposto con precisione chirurgica, come se il caos della morte dovesse essere dominato dalla logica dell’ordine.

Era un uomo corpulento, con spalle larghe e lineamenti marcati. Indossava un paio di occhiali dalla montatura sottile, che spingeva sul naso grosso ogni volta che si concentrava. Originario di Genova, amava raccontare, nelle rare pause concesse dal lavoro, di come passava le giornate al porto da ragazzo, osservando le navi e tracciando mentalmente rotte immaginarie. Portava con sé la precisione e la pazienza apprese da suo padre, un uomo metodico che gli aveva insegnato ad affrontare ogni tempesta con rigore. Ogni caso, per lui, era come tracciare una rotta verso la verità.

«Commissario Ferri, Vice commissario Conti» li salutò con tono formale, accennando un lieve sorriso. «Sono pronto a farvi il punto della situazione.»

«La vittima è stata strangolata» iniziò Rinaldi «ma la causa effettiva della morte è stata una combinazione di soffocamento e sedazione. Nel sangue ho trovato tracce di Valium, somministrato in quantità letali prima che fosse legata.»

Alessandra scrisse rapidamente sul suo blocco, senza sollevare lo sguardo.

«Un killer metodico» disse, scambiando un’occhiata con Luca. «Paziente. Sa esattamente come gestire il tempo.»

Il medico fece un cenno d’assenso, spingendo gli occhiali sul naso.

«Non ci sono segni di lotta evidenti, ma ho riscontrato abrasioni su polsi e caviglie.» Sollevò il braccio della vittima per mostrare i segni. «È stata legata mentre era incosciente. Questo dimostra un controllo calcolato da parte dell’assassino.»

Luca osservò i segni con attenzione.

«Un controllo… e la perlina? Sappiamo se è stata lasciata apposta?»

Rinaldi sollevò un sacchetto trasparente con la perlina colorata.

«Non c’è dubbio. L’ho trovata nella sua mano destra, chiusa come se fosse un oggetto prezioso. Non ci sono segni di resistenza, quindi gliel’ha messa lì l’assassino. Potrebbe essere una firma.»

Il commissario fissò l’oggetto con occhi freddi.

«Una firma o un messaggio.» Fece una pausa, il pensiero che lo tormentava emergendo a voce alta. «Non ci sta solo sfidando» disse fissando la perlina. «È come se volesse che seguiamo un filo. Ma dove ci sta portando?»

Alessandra si avvicinò, scrutando il sacchetto con un’espressione intensa.

«La domanda non è dove» disse lentamente, con la voce che tradiva un’intuizione «ma quando.»

«Cosa intendi?» disse lui con la fronte corrugata.

Lei indicò la perlina.

«È il tipo di oggetto che si usa nei lavoretti scolastici o nei braccialetti per bambini. E se il messaggio non riguardasse solo la vittima, ma anche il passato dell’assassino? Forse ci sta dicendo che tutto questo ha radici molto più profonde di quanto pensiamo.»

Rinaldi la osservò, sorpreso dalla deduzione.

«Un trauma d’infanzia?»

Alessandra annuì lentamente, senza distogliere lo sguardo dal sacchetto.

«O un legame che risale a molto tempo fa. Forse sta cercando di ricostruire qualcosa che ha perso… o di farci vedere qualcosa che abbiamo ignorato.»

Luca rimase in silenzio per un momento, digerendo le sue parole. Poi la guardò con un’espressione diversa, come se vedesse Alessandra sotto una nuova luce.

«Hai ragione. Questo non è solo un gioco. È una storia personale, e noi ci siamo finiti dentro.»

Fece una pausa, poi si voltò verso il medico, con una nuova domanda che gli bruciava in mente.

«Dottore, ci sono segni di un rapporto sessuale con la vittima?»

Lui annuì lentamente.

«Sì, l’esame autoptico ha rilevato che c’è stato un rapporto sessuale. Tuttavia, non ci sono tracce evidenti, né biologiche né di violenza. Questo suggerisce che potrebbe essere avvenuto in un contesto consensuale o che l’assassino ha avuto cura di cancellare ogni prova.»

Luca strinse le labbra, mentre la tensione nella stanza si faceva palpabile.

«Un altro pezzo di un puzzle complicato» mormorò, lanciando uno sguardo alla sua vice.

Lasciarono l’obitorio in silenzio, con il peso di quelle informazioni che sembravano rendere il caso ancora più intricato. Pochi minuti dopo, il clima asettico del laboratorio lasciò spazio al dolore tangibile della casa dei genitori.

 

L’appartamento era immerso in un silenzio doloroso, rotto solo dal cinguettio intermittente di un passero sul davanzale. La madre della ragazza, una donna minuta con occhi gonfi e arrossati, li accolse sulla soglia. Il padre, robusto e con il volto segnato dal dolore, li osservava in silenzio da dietro di lei, trattenendo il respiro.

Luca si sedette nel salotto, dove foto della giovane donna riempivano ogni angolo della stanza. I suoi capelli rossi brillavano in ogni immagine, un tratto distintivo che sembrava quasi vivo. Ogni fotografia urlava la vita che le era stata strappata.

«Sappiamo che vostra figlia era all’università» iniziò con tono calmo. «Aveva parlato di qualcuno con cui usciva? Magari qualcuno che poteva rappresentare un pericolo per lei?»

Lei scosse la testa.

«No… era una ragazza riservata, dolce. Ultimamente sembrava un po’ distante, ma credevo fosse lo stress degli studi.»***

«Signora» disse Luca, schiarendosi la voce «Devo essere sincero con voi. Durante le indagini è emerso che vostra figlia… conduceva una doppia vita. Frequentava ambienti che non sembrano legati ai suoi studi. Abbiamo motivo di credere che lavorasse come escort.»

La donna impallidì, gli occhi spalancati mentre cercava di trattenere le lacrime. Si portò una mano al petto, come se il respiro le fosse improvvisamente mancato. «No… no, non può essere vero» sussurrò, la voce rotta dal pianto. «State dicendo che… che la mia bambina…» Non riuscì a finire la frase, e le spalle iniziarono a tremare.

Il padre, invece, scattò in piedi, colpendo involontariamente il tavolino e facendo cadere una cornice. «Cosa state dicendo?» urlò, con il volto paonazzo per la rabbia. «Francesca era una ragazza seria! Studiava, voleva laurearsi… non posso credere a una cosa del genere!» La sua voce vibrava di incredulità e dolore, mentre il pugno si chiudeva e tremava per l’impotenza.

Lei scosse la testa, il tremito evidente nelle mani. «Ultimamente sembrava diversa, sì, ma… credevo fosse solo lo stress» Si interruppe, la voce soffocata dal pianto. «Oh Dio, come abbiamo potuto non accorgerci di nulla?»

Il marito si lasciò ricadere pesantemente sulla poltrona. Parlò con un tono duro, ma incrinato dal dolore. «Non mi interessa chi fosse o cosa facesse. Voglio solo una cosa: giustizia per mia figlia.»

Alessandra, colpita dalla scena, si chinò verso la madre, posandole una mano sulla spalla in un gesto di conforto. «Faremo di tutto per trovarlo, signora. Questo ve lo posso promettere.»

Luca fece loro un ultimo cenno di comprensione prima di uscire. Una volta fuori, si fermò un istante sulla soglia. L’aria era densa e immobile, il cielo plumbeo incombeva come una minaccia silenziosa, schiacciando ogni barlume di luce. Sentì il gelo insinuarsi sotto la pelle, un presagio che non riusciva a scrollarsi di dosso. I rumori lontani della città sembravano ovattati, come se anche il mondo intorno stesse trattenendo il respiro.

Pensò ai genitori della vittima, al loro sguardo carico di dolore e speranza. Il peso della responsabilità lo schiacciava, una pressione che non poteva ignorare. Non era solo un caso da risolvere, ma una questione personale. Avrebbe trovato il colpevole. Non c’era altra opzione.

Capitolo 4: L’Informatico

Tornati in centrale, Luca e Alessandra attraversarono il corridoio principale, dove il rumore familiare di telefoni che squillavano e voci concitate riempiva l’aria. Agenti in divisa e colleghi in borghese si fermavano al loro passaggio, salutandoli con un rapido cenno del capo o un «Commissario» detto a mezza voce.

«Buongiorno, commissario. Vice commissario» li salutò uno degli agenti, facendo un passo indietro per lasciarli passare. «Qualche novità sul caso?»

«Ci stiamo lavorando» rispose Luca, con un tono breve ma cordiale.

Alessandra accennò un sorriso appena percettibile, lo sguardo fisso davanti a sé. Il rispetto nei loro confronti era palpabile, tanto che il brusio del corridoio si abbassava man mano che avanzavano.

Arrivarono all’ufficio di Davide, l’informatico della squadra. Era un uomo paffuto, con capelli scompigliati di un nero opaco e un abbigliamento che sembrava più adatto a una spiaggia che a una centrale operativa: jeans larghi e una camicia hawaiana con fiori rossi e blu. Nonostante l’aspetto trasandato, i suoi occhi erano attenti e brillanti, incollati al monitor davanti a sé.

L’odore acre dei cavi surriscaldati si mescolava al ronzio costante dei server, mentre la luce fredda dei monitor illuminava le pareti grigie. Schermate di codice e dati scorrevano ininterrottamente sui display.

Era seduto alla sua scrivania, le mani che scorrevano rapide sulla tastiera. Le cuffie appoggiate sulle orecchie lasciavano trapelare un ritmo rilassato di jazz elettronico. Quando li notò, si tolse le cuffie e si girò verso di loro con un sorriso accennato.

«Commissario Ferri, vice commissario Conti» li salutò, spostando una pila di fascicoli per liberare spazio davanti a sé. «Credo di aver trovato qualcosa di interessante riguardo a quel nome: Assiral.»

Luca si avvicinò alla scrivania, osservando lo schermo con occhi freddi. «Vediamo» disse con tono grave. Alessandra si posizionò accanto a lui, inclinando leggermente il capo per osservare meglio il monitor.

Davide cliccò su una cartella e fece scorrere una serie di conversazioni digitali. «Ho analizzato il laptop della vittima e tracciato i suoi ultimi contatti. Con un software forense ho ricostruito la cronologia di navigazione e recuperato messaggi eliminati. È emerso un profilo su un sito di incontri per escort, e l’ultimo appuntamento risulta essere stato con l’utente Assiral.»

Alessandra piegò leggermente il corpo in avanti, lo sguardo che si faceva più intenso. «Quindi c’è un legame concreto. Ma quel nome… non mi convince. Suona troppo costruito.»

«Concordo» rispose Davide, facendo scorrere lo schermo per mostrare un estratto della chat. «Questo utente ha conversato con la vittima diverse volte, ma chiunque si celi dietro questo pseudonimo ha preso molte precauzioni.»

Luca aggrottò la fronte e si accarezzò la barba con fare pensieroso.

«Che tipo di precauzioni?»

L’informatico indicò alcune righe di codice.

«Ho tentato di risalire all’indirizzo IP, ma è stato tutto mascherato. L’utente ha utilizzato diversi server anonimi, combinando VPN e Tor. Chiunque sia, è un esperto. Non ha lasciato nulla al caso.»

«E nei messaggi?» domandò il commissario, stringendo leggermente gli occhi. «C’è qualcosa che possiamo usare per agganciarlo?»

Lui scosse la testa con una smorfia.

«Niente. Le conversazioni sono scarne, composte di frasi distaccate e generiche. Sembra quasi che volesse evitare di lasciare tracce.»

Alessandra intrecciò le dita, stringendole appena, come se cercasse di scaricare la tensione.

«Non è un comportamento comune. Potrebbe davvero essere il nostro killer.»

Luca annuì lentamente.

«Continua a scavare. Anche un dettaglio minuscolo potrebbe bastare per incastrarlo.»

«Farò del mio meglio Commissario» tornando immediatamente al suo lavoro.

Mentre uscivano dall’ufficio, Luca si fermò nel corridoio, abbassando lo sguardo per un istante. «Assiral» mormorò, lasciando che quel nome si insinuasse nella sua mente. Era come un filo sottile, quasi invisibile, eppure abbastanza concreto da ossessionarlo. «Chiunque sia, ci sta sfidando.»

Alessandra lo osservò, una ruga di preoccupazione che le attraversava la fronte.

«E sembra sapere come farlo. Ma lo smaschereremo. Non importa quanto ci vorrà.»

Lui annuì. Quel nome, Assiral, continuava a crescere come un’ombra, una minaccia che non potevano ignorare. E chiunque fosse, prima o poi avrebbe commesso un errore.

Capitolo 5: Vecchi amici

Luca fissava lo schermo del suo computer, gli occhi stanchi che correvano su linee di dati criptati, registri telefonici e resoconti d’interrogatori. L’indagine era a un punto morto. Ogni pista, ogni indizio raccolto nelle ultime 48 ore sembrava dissolversi in un vicolo cieco. Stava per chiudere il laptop, il pensiero di una pausa che si faceva sempre più allettante, quando il cellulare vibrò sulla scrivania.

Un messaggio. Bruno.

«Ciao, amico! È da un po’ che non ci vediamo. Stasera sei libero per un drink?»

Luca sorrise, quasi senza volerlo. Bruno Alfieri, il suo vecchio amico d’infanzia, era una presenza familiare e costante, anche se le loro vite li avevano portati lontano. Si erano conosciuti da ragazzi in Brianza, trascorrendo interminabili estati al lago. Ora, nonostante gli anni e le distanze, il loro legame era rimasto intatto: un punto fermo, come un faro nella tempesta.

«Certo, ci vediamo alle 19 al solito posto» rispose Luca. Il pensiero di staccare dalla pressione dell’indagine gli sembrava quasi una necessità.

Il bar era affollato quella sera, ma il loro tavolo nell’angolo era già pronto. Luci soffuse, fotografie in bianco e nero della vecchia Milano e l’odore di vino rosso e legno invecchiato creavano un’atmosfera accogliente.

Luca arrivò per primo. Ordinò due bicchieri di vino rosso e si lasciò cadere sulla sedia, cercando per un momento di liberare la mente. Non dovette aspettare a lungo: Bruno apparve poco dopo, elegante e impeccabile come sempre, il sorriso sicuro che gli illuminava il volto.

«Eccolo qui, il nostro detective di successo!» esclamò Bruno, battendo una mano sulla spalla di Luca prima di sedersi. «Come stai, amico?»

Luca alzò il bicchiere per brindare.

«Sto bene, Bruno. E tu? Sempre impegnato a risolvere i problemi del paese?»

Bruno rise, un suono caldo e contagioso.

«Ci proviamo, anche se certe volte è come scalare una montagna che continua a crescere sotto i nostri piedi. Ma non parliamo di me. Tu sembri stanco, più del solito. Cosa succede?»

Luca esitò un momento.

«Solo una settimana complicata. Abbiamo un caso particolarmente difficile.»

«Un caso complicato» ripeté Bruno, girando il bicchiere tra le mani. «Dev’essere pesante sapere di avere delle vite sulle spalle.»

Luca cercò di non lasciar trasparire troppo.

«Un omicidio» rispose, prendendo un sorso di vino. «Una ragazza trovata morta qualche giorno fa. Siamo ancora in alto mare.»

Bruno inclinò la testa, il suo sguardo intenso che studiava Luca.

«Terribile. Ma sai cosa penso? Sei il migliore in quello che fai. Troverai chi ha fatto questo.»

Le parole di Bruno lo colpirono. Avevano una sincerità che Luca non si aspettava, anche se, per un istante, una strana sfumatura nella voce del suo amico gli lasciò addosso un vago senso di disagio.

«Grazie, Bruno. Ne ho bisogno. A volte ho la sensazione di non essere all’altezza.»

Bruno scosse la testa con fermezza.

«Non dire sciocchezze. Ho visto di cosa sei capace, Luca. Se c’è qualcuno che può risolvere questo caso, quello sei tu.»

Parlarono per un po’ dei vecchi tempi, ridendo di episodi di gioventù e di amici comuni. Bruno raccontò storie divertenti dal mondo della politica, schivando con naturalezza gli argomenti troppo seri. Luca si lasciò andare, almeno per qualche momento, sentendo il peso del caso allentarsi, anche se solo per un istante.

Durante la conversazione, il telefono di Luca vibrò con un messaggio di Davide.

«Abbiamo trovato un collegamento: Assiral era attivo su un altro profilo simile. Possiamo parlarne subito?»

Luca lesse il messaggio senza reagire subito, ma dentro di sé una nuova urgenza cominciò a montare. Chiuse la serata con il suo amico d’infanzia, nascondendo la tensione dietro un sorriso frettoloso. «Devo andare, Bruno. Grazie per stasera.»

«Non preoccuparti» disse lui con il suo solito tono tranquillo. «Spero che tu riesca a trovare ciò che cerchi.» La frase, pur innocua, lasciò in Luca un vago senso di disagio, come se contenesse un significato più profondo.

Quando uscì dal bar, con la pioggia che gli scivolava addosso, prese il telefono e compose il numero di Davide mentre si dirigeva verso casa. La sua voce tradiva la stanchezza, ma c’era una nuova determinazione nel tono.

«Dimmi cosa hai trovato.»

«Assiral era in contatto con un certo Paolo Merlini, consulente finanziario. È uno dei contatti più frequenti della vittima. Gli ultimi messaggi tra loro… sono strani.»

La voce di Davide tradiva una certa agitazione.

«Alcuni sono cancellati, altri sembrano scritti di fretta. Non escluderei che Merlini sappia qualcosa di grosso.»

Luca annuì tra sé, mentre accelerava il passo sotto la pioggia.

«Analizza tutto e mandami un rapporto completo per domattina. Voglio parlare con lui appena possibile.»

Quando chiuse la chiamata, un pensiero gli attraversò la mente come un lampo: stavano finalmente stringendo il cerchio. Ma ogni volta che si avvicinavano, qualcosa sembrava sfuggire loro, come sabbia tra le dita. Con il cappotto che gocciolava e la mente che correva a mille, tornò a casa, sapendo che lo aspettava una lunga giornata.

Dall’altra parte della finestra del bar, Bruno lo osservava andare via, le mani infilate nelle tasche del cappotto. La pioggia sul vetro frammentava il suo volto in riflessi distorti. Per un attimo, un sorriso enigmatico gli increspò le labbra. Quali che fossero i suoi pensieri, li teneva per sé.

Capitolo 6: Corsa contro il tempo

Il sole invernale filtrava debolmente dalle finestre della centrale di polizia, illuminando le scrivanie ingombre di fascicoli e documenti. Il ticchettio delle tastiere riempiva l’aria, insieme all’aroma di caffè freddo e al mormorio sommesso degli agenti. Luca e Alessandra erano seduti uno di fronte all’altro, i volti segnati dalla stanchezza, mentre passavano al setaccio le informazioni appena ricevute su Paolo Merlini.

«Questo Merlini è sicuramente un tassello importante» disse lei, fissandolo dall’altra parte della scrivania. «Ma cosa lo lega ad Assiral?»

Lui si sporse in avanti, gli occhi puntati sullo schermo del computer.

«Merlini è uno dei contatti più frequenti della vittima. C’è qualcosa nei loro scambi che non torna. E se Assiral è coinvolto, Merlini potrebbe essere un complice… o l’anello debole.»

Si alzò di scatto, chiudendo il laptop.

«Prendiamo la macchina. Voglio parlare con lui.»

 

Paolo Merlini li accolse nel suo ufficio con un sorriso forzato. L’uomo, sulla cinquantina, era elegante e ben curato, ma i suoi movimenti nervosi tradivano un certo disagio. Si massaggiava le tempie, probabilmente colto da una forte emicrania, evitando di incrociare gli sguardi degli agenti.

Alessandra si sistemò sulla sedia di fronte a lui, il volto calmo ma deciso. Aprì il taccuino e, senza guardarlo, esordì con un tono fermo: «Signor Merlini, sappiamo che lei era uno dei contatti più frequenti della vittima. Preferiremmo che fosse lei a spiegarci il tipo di rapporto che aveva con lei.»

Merlini distolse lo sguardo, lisciandosi una ciocca di capelli.

«Era… una ragazza gentile. Educata. La incontravo di tanto in tanto.»

«Di tanto in tanto» ripeté lei, sollevando lo sguardo per incontrare il suo. «E per quale motivo, esattamente?»

L’uomo esitò, le mani che si muovevano in modo compulsivo.

«Era una… conoscenza personale. Niente di illegale.»

«Conoscenza personale?» Lasciò che le parole fluttuassero nell’aria, il suo tono neutro come una lama sottile. «Lei la contattava tramite un sito di escort. Possiamo risparmiarci le ambiguità. Ci interessano i dettagli.»

L’uomo sbiancò, il sorriso teso ormai scomparso. «Sì» ammise infine, abbassando lo sguardo. «Inizialmente l’ho contattata… attraverso quel sito. Ma poi… è cambiato tutto.» Si passò una mano sul viso, cercando le parole. «Abbiamo cominciato a parlare di più. Lei si confidava con me.»

Alessandra inclinò la testa, il tono più tagliente.

«Confidava cosa, esattamente?»

Merlini deglutì, tamburellando nervosamente le dita sul tavolo.

«Era preoccupata per qualcuno. Parlava di un cliente… o forse più di uno. Uno di loro la faceva sentire in pericolo. Ricordo che una volta lo chiamò Assiral.»

«Assiral?» incrociò le braccia, mantenendo uno sguardo impassibile. «E cosa le disse su questa persona?»

«Non molto» mormorò lui stringendosi nelle spalle. «Diceva che la pagava per restare anonima. E che non voleva essere trovato. Ma era… insistente, possessivo. Lei non sapeva come gestirlo. Mi disse che aveva paura che potesse farle del male.»

Alessandra lasciò passare qualche secondo, poi riprese con un tono più freddo.

«E lei? Cosa ha fatto per aiutarla?»

L’uomo si agitò sulla sedia.

«Ho provato. Le ho detto che poteva parlare con qualcuno, magari con voi. Ma lei mi ha pregato di non farlo. Non voleva creare problemi.» Fece una pausa, abbassando lo sguardo. «Qualche giorno dopo, però, non rispondeva più ai miei messaggi. Ho pensato che avesse deciso di tagliare i contatti. Non avrei mai immaginato che…» La voce gli si spezzò.

Non lo lasciò sfuggire.

«Non ci sta raccontando tutto. Ha provato a contattare Assiral?»

Lui esitò, visibilmente teso.

«Sì. Ho trovato un contatto legato a lui. Gli ho scritto, ma… non ho mai ricevuto risposta.»

Chiuse il taccuino con calma, alzandosi.

«Se ha altri dettagli, li vogliamo ora. Altrimenti la tratteremo come persona interessata al caso.»

Merlini annuì in fretta, balbettando un

«Vi ho detto tutto.»

«Per il suo bene, spero sia davvero così. Se ricorda altro, ci contatti immediatamente.»

 

Appena rientrati in centrale, si riunirono con Davide. Lui li stava aspettando davanti al monitor del computer, il volto segnato dall’urgenza.

«Ho trovato qualcosa» disse indicando lo schermo. «Assiral ha fissato un nuovo appuntamento. La prossima vittima è già stata contattata.»

«Quando?» chiese Luca, il tono già teso.

«L’incontro era previsto per le 13:00. Ho localizzato l’indirizzo.»

Luca guardò l’orologio. Erano le 13:15. Una fitta gli attraversò lo stomaco.

«Dannazione. Prepara tutto. Ci muoviamo subito.»

La macchina sfrecciava attraverso il traffico, le sirene che squarciavano l’aria. Luca stringeva il volante con forza, il volto contratto. Alessandra controllava le informazioni sul tablet, il respiro corto.

«Quanto manca?» chiese, senza distogliere gli occhi dalla strada.

«Dieci minuti. Forse meno.» lei fissava il display, il labbro inferiore serrato tra i denti. «Non possiamo permetterci di arrivare troppo tardi.»

Quando arrivarono all’indirizzo, erano le 13:40. L’edificio sembrava silenzioso, immerso in una quiete spettrale. Luca scese di corsa dall’auto, seguito da Alessandra e da due agenti.

La porta dell’appartamento era chiusa. Luca bussò con forza. Nessuna risposta. Fece un cenno agli agenti di procedere. Con uno schianto secco, la porta si spalancò, rivelando l’interno buio e immerso in un silenzio innaturale.

L’odore li investì all’istante: un vago sentore chimico, mescolato all’aroma pungente di alcol versato.

La stanza era immersa in penombra. Una sedia rovesciata, una bottiglia di vino versata sul pavimento. Sul letto, il corpo della giovane donna: i lunghi capelli rossi sparsi sul cuscino, il livido sul collo come un marchio indelebile.

Luca avanzò lentamente, il respiro controllato, mentre i suoi occhi scrutavano ogni angolo della stanza. Alessandra lo seguì a breve distanza, la mano che sfiorava l’arma sulla fondina per abitudine.

«Il collo…» mormorò lui, indicando il segno scuro.

Lei si avvicinò al letto, il viso contratto ma composto. I suoi occhi analizzarono il corpo con attenzione, registrando i dettagli senza lasciarsi distrarre dall’orrore. Una perlina colorata era stretta nella mano della vittima, una nota dissonante in mezzo alla scena di morte.

«La presa è troppo forte per essere casuale» osservò, mantenendo il tono professionale. «È come se volesse dirci qualcosa.»

Luca rimase in piedi accanto a lei, i pugni serrati.

«Dannazione… lo abbiamo mancato per pochi minuti.»

Alessandra annuì, ma i suoi occhi tradivano una rabbia trattenuta.

«Questo bastardo si prende il suo tempo. E ci sfida.» Fece un passo indietro, tirando un profondo respiro per allontanare la nausea. «Dobbiamo bloccare la scena e far entrare la scientifica. Ogni minimo dettaglio potrebbe essere utile.»

La notte stava calando quando la squadra si riunì in centrale. Il clima era pesante, carico di tensione. Davide alzò gli occhi dal computer e attirò l’attenzione di Luca.

«Commissario, c’è un dettaglio che potrebbe interessarti» disse, indicando lo schermo. «Ho trovato un pattern. Gli appuntamenti fissati da Assiral seguono un ordine specifico. Ogni vittima è collegata a un database accademico condiviso. Sembra che scelga donne legate a una cerchia universitaria precisa.»

Alessandra si avvicinò alla scrivania, il volto contratto.

«Questo restringe il campo.»

Luca annuì.

«Se capiamo come sceglie le vittime, possiamo anticiparlo. Continua a lavorare su questo, Davide.»

Fuori dalla centrale, il cielo era limpido e l’aria notturna frizzante. Camminavano fianco a fianco, in silenzio, il peso della giornata ancora sulle loro spalle. Le mani si sfioravano casualmente, un contatto lieve ma che nessuno dei due sembrava voler evitare.

«Ti va un bicchiere di vino?» chiese lei, rompendo la quiete con un tono che aveva qualcosa di familiare, quasi tenero.

Luca sorrise, lasciando che un po’ della tensione si sciogliesse.

«Se lo proponi tu, non posso dire di no.»

Trovarono un piccolo locale non lontano dalla centrale, un posto tranquillo, quasi deserto. Seduti a un tavolo vicino alla vetrata, osservavano le luci della città riflettersi sul vetro. Le loro giacche appese allo schienale delle sedie sembravano un gesto di resa alla stanchezza della giornata.

«È stata una giornata lunga» disse Alessandra, fissando il vino rosso che ruotava lentamente nel bicchiere. Poi sollevò lo sguardo, i suoi occhi che cercavano quelli di Luca.

Lui annuì.

«Lo è stata davvero. Ma ho il sospetto che sarà ancora più lunga domani.»

Gli sorrise leggermente, inclinando il capo.

«Non cambieresti questo lavoro per niente al mondo, vero?»

Scosse la testa, un piccolo sorriso che si apriva sul suo volto.

«Forse per qualcosa lo cambierei» rispose, il tono basso ma carico di significato.

Alessandra lo osservò per un istante, poi appoggiò la sua mano sopra quella di lui, intrecciando lentamente le dita alle sue. Il gesto era naturale, quasi istintivo, ma l’intensità che trasmetteva era inequivocabile.

«Sai» disse, la voce appena un sussurro, «non importa quanto tutto questo sia pesante… quando ci sei tu, sembra tutto più facile.»

Lui la guardò, stringendo leggermente la sua mano.

«È lo stesso per me.»

Un silenzio si allungò tra di loro, ma non era imbarazzante. Era carico di significati che non avevano bisogno di essere espressi a parole. I loro sguardi si intrecciarono. Luca si chinò appena, lasciando che le sue labbra sfiorassero quelle di Alessandra in un bacio lento, discreto ma pieno di tenerezza.

Quando si staccarono, lei sorrise, il rossore che le colorava appena le guance.

«Credo che il vino possa aspettare.»

Luca rise piano, quel suono basso e familiare che la faceva sempre sentire al sicuro.

«Forse hai ragione.»

Pagando in fretta, uscirono dal locale, il freddo della notte che li avvolse mentre si incamminavano verso casa, mano nella mano.

Capitolo 7: L’impronta del Male

La pioggia scendeva lenta e costante sui tetti di Milano, portando con sé l’odore umido dell’asfalto bagnato. Il freddo pungente penetrava attraverso i cappotti dei passanti, rendendo la città un mosaico di ombre grigie e visi infreddoliti. Il rumore dei pneumatici sul selciato accompagnava il ritmo monotono della giornata.

Luca entrò nell’ufficio del dottor Rinaldi, il medico legale, seguito dalla sua vice. Entrambi portavano addosso i segni di una giornata logorante, ma nei loro occhi c’era la determinazione a comprendere meglio i gesti del killer. La stanza era immersa in una luce fredda e artificiale, che amplificava la gravità di ciò che stava per essere discusso. Rinaldi, con il suo solito distacco professionale, stava finendo di organizzare i suoi documenti.

«Commissario, vice commissario» li salutò con un cenno. «Ho completato l’autopsia sulla seconda vittima. E ci sono delle conferme che penso troverete interessanti.»

Luca infilò le mani nelle tasche del cappotto, mentre Alessandra si avvicinava al tavolo, incrociando le braccia. «Ci dica tutto, dottore» disse lui.

Rinaldi aprì una cartellina e scorse rapidamente i suoi appunti. «Come nel primo caso, la vittima è stata strangolata. Ma ciò che conferma senza ombra di dubbio che abbiamo a che fare con lo stesso assassino sono i dettagli del modus operandi. Entrambe le donne sono state sedate con Valium, somministrato in una dose precisa: sufficiente a immobilizzarle, senza rischiare un’overdose immediata.»

«Quindi il killer non vuole che le sue vittime lottino» rifletté Alessandra. «Le rende incapaci di reagire, ma vuole che siano coscienti. È un elemento di controllo, no?»

«Esatto» confermò il medico, indicando un sacchetto di plastica sul tavolo. Al suo interno c’era una perlina di un rosso intenso. «E anche questa volta, ha lasciato il suo marchio: la perlina, posizionata con cura nella mano destra della vittima. Questo dettaglio è troppo specifico per essere una coincidenza. Potrebbe rappresentare un messaggio personale, qualcosa legato a lui o alle sue vittime.»

Luca si avvicinò, osservando il piccolo oggetto attraverso il sacchetto trasparente. Il rosso acceso sembrava quasi urlare contro il bianco sterile della stanza. «Un dettaglio così vivido… è come se volesse che lo notassimo. Forse vuole sfidarci.»

«Potrebbe rappresentare qualcosa di simbolico… Rosso, il colore del sangue, della passione. Un messaggio legato al killer o alle sue vittime» aggiunse lei, fissando la perlina con uno sguardo pensieroso.

«E i segni di legature?» chiese Luca, spostando lo sguardo verso il medico legale.

Rinaldi annuì. «Abrasioni leggere su polsi e caviglie, proprio come nel primo caso. È evidente che sono state legate, ma solo per breve tempo.»

«E i capelli?» aggiunse Alessandra. «Entrambe avevano i capelli rossi, giusto? È un dettaglio ricorrente?»

«Sì» confermò lui, alzando un sopracciglio. «Capelli rossi naturali, come nella prima vittima. Entrambe giovani, poco più che ventenni e studentesse universitarie. È evidente che questo assassino sceglie con attenzione le sue vittime.»

Luca rimase in silenzio per un momento, il pensiero che gli si insinuava lentamente nella mente. «E riguardo a un possibile contatto fisico?»

Rinaldi fece una pausa, scegliendo con cura le parole. «Non c’è traccia di penetrazione o di un rapporto sessuale completo. Tuttavia, abbiamo trovato segni che suggeriscono un contatto fisico. È possibile che l’assassino abbia agito in modo ritualistico, senza consumare un rapporto. Se il suo scopo è il controllo, potrebbe aver trovato soddisfazione semplicemente esercitando il dominio sulle sue vittime.»

«Un esercizio di potere» mormorò il commissario, gli occhi fissi sul sacchetto. «Non si tratta solo di uccidere, ma di affermare la propria supremazia.»

«Esatto» confermò Rinaldi, chiudendo la cartellina con un gesto calmo.

Alessandra incrociò lo sguardo di Luca, i suoi occhi freddi e concentrati. «Abbiamo abbastanza per iniziare a delineare un profilo. Ma questo assassino sta facendo di tutto per complicarci le cose.»

Luca annuì lentamente, il peso della consapevolezza che ogni dettaglio lasciato dal killer era intenzionale, come un enigma che si divertiva a vederli decifrare.

Uscirono dall’ufficio del medico legale mentre la pioggia continuava a battere sui marciapiedi e a riempire l’aria di un freddo umido che sembrava entrare nelle ossa.

Lui stava per aprire la portiera dell’auto di servizio quando il cellulare vibrò nella tasca del cappotto. Lo estrasse con un gesto rapido, facendo un cenno ad Alessandra di salire in macchina.

«Dimmi, Davide» disse, accendendo il motore e fissando la strada davanti a sé.

«Niente di nuovo dal lato informatico, ma sto ancora scavando sui contatti online del killer.»

«Fammi sapere appena salta fuori qualcosa.» chiuse la chiamata con un sospiro.

Si immise nel traffico mentre Alessandra, che osservava il telefono di Luca, aggrottò la fronte. «Aspetta un secondo… Assiral.»

«Che c’è?» chiese Luca, gettandole un’occhiata veloce.

Lei prese un respiro, il tono della sua voce ora più acuto. «Quando eri piccolo non giocavi mai con le parole all’incontrario?»

«Parole all’incontrario? A che razza di giochi giocavi?» disse lui con una smorfia.

«Per esempio Luca è Acul mentre Alessandra è Ardnassel» rispose con un sorriso come se si stesse prendendo gioco di lui.

«E quindi? Dimmi dove vuoi arrivare Alessandra senza fare tutti questi stupidi giochetti» disse Luca con un tono leggermente irritato.

«Larissa» disse Alessandra con un tono compiaciuto. «Assiral è Larissa al contrario.»

Luca frenò leggermente, lo sguardo fisso sulla strada davanti a sé, ma la mente alla deriva. Il nome riecheggiava nella sua testa come un vecchio disco graffiato, riportandolo a un tempo che credeva di aver dimenticato.

«Larissa…» ripeté sottovoce, il nome che gli bruciava in gola. Un lampo di immagini confuse gli attraversò la mente: una risata lontana, il riflesso del sole sull’acqua di un lago, e poi… il silenzio di una notte che non aveva mai dimenticato.

Lei lo scrutava attentamente, notando l’irrigidimento delle sue mani sul volante. «Conosci qualcuno con quel nome?» chiese, la voce più bassa, quasi temendo la risposta.

Lui esitò, le parole che gli si fermavano a metà strada. La verità gli pesava sulla lingua, ma non era ancora pronto a lasciarla uscire. Poi scrollò la testa, tentando di ricomporsi. «Non lo so. Potrebbe essere solo una coincidenza… ma non credo alle coincidenze in questo caso.»

Alessandra rimase in silenzio per un attimo, poi aggiunse: «Se è importante per lui, potrebbe essere legato al motivo per cui sceglie le vittime. Dovremmo verificare se c’è qualche connessione tra Larissa e le persone che ha ucciso.»

Luca annuì, ma il nome continuava a riecheggiare nella sua mente, come un fantasma del passato che si rifiutava di scomparire. «Sì… vediamo cosa salta fuori.»

Tornati alla centrale si divisero i compiti. Lei si dedicò a incrociare i dati delle vittime, mentre lui si immerse nei fascicoli, cercando di mantenere la concentrazione.

Dopo un po’, Alessandra entrò nella stanza con due tazze di caffè. Ne appoggiò una sulla sua scrivania e si fermò accanto a lui.

«Hai una faccia che parla da sola» disse con un mezzo sorriso. «Cosa ti preoccupa?»

«Sto solo cercando di mettere insieme i pezzi. Questo caso… è complicato.»

Lei lo osservò per un istante, poi annuì. «Lo so. Ma dobbiamo affrontarlo un passo alla volta. Il nome Larissa potrebbe essere la chiave. Concentriamoci su quello.»

Luca annuì lentamente. «Hai ragione.»

Alessandra gli diede una pacca sulla spalla e tornò alla sua scrivania. Luca restò a guardarla per un momento, poi tornò ai suoi documenti. Doveva restare lucido. Larissa sarebbe rimasta un enigma privato, almeno per ora.

Il nome Assiral non era più solo un indizio: era un messaggio. Ma per il momento, c’era un killer da fermare.

Capitolo 8: Verità scomode

Gocce d’acqua correvano lungo le finestre della centrale, deformando il panorama grigio di Milano. Luca e Alessandra erano immersi nei dettagli del caso. Quella mattina era arrivata la conferma dell’identità della seconda vittima: Martina Rossetti, ventun anni, studentessa universitaria della facoltà di lettere.

«Due vittime, stessa università, stesso modus operandi» commentò lui, fissando lo schermo.

«La madre di Martina vive a Monza» aggiunse lei, sfogliando il taccuino. «Ho fissato un incontro per il pomeriggio. È quasi ora di andare.»

Lui annuì, alzandosi dalla sedia. «Forse ci dirà qualcosa di utile. Anche se questa è la parte che odio di più.»

«A chi lo dici» replicò lei con un mezzo sorriso. «Ma siamo in due. Ci supportiamo a vicenda, no?»

Scambiò con lei un cenno di gratitudine, poi si infilò il cappotto.

L’appartamento della signora Rossetti era piccolo e ordinato, impregnato di un leggero odore di cera per pavimenti. La donna, provata dal dolore, non riuscì a fornire dettagli significativi. Raccontò solo di alcune telefonate serali fatte di nascosto dalla figlia e di un «lavoretto temporaneo» di cui Martina non aveva voluto parlare. Lasciarono l’abitazione con la sensazione di trovarsi davanti a un altro vicolo cieco.

Di ritorno in centrale, stavano discutendo sul caso quando il telefono di Luca vibrò.

«Ho trovato qualcosa» disse Davide dall’altra parte della linea. «Assiral ha fissato un nuovo incontro per stasera con una escort. È alle 21:00. Ti mando subito i dettagli.»

Luca scambiò un’occhiata con Alessandra. «Grazie, Davide. Continua a monitorare.»

Abbiamo un’occasione per prenderlo» disse lei. «Stasera possiamo appostarci e coglierlo sul fatto.»

Lui esitò. «Vai tu. Io devo seguire un’altra pista.»

«Un’altra cosa? E quale sarebbe questa pista?» chiese sorpresa.

Luca evitò il suo sguardo. «Non posso spiegartelo ora. Fidati di me.»

Rimase in silenzio per un istante, visibilmente contrariata. «Va bene, ma poi dovrai spiegarmi tutto.»

«Lo farò» promise, osservandola mentre si allontanava con un’espressione carica di dubbi.

Appena fu abbastanza lontana, prese il telefono e compose il numero di Bruno.

L’amico rispose dopo pochi squilli, la voce calma ma con un accenno di sorpresa.

«Ciao, Luca. Tutto bene?»

«Sì, tutto bene» rispose, forzando un tono disteso. «Ascolta, stavo pensando… Perché non usciamo stasera? Un bicchiere di vino, due chiacchiere. Non ci vediamo da un po’.»

Dall’altra parte ci fu una breve pausa. «Stasera? Mmh… non so, avevo già un impegno. Non penso di riuscire a spostarlo.»

«Che impegno?» insistette, con un tono casuale ma deciso. «Qualcosa di lavoro?»

L’altro esitò. «No, diciamo… un appuntamento personale. Non possiamo rimandare ad un’altra sera?»

«Dai» proseguì Luca, intensificando il tono. «Una serata tra amici ti farà bene. Ti ricordi quanti casi difficili ho superato grazie alle tue chiacchierate? Non ti puoi tirare indietro proprio ora. Ho bisogno di te.»

Dall’altro lato della linea, un sospiro. Una pausa, appena accennata, che tradiva il disagio. «Va bene. Dove ci vediamo?»

«Al solito posto. Alle 20:30» concluse Luca, nascondendo la soddisfazione nella voce.

«Ok. Ma non farmi aspettare.» rispose l’altro, riattaccando.

Si appoggiò alla sedia, lo sguardo fisso sul telefono. L’esitazione dell’amico gli aveva detto più di quanto le sue parole avessero voluto rivelare.

Alle 20:30 era già al locale, la pioggia continuava a cadere incessante, ma all’interno l’atmosfera era calda e accogliente. Le luci soffuse del locale illuminavano i tavoli di legno scuro, creando un contrasto netto con la pioggia battente fuori.

 

Bruno arrivò pochi minuti dopo, impeccabile come sempre. Il completo scuro era perfetto, ma Luca notò come si aggiustò i polsini con un gesto troppo rapido, quasi distratto.

Si sedette con la solita disinvoltura e fece un cenno al cameriere. «Un bicchiere di rosso.» Nessun menù, nessuna esitazione.

«Come va l’indagine?» chiese poi, intrecciando le dita sul tavolo.

Luca scrollò le spalle. «Complicata. Abbiamo qualche pista, ma sembra che l’assassino voglia decidere lui quando e come essere scoperto.»

L’altro sorrise appena, inarcando un sopracciglio. «Interessante.»

Alessandra intanto stava seduta nella macchina di servizio, le dita che tamburellavano nervosamente sul volante. La pioggia scorreva lenta sui finestrini, trasformando i lampioni in macchie tremolanti di luce. Guardò per l’ennesima volta l’orologio: 21:35. Il sospetto non si era ancora fatto vivo e il silenzio opprimente del parcheggio deserto stava iniziando a darle sui nervi.

Prese il telefono e rilesse il messaggio di Luca: «Non posso spiegarti ora. Ti aggiorno più tardi. Continua ad aspettare.»

Con un sospiro esasperato, si buttò contro lo schienale, incrociando le braccia. Era sempre stato un tipo riservato, ma questa volta c’era qualcosa di diverso. Era sfuggente. E, per la prima volta, si chiese se le stesse dicendo tutta la verità.

«Un altro bicchiere?» chiese Bruno, alzando il proprio come se fosse già deciso.

Luca annuì, fingendo un sorriso rilassato. «Certo, ma solo uno. Domani sarà una giornata lunga.»

Bruno si spinse indietro sulla sedia, incrociando le braccia con calma e studiando l’amico con quel suo solito sorriso enigmatico. «Sai, non mi sorprende che tu stia seguendo questo caso. Ti è sempre piaciuto risolvere i puzzle più complessi.»

«È il mio lavoro» replicò Luca, mantenendo il tono neutro. Ma dentro di sé sentiva crescere un peso: ogni parola di Bruno sembrava misurata, come se sapesse più di quanto lasciasse intendere.

Alessandra guardò l’orologio: erano passate le 21:40. Nulla si muoveva nel parcheggio deserto. Il sospetto non si era presentato, e ormai non si aspettava più che lo facesse. La sua mente, però, non riusciva a fermarsi. Prese il telefono per comporre il numero di Luca, poi si fermò, indecisa. «E se non fossi pronta a sentire la sua risposta?»

La pioggia continuava a battere sul tettuccio, si concentrò sul ticchettio regolare, cercando di calmarsi. Poi un pensiero le attraversò la mente, quasi un sussurro: «E se Luca non fosse qui per proteggerci dal killer… ma per proteggerlo da noi?»

Scosse la testa, come per scacciare l’idea. Era assurdo. Ma più ci pensava, più l’irritazione si trasformava in una punta di sospetto. Non sapeva perché, ma c’era qualcosa di sbagliato in quella serata.

Il telefono vibrò di nuovo.
«Torna a casa. Non verrà. Ne sono sicuro.»

Il suo sguardo si indurì. Non era da lui comportarsi così. Avrebbe voluto rispondergli, sfogarsi, ma si trattenne. Spense il motore dell’auto e strinse il volante con forza. Tornare in centrale, senza una spiegazione chiara, le bruciava. Ma il sospetto che qualcosa le stesse sfuggendo era diventato troppo forte per essere ignorato.

Bruno sollevò il bicchiere per un ultimo sorso, le dita che giocavano distrattamente con il bordo della coppa. I suoi occhi si posarono su Luca, studiandolo con calma, quasi come se stesse cercando di leggervi qualcosa di nascosto. «Se ti conosco, però, starai già preparando il tuo prossimo colpo di scena, vero?»

Luca si limitò a un sorriso neutro. «Faccio del mio meglio.»

Per un momento il silenzio tra loro si allungò, denso e carico. Il rumore della pioggia fuori dal locale sembrava farsi più forte, un sottofondo che accentuava l’atmosfera tesa. Poi Luca inclinò leggermente la testa. «A proposito, ti ricordi di Larissa?»

Bruno si irrigidì appena. Fu solo un istante, un riflesso quasi impercettibile, ma sufficiente a catturare la sua attenzione. Il bicchiere rimase sospeso a mezz’aria, le sue dita che si stringevano appena intorno al vetro.

«Larissa?» con un sorriso teso, che si fermò sulle labbra. «Certo, me la ricordo. Perché me lo chiedi?»

Luca sostenne il suo sguardo, cercando di mantenere un tono casuale. «Mi è tornata in mente. Mi sono chiesto se tu sapessi qualcosa di lei. Ti sei mai chiesto come stia?»

L’amico posò il bicchiere con lentezza, come se stesse prendendo tempo per scegliere le parole. Quando parlò, la sua voce era calma, ma il tono era più rigido del solito. «Non ci penso spesso» replicò, lo sguardo che si spostava brevemente verso la finestra, come a cercare un’ancora. «Certe persone del passato è meglio lasciarle lì. Non trovi?»

Lui annuì, ma qualcosa nella risposta di Bruno lo irritò. Non erano le parole in sé, ma il modo in cui erano state pronunciate: un tentativo deliberato di chiudere il discorso, come se l’argomento fosse troppo scomodo da approfondire.

«Già» disse infine, lasciando cadere la conversazione.

Bruno sorrise di nuovo, ma stavolta c’era qualcosa di freddo nella curvatura delle sue labbra. «Sai, Luca, il passato è curioso. Può perseguitarti… oppure puoi scegliere di lasciarlo andare. Sta tutto a te.»

Il tono era ambiguo, quasi minaccioso, ma Bruno non gli lasciò il tempo per rispondere. Sollevò il bicchiere, fece un brindisi silenzioso e bevve l’ultimo sorso.

Dopo essersi separato da Luca, Bruno camminava sotto la pioggia incessante, il suono delle sue scarpe sul marciapiede che si mescolava con il fruscio delle gocce. Le strade erano deserte, illuminate dai riflessi tremolanti dei lampioni sull’asfalto bagnato.

Il nome di Larissa, pronunciato da Luca quella sera, continuava a riecheggiargli nella mente, come un’eco lontana che si faceva sempre più forte. Per anni aveva cercato di soffocare quei ricordi, di sigillarli in un angolo buio della sua memoria. Ma ora erano tornati, vivi come allora.

Si rivide, anni prima, nella villa dei suoi genitori sul Lago di Garda. Era una sera d’estate. Larissa rideva, il suono cristallino della sua voce si mescolava al fruscio delle foglie mosse dal vento. Poi il ricordo si fece più scuro: la risata interrotta, il silenzio soffocante, il riflesso di una collana spezzata che gli scivolava tra le dita. Un filo di perline colorate, con un ciondolo a forma di cuore, oscillava debolmente nella sua mano tremante.

Tornato al presente, si fermò davanti alla porta del suo appartamento. Entrò e accese la luce dello studio, dirigendosi verso il cassetto segreto nella scrivania. Le sue mani si mossero lente ma decise mentre lo apriva. Dentro, il filo di perline brillava ancora sotto la luce fioca, e il piccolo cuore rosso sembrava pulsare contro il velluto nero del contenitore.

Prese la collana con delicatezza, lasciandola scivolare tra le dita, le perline fredde contro la sua pelle. Un sorriso sottile si disegnò sul suo volto, freddo e soddisfatto.

«Non importa quanto scavano» mormorò tra sé. «Non troveranno mai la verità.»

Capitolo 9: Il segreto di Larissa

La luce del mattino filtrava attraverso le finestre dell’ufficio, disegnando ombre irregolari sulla scrivania di Luca. Il fascicolo davanti a lui era aperto, ma la sua mente vagava altrove. L’aroma del caffè precedette l’arrivo di Alessandra, che entrò senza bussare e posò una tazza accanto a lui.

«Allora, vuoi dirmi cos’è successo ieri sera?» Le braccia incrociate e lo sguardo fermo non lasciavano spazio a scuse.

Luca alzò gli occhi, mantenendo un’espressione neutra. «Niente di particolare. Sono uscito con un vecchio amico.»

Lei inarcò un sopracciglio. «Un vecchio amico?» Lo studiò per un istante, poi scosse la testa. «Non sarà una delle tue solite intuizioni?»

Luca prese un sorso di caffè, evitando il suo sguardo. «Sto solo cercando di collegare i pezzi. Non voglio saltare a conclusioni affrettate.»

«E quindi escludi la squadra?» incalzò lei. «Sai qualcosa che non ci stai dicendo, Luca. E questo non è da te.»

«Non vi sto escludendo» rispose lui con calma. «Voglio solo essere sicuro prima di coinvolgervi.»

Alessandra serrò le labbra, trattenendo a fatica l’irritazione. «Rispetto il tuo istinto, ma non puoi fare tutto da solo. Se riguarda il caso, devo saperlo. Siamo una squadra, o no?»

Luca sospirò. «Non è una questione di fiducia.»

«Davvero?» ribatté lei. «Perché da qui sembra il contrario.»

Si fissarono in silenzio per un lungo istante. Poi Alessandra si scostò. «Sai dove trovarmi, Luca. Quando deciderai di comportarti da collega, fammelo sapere.»

Lui si alzò, teso. «Ci sono cose che non posso condividere subito.»

Lei sbuffò. «Spero solo che tu sappia quello che fai. Perché se sbagli, potresti non essere l’unico a pagarne il prezzo.»

Prima che Luca potesse rispondere, Davide entrò nell’ufficio con il tablet in mano. «Scusate l’interruzione» disse, posandolo sulla scrivania. «Ho trovato qualcosa di interessante analizzando i messaggi tra Assiral e la donna con cui aveva appuntamento ieri sera.»

Luca si raddrizzò. «Di cosa si tratta?»

Davide scrollò lo schermo e indicò due messaggi. «Il primo è una conferma: ‘Ci vediamo alle 21. Ricorda di non dirlo a nessuno.’ Poi, meno di un’ora prima dell’appuntamento, un altro: ‘Non posso più. Ho cambiato idea.’»

Alessandra si avvicinò, leggendo sopra la spalla di Davide. «Ha cancellato all’ultimo minuto? Strano.»

«Sì» confermò Davide. «Forse ha intuito qualcosa. O ha avuto paura.»

Luca restò in silenzio, lo sguardo fisso sullo schermo. Alessandra notò la sua espressione e lo scrutò con attenzione. «Tu però sapevi già che non si sarebbe presentato, vero?»

Luca chiuse il tablet con calma. «Diciamo che me lo aspettavo.»

Lei non insistette oltre. «Davide, continua a cercare. Voglio ogni dettaglio su Assiral.»

Quando rimase solo, Luca si alzò, prese il cappotto e uscì. Doveva parlare con Larissa.

Durante il viaggio verso il Lago di Garda, Luca seguì un impulso inaspettato. Svoltò verso la villa di Bruno, un luogo che custodiva ricordi di estati lontane. Mentre guidava, il paesaggio familiare risvegliò emozioni contrastanti: nostalgia e inquietudine si mescolavano, rendendo il respiro pesante.

Arrivato davanti alla villa, i ricordi lo travolsero. La casa si ergeva imponente, circondata da alberi silenziosi. Le finestre alte e severe osservavano il mondo esterno, mentre in giardino l’altalena costruita anni prima dondolava appena.

Luca rivide quel giorno. Bruno, con la sua solita sicurezza, aveva trovato corde e legno e lo aveva convinto: «Vedrai, sarà fantastico!» Ricordava la stretta delle mani sull’asse, il dondolio crescente, le risate che riempivano l’aria. Ma soprattutto ricordava lo sguardo di Bruno: compiaciuto, come se controllare tutto fosse il vero divertimento.

Un sorriso amaro gli affiorò sulle labbra. Avevano condiviso tutto: segreti, sogni, avventure. Bruno era sempre stato il leader, capace di trasformare ogni momento in qualcosa di straordinario. Ma ora quei ricordi avevano un sapore diverso. Forse, in fondo, aveva sempre saputo che in lui c’era un lato oscuro: un amore morboso per il controllo, una spinta sottile a valicare i limiti.

Distolse lo sguardo dalla villa, ma l’immagine dell’altalena continuava a tormentarlo. Non era più solo un ricordo innocente, ma il riflesso di qualcosa di più profondo. Fece un lungo respiro e tornò in macchina. Il tempo dei giochi era finito. Ora doveva affrontare il passato.

Arrivato a casa di Larissa, si fermò davanti alla porta. La villetta, modesta ma curata, era incorniciata da edera e vasi di fiori vivaci, un contrasto con la tempesta che gli agitava la mente. Con un battito di cuore più veloce, suonò il campanello.

La porta si aprì lentamente, rivelando Larissa. I suoi capelli rossi ricadevano sulle spalle in morbide onde, e il suo sguardo, inizialmente sorpreso, si trasformò in un misto di riconoscimento e curiosità.

«Luca…» mormorò, la voce incerta ma carica di emozione.

«Lo so, Larissa… è passato tanto tempo» rispose, con un sorriso teso.

Lei si scostò, invitandolo ad entrare.

L’interno della casa era accogliente, con pareti dai toni caldi, una mensola di libri consumati e fotografie che raccontavano la sua vita. Ogni dettaglio sembrava parlare di lei, della donna che era diventata.

«Scusa per essere arrivato così all’improvviso» disse Luca, rompendo il silenzio. «Ma dovevo parlarti. C’è qualcosa che non può aspettare.»

Larissa annuì e lo fece accomodare. Si sedette di fronte a lui, le mani intrecciate, osservandolo in attesa.

Dopo qualche chiacchiera di circostanza, lei si alzò e tirò fuori un album di vecchie fotografie. «Guarda, ci sono ancora delle foto di noi insieme» disse, mostrandogliene alcune.

Luca sfogliava l’album con Larissa, ma le sue mani si fermarono quando vide una foto che gli fece mancare il fiato. Lei indossava una collana di perline colorate, con un piccolo ciondolo a forma di cuore. Quel dettaglio risvegliò ricordi che aveva cercato di soffocare per anni.

«Larissa…» mormorò, indicando la collana. «Quella collana… l’ho già vista.»

Larissa abbassò lo sguardo. Le sue dita si intrecciarono nervosamente. «Me l’aveva regalata Bruno» disse, la voce un filo. «Diceva che mi stava bene. Che mi faceva sembrare speciale. La portavo sempre, mi dava un senso di protezione.»

Luca la fissava, incapace di parlare. Sapeva cosa stava per dire.

«Fino a quella notte» continuò Larissa, con un respiro tremante. «Alla villa. Lui aveva bevuto troppo… ero da sola con lui. Sembrava diverso, come se fosse un’altra persona.»

Si fermò, e Luca sentì il bisogno di interrompere, di proteggerla dal dover proseguire, ma lei scosse la testa, come per impedirgli di fermarla.

«Si avvicinò.

Mi parlava con quella voce che non avevo mai sentito prima… rideva, ma c’era qualcosa di terribile nei suoi occhi.» Le dita di Larissa si portarono istintivamente al collo, come se potesse ancora sentire le sue mani. «Strappò la collana. Mi disse che ero sua. Che nessuno avrebbe mai potuto portarmi via.»

Le parole di Larissa lo colpirono come un macigno. Ogni dettaglio di quella notte gli tornò in mente, come un vortice dal quale non riusciva a fuggire. Sapeva cos’era successo. Lo aveva sempre saputo. Eppure, aveva taciuto.

«Larissa…» iniziò Luca, ma lei lo interruppe.

«Tu lo sapevi, vero?» chiese, sollevando lo sguardo su di lui, gli occhi rossi e pieni di rabbia trattenuta. «Luca, dimmi la verità. Lo sapevi?»

Luca abbassò lo sguardo, incapace di sostenerla. «Sì» ammise, la voce spezzata dal rimorso. «Lo sapevo. E non ho fatto nulla. Non ho avuto il coraggio.»

Larissa si scostò, le mani tremanti. «Come hai potuto, Luca? Come hai potuto lasciarmi da sola con lui? Io… mi fidavo di te. Pensavo che tu fossi diverso.»

Luca si prese il viso tra le mani, poi lasciò andare un lungo sospiro, cercando di alleggerire la tensione che lo opprimeva. Sentiva il cuore martellare, la pressione delle sue stesse scelte che ora lo schiacciava. «Credevo di fare la cosa giusta, Larissa. Bruno… era come un fratello per me. Mi dicevo che non potevo tradirlo, che non potevo rovinargli la vita. Ma non stavo proteggendo lui. Stavo proteggendo me stesso dalla verità.»

Larissa scosse la testa, incredula. «Hai protetto lui, Luca. Hai scelto lui, non me. Ero io quella che aveva bisogno di aiuto. Ma tu non hai mosso un dito.»

«Lo so»

rispose Luca, la voce carica di colpa. «Ogni singolo giorno mi porto dietro quel peso. Ogni volta che lo guardavo, ogni volta che pensavo a te, sapevo che avevo fatto la scelta sbagliata. E avrei dato qualsiasi cosa per poter tornare indietro.»

Larissa si coprì il volto con le mani, lasciando scivolare le lacrime. Poi, con voce tremante ma decisa, parlò: «Non posso perdonarti, Luca. Non ancora. Forse mai. Perché la tua amicizia con Bruno mi è costata troppo. Mi ha tolto tutto.»

Luca si accovacciò davanti a lei, guardandola con occhi pieni di dolore. «Hai ragione, Larissa. Non merito il tuo perdono. Ma non voglio più commettere lo stesso errore. Questa volta… devo fermarlo.»

«In che senso devi fermarlo? Cosa stai cercando di dirmi Luca?»

«C’è qualcosa che devi sapere Larissa. Bruno… non si è fermato. Quelle donne… gli omicidi di Milano… portano a lui.»

Larissa lo fissò, il viso pallido. «Ma che diavolo stai dicendo?»

«Quelle perline, Larissa… le ho viste. Le usa. Sono il suo marchio. È il suo modo di lasciarmi un messaggio. Di tormentarmi.»

Larissa si portò una mano alla bocca, gli occhi pieni di orrore. «No… no, questo non può essere vero. Non Bruno. Non dopo quello che mi ha fatto… non può essere diventato un assassino.»

«Non lo riconosco nemmeno più» rispose Luca, accovacciandosi davanti a lei. «Ma devo fermarlo. Non posso restare in silenzio. Non dopo quello che ti ha fatto. E non dopo quello che ha fatto a loro.»

Larissa scoppiò in lacrime, il corpo scosso dai singhiozzi. Luca le prese le mani, stringendole con delicatezza. «Non è colpa tua, Larissa» disse con voce ferma. «Non lo è mai stata. Ma ho bisogno del tuo aiuto per fermarlo. Qualsiasi cosa tu possa ricordare… qualsiasi dettaglio.»

Larissa rimase in silenzio, combattendo contro il peso del passato. Poi alzò lo sguardo, e nei suoi occhi cominciò a brillare una determinazione nuova. «Se posso aiutarti… lo farò. Non voglio che faccia del male a qualcun’altra. Non più.”

Fece una pausa, il viso segnato dalla sofferenza. «Ma affrontarlo… non sarà facile. Non dopo tutto quello che è successo.» Si strinse nelle spalle, come se tentasse di scrollarsi di dosso le ombre del passato. «Non sono sicura di essere pronta… ma devo farlo. Per quelle donne. E per me stessa.»

Luca annuì, la guardava con un misto di ammirazione e tristezza. «Lo capisco, Larissa. Qualsiasi cosa tu riesca a dirmi, sarà importante. Non posso chiederti di più.»

Si alzarono insieme, e Larissa lo accompagnò verso la porta. Prima che Luca uscisse, lei esitò un istante, poi afferrò il telefono dal tavolo.

«Hai un numero a cui posso trovarti?» chiese, senza guardarlo direttamente.

Luca annuì e le dettò il contatto mentre lei lo digitava.

«Ti faccio uno squillo così memorizzi il mio. Se hai bisogno… per qualsiasi cosa.»

«E tu, se ricordi qualcosa… o se hai bisogno di me… chiamami, d’accordo?»

Larissa fece un cenno d’assenso, il viso ancora segnato dall’emozione. «Stai attento, Luca. Non so chi sia diventato Bruno… ma so che è pericoloso. E… non sono sicura che tu sappia contro chi ti stai mettendo.»

Luca si fermò un istante, guardandola con un misto di tristezza e determinazione. «Lo so. E farò di tutto per fermarlo.»

Uscendo dalla casa di Larissa, Luca sentiva il peso di ciò che aveva appena scoperto. Mentre guidava verso Milano, le sue emozioni si intrecciavano in un vortice di colpa, rabbia e determinazione.

Quando le luci della città apparvero all’orizzonte, strinse il volante. Non avrebbe fallito. Non questa volta.

Capitolo 10: Il messaggio

Luca si muoveva avanti e indietro nel suo ufficio. Ogni passo risuonava come un martello sul silenzio opprimente, mentre il fascicolo sulla scrivania lo fissava come una sfida irrisolta. Il respiro corto e i pensieri frammentati lo soffocavano, ma non riusciva a fermarsi. Bruno. Le perline. Assiral. La verità lo stava consumando.

Accese il computer, sperando che Davide avesse trovato qualcosa di nuovo. Ogni minuto che passava senza una risposta sembrava un’eternità. Poi il telefono vibrò sulla scrivania.

«Luca, sono Davide. Ho qualcosa. Puoi passare nel mio ufficio? È più semplice spiegartelo di persona.»

L’ufficio di Davide era solo qualche piano sopra il suo. Luca prese il fascicolo che aveva con sé e si diresse verso l’ascensore, cercando di mantenere la calma. Quando arrivò, Davide indicò lo schermo, con una cartina aperta e un insieme di dati accanto.

«Dunque, sono riuscito a rintracciare l’ultimo accesso all’account di Assiral. Si tratta di un indirizzo IP registrato a questa zona» disse, puntando il dito su un cerchio rosso disegnato sulla cartina. «È una zona residenziale, con una manciata di edifici commerciali e uffici. Il problema è che il provider non fornisce dati più precisi senza un mandato, quindi per ora possiamo solo restringere il campo a un raggio di circa tre isolati.»

Luca si chinò sulla cartina, il respiro appena percettibile. Si passò una mano sul collo, sentendo il sudore accumulato in un punto che sembrava diventato un nodo di tensione. «E possiamo capire da quale dispositivo è partito l’accesso?»

Davide scosse la testa. «Non ancora. Il server mostra solo un dispositivo generico: potrebbe essere un laptop, un desktop, persino un cellulare collegato tramite hotspot. L’unico dato utile è che il dispositivo usava una connessione cablata, il che riduce un po’ il campo: niente Wi-Fi pubblico, almeno non in questo caso.»

Luca annuì, riflettendo. «Quindi potrebbe trattarsi di una connessione casalinga o di un ufficio privato.»

«Esatto» confermò Davide. «E il tempo di accesso è interessante: l’attività è durata circa 15 minuti, dalle 22:30 alle 22:45.

Non ci sono stati tentativi di mascherare l’indirizzo IP, quindi chiunque fosse potrebbe aver agito in modo rapido o disattento. Tuttavia, non possiamo escludere che sia stato fatto di proposito, per depistarci.»

Luca si accigliò. «E se fosse stato usato un proxy o una VPN?»

Davide sorrise appena. «Buona domanda. Ho controllato i log del server. Niente che indichi un proxy attivo, ma potrebbe aver usato un sistema più sofisticato. Se è così, il tempo breve di connessione potrebbe indicare un tentativo di copertura.»

«Quindi sappiamo dove cercare, ma non abbiamo ancora un bersaglio preciso.»

«Già» concluse Davide. «Ma questa è la zona più vicina che abbiamo mai avuto finora. Con un mandato, potremmo ottenere un’elenco degli account registrati nelle connessioni locali o dei contratti internet attivi in quell’area.»

Luca annuì lentamente, lo sguardo fisso sul cerchio rosso. «Bene. È un punto di partenza. Continua a scavare, Davide. Qualsiasi cosa trovi, fammela sapere subito.»

Davide lo osservò, con un’espressione seria. «Questo tizio è bravo, ma non infallibile. Stai attento. Potrebbe già sapere che lo stiamo cercando.»

Luca rimase in silenzio per qualche istante, poi abbassò lo sguardo sulla cartina, come se cercasse di leggervi dentro una risposta. «Hai fatto un ottimo lavoro, Davide. Questo è un passo avanti.»

Davide lo osservò per un momento. «Stai bene, Luca? Sembri più teso del solito.»

«Sono concentrato.» Luca prese il foglio con i dettagli tecnici e una copia della cartina. «Mandami qualsiasi aggiornamento appena hai qualcosa.»

Si avviò verso la porta, poi si voltò un’ultima volta. «Voglio tutto quello che puoi ottenere su quell’area. Ogni dettaglio.»

Davide annuì. «Ci sto già lavorando.»

Alessandra lo aspettava in sala briefing, il telefono ancora incollato all’orecchio. «Sì, ho capito. Mandami tutto via mail e verifica quelle tempistiche. Grazie.» Riagganciò con un gesto rapido, il volto segnato dalla tensione. Quando si voltò verso Luca, il suo sguardo era un misto di irritazione e stanchezza.

«Finalmente. Dove sei stato?» chiese, incrociando le braccia e fissandolo come se cercasse di leggere tra le pieghe del suo volto.

«Da Davide» rispose Luca, porgendole una cartina piegata con il cerchio rosso ben visibile. «Abbiamo trovato qualcosa. Non è molto, ma è un inizio.»

Alessandra prese la cartina senza abbassare lo sguardo su di lui. «E non pensavi di avvisarmi?»

«Non c’era tempo» replicò lui, il tono pacato ma con una nota di difesa. «E tu? Cos’era quella chiamata?»

Lei aprì la cartina, scorrendo velocemente il cerchio con gli occhi, prima di rispondere con un sospiro stanco. «Un informatore. Dice di aver visto qualcosa di sospetto in un locale della zona. Una delle vittime potrebbe essere stata lì la sera prima di sparire. Ma al momento è solo una segnalazione vaga.»

«Sei sicura della fonte?» chiese Luca, spostando lo sguardo dalla cartina al volto di Alessandra.

«Abbastanza» rispose lei, sedendosi accanto al tavolo e appoggiando la cartina davanti a sé. «Ma finché non ho qualcosa di concreto, non lo definirei un passo avanti. Questo invece…» fece un cenno verso il cerchio rosso. «Questo è già più solido. Pensi che ci porterà a qualcosa?»

Luca si prese un attimo prima di rispondere. «Non lo so ancora» disse, le mani che si appoggiavano sul tavolo. «Ma è il primo passo concreto che abbiamo. Non possiamo ignorarlo.»

Lei lo fissò per un momento, studiandolo. Poi si passò una mano tra i capelli, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia. «Va bene. Ma Luca…» Sollevò lo sguardo, i suoi occhi ora erano penetranti, più seri. «Cosa c’è che non mi stai dicendo?»

Lui si irrigidì. «Nulla» disse, alzandosi e voltandosi verso la finestra per evitare il suo sguardo. «Sto solo cercando di mettere insieme tutto.» Inspirò profondamente, come se volesse liberarsi di qualcosa che non riusciva a esprimere. «Credimi, quando avrò qualcosa di chiaro, te lo dirò.»

Alessandra rimase immobile per un momento, poi si alzò, il rumore della sedia che strideva leggermente sul pavimento. Fece un passo verso di lui, la voce più bassa, ma carica di emozione.

«Luca» disse, il suo tono morbido ma fermo. «Sai che non sono qui solo per coprirti le spalle. Ti vedo. Ti vedo davvero.» La sua voce tremava leggermente, non di rabbia, ma di qualcosa di più profondo. «Stai cercando di tenere tutto dentro, ma così finirai per trascinarti giù. Parlamene. Non perché dobbiamo chiudere il caso… ma perché io ci sono.»

Luca rimase in silenzio, la testa leggermente inclinata verso la finestra. Il nodo in gola era quasi insopportabile. Sentiva la sincerità nelle sue parole, il calore inaspettato nella freddezza della stanza.

Dopo qualche secondo, mormorò, quasi impercettibile: «Grazie, Alessandra. Ma davvero, va tutto bene. Pensiamo a chiudere questo caso.»

Alessandra lo scrutò per un lungo momento, come se cercasse una crepa in quell’armatura che si era costruito. I suoi occhi si addolcirono, ma non insistette. Alla fine annuì, ma il suo sguardo diceva che non aveva creduto a una parola.

«Ci aggiorniamo tra un’ora» disse, ma prima di uscire aggiunse, con un filo di voce: «E io sarò qui, Luca. Anche quando tutto questo finirà.»

Uscì dalla sala, lasciando dietro di sé non solo il silenzio del lavoro incompiuto, ma anche un senso di presenza che Luca non riusciva a ignorare.

Luca guidava verso il quartiere elegante dove abitava Bruno. La mente gli martellava di dubbi: cosa avrebbe trovato? Come avrebbe potuto agire senza sollevare sospetti? Sapeva solo che doveva fare qualcosa. Era un rischio, ma non aveva tempo da perdere. Doveva osservare, fare domande, capire se c’era qualcosa che potesse confermare i suoi sospetti.

 

Arrivato davanti all’elegante palazzo, parcheggiò poco distante e si avvicinò all’ingresso. Conosceva bene quel posto: c’era stato molte volte negli anni passati, prima che le loro vite prendessero direzioni così diverse.

Luca salì con l’ascensore fino all’ultimo piano, osservando il numero dei piani illuminarsi uno dopo l’altro sul piccolo display. Quando raggiunse l’attico, prese un respiro profondo e suonò il campanello. Il suono, discreto ma deciso, si propagò oltre la porta.

Pochi istanti dopo, sentì un familiare rumore di passi sull’elegante pavimento in legno. La porta si aprì rivelando la moglie di Bruno, impeccabile come sempre. Indossava un abito semplice ma raffinato e aveva i capelli raccolti in uno chignon curato, come se fosse pronta ad accogliere ospiti in qualsiasi momento.

«Luca!» esclamò con un sorriso caldo. «Che piacere vederti, è da così tanto tempo.»

«Ciao Elena» rispose Luca, cercando di mascherare la tensione con un sorriso rilassato.

«Bruno non è in casa, è ancora al lavoro» disse Elena con il suo solito tono cortese, facendo un piccolo gesto con la mano per invitarlo a entrare. «Ma entra pure, ti prego. È davvero una sorpresa rivederti. Posso offrirti qualcosa?»

Luca esitò per un istante, il suo sguardo che sfiorava l’interno dell’appartamento attraverso la porta socchiusa. L’attico, situato nel cuore pulsante di Milano, era elegante senza essere ostentato, con grandi vetrate che incorniciavano una vista mozzafiato sulla città. Eppure, qualcosa lo metteva a disagio. Gli ambienti familiari che una volta lo avevano accolto con calore ora sembravano distanti, come un palcoscenico pronto a svelare un segreto. L’aroma di lavanda, che in passato lo aveva rasserenato, ora gli dava una strana sensazione di oppressione.

«Non ti ruberò molto tempo» disse infine Luca con un sorriso misurato, tentando di nascondere il proprio nervosismo. «Vorrei solo farti qualche domanda… sto lavorando a un caso importante e ho bisogno di alcune informazioni. Nulla di preoccupante» aggiunse, con un tono studiato per sembrare casuale.

Elena lo fissò per un momento, un’ombra di incertezza attraversandole il viso, ma alla fine si fece da parte, facendogli spazio per entrare. «Va bene» rispose con calma, chiudendo la porta dietro di lui.

Una volta entrato, Luca sentiva ogni scricchiolio del parquet sotto i suoi piedi risuonare come un’esplosione nella sua mente. I dettagli della casa, così perfettamente in ordine, amplificavano il suo disagio: il tappeto persiano all’ingresso sembrava appena spazzolato, i mobili brillavano, e ogni cosa era esattamente al proprio posto. Sul divano, i figli di Bruno guardavano un cartone animato che riempiva l’aria di suoni vivaci. Quando sentirono i passi di Luca, alzarono per un attimo lo sguardo.

«Ciao ragazzi» disse Luca con un sorriso gentile. I bambini risposero con un cenno distratto, tornando subito alla loro occupazione.

Elena indicò una sedia accanto al tavolo. «Accomodati, Luca. Dimmi, di che informazioni hai bisogno?» chiese con calma, anche se un leggero velo di curiosità sembrava attraversarle lo sguardo.

«Solo alcune domande generiche» iniziò Luca, mantenendo il tono informale. «Sai se Bruno ha avuto di recente… impegni fuori dall’ordinario? O se ha parlato di qualche progetto particolare?»

La moglie di Bruno lo guardò con una leggera perplessità. «No, nulla di diverso dal solito. Lavora molto, come sempre. E poi ci sono i suoi impegni istituzionali.»

Luca annuì. «Capisco. E ti capita di notare se esce spesso la sera, magari per lavoro o altro?»

Lei aggrottò la fronte, pensierosa. «No, direi di no. Resta a casa quasi tutte le sere. Al massimo capita che abbia delle riunioni, ma di solito mi avvisa. Perché questa domanda?»

«Solo per capire meglio le sue abitudini» rispose Luca, schivando con un sorriso rassicurante. Poi proseguì con un’altra domanda: «E per caso usa molto il computer di casa? O preferisce lavorare in ufficio?»

Lei scrollò le spalle. «Ha il suo studio qui, ma non lo usa spesso. Di solito lavora al Comune. Perché me lo chiedi?»

Luca accennò un sorriso, cercando di non apparire invadente. Poi si girò verso i figli. «E voi? Vi capita di usare il computer nello studio di vostro padre?»

I due ragazzi scossero la testa quasi all’unisono. «No, papà non vuole che lo tocchiamo» disse il più grande. «Dice sempre che è per lavoro.»

La moglie lo guardò, questa volta con una nota di preoccupazione. «Luca, ma tutto questo… riguarda Bruno? Sta succedendo qualcosa di cui dovrei preoccuparmi?»

Luca scrollò le spalle, cercando di minimizzare. «Assolutamente no, è solo un’indagine che coinvolge molte persone. Solo domande di routine.»

Lei non sembrò del tutto convinta, ma annuì. Luca si alzò, cercando di non far trasparire la tensione che sentiva. «Grazie, non volevo disturbare. È stato utile.»

Proprio mentre stava per uscire, sentì il rumore di una chiave nella serratura. La porta si aprì con lentezza, rivelando Bruno. Il suo sguardo percorse l’ambiente, soffermandosi su Luca con un’ombra di sorpresa e fastidio. Si fermò sulla soglia, chiaramente colto alla sprovvista.

«Luca?» La voce di Bruno era calma, ma il suo sguardo tradiva una sfumatura di sorpresa e disagio. Rimase immobile sulla soglia, la mano ancora sulla maniglia della porta. «Che ci fai qui?»

Luca si voltò lentamente, cercando di mantenere un’espressione rilassata. Sorrise appena, ma il sorriso non raggiunse i suoi occhi. «Bruno! Passavo da queste parti e ho pensato di fermarmi a salutare Elena e i ragazzi. È da un po’ che non li vedevo. Sai… ogni tanto fa piacere rivedere vecchi amici.»

Bruno rimase in silenzio per un istante, la mascella serrata, mentre i suoi occhi si muovevano lentamente da Luca a Elena, e poi di nuovo a Luca. Infine, accennò un leggero cenno con il capo. «Interessante.» Le sue labbra si piegarono in un sorriso che sembrava più un riflesso automatico che un gesto sincero. «Anche se, a dirla tutta, non ti aspettavo. Ci siamo visti solo l’altra sera, no?»

«Già» replicò Luca, cercando di sembrare disinvolto, ma sentiva la pressione crescente di quello sguardo indagatore. «Ma questa volta volevo farti una sorpresa. Una visita di cortesia, tutto qui. Non volevo disturbarti.»

Bruno inclinò leggermente la testa, scrutandolo con attenzione, come se cercasse di cogliere qualcosa di non detto nelle sue parole. «Una sorpresa, eh?» Si concesse una breve risata priva di calore. «Beh, certo. Anche se, sai, se avevi bisogno di qualcosa, avresti potuto chiamarmi. Siamo sempre stati diretti, io e te.»

Le parole di Bruno sembravano cariche di qualcosa di più, un messaggio nascosto che Luca non poteva ignorare. Tentò di riprendere il controllo. «No, davvero, nulla di urgente.» Fece un passo verso la porta, cercando di interrompere quella conversazione che stava diventando sempre più soffocante. «Ti lascio al tuo rientro. Non voglio trattenerti oltre.»

Bruno rimase immobile, le mani ora infilate nelle tasche dei pantaloni. I suoi occhi seguivano ogni movimento di Luca, con un’intensità che faceva sembrare ogni passo più lento, ogni gesto più pesante. Infine, accennò un sorriso sottile, quasi impercettibile. «A presto, allora, Luca.»

Prima che Bruno potesse aggiungere altro, Luca afferrò il cappotto e uscì con movimenti rapidi. Una volta fuori, inspirò profondamente, cercando di liberarsi dall’atmosfera pesante che aveva lasciato dietro di sé.

Bruno lo aveva seguito fino alla soglia, fermandosi appena oltre la porta. I suoi occhi seguivano Luca con la precisione di un predatore, e un sorriso appena accennato si formò sulle sue labbra, freddo e ambiguo. Luca poteva sentirlo, anche senza voltarsi. Era come se stesse cercando di penetrargli nella mente, decifrando ogni suo passo.

Mentre percorreva il corridoio, sentì il suo sguardo piantato sulla sua schiena, pesante come una lama. L’eco dei suoi stessi passi sembrava amplificarsi nel silenzio, mentre l’ascensore tardava a raggiungere il piano. Fece un respiro profondo, cercando di mantenere la calma, ma il cuore gli martellava nel petto.

Quando finalmente l’ascensore si aprì, Luca si voltò per un istante. Bruno era ancora lì, immobile sulla soglia. Non c’era bisogno di parole: il suo sguardo diceva tutto. Era come se stesse avvertendo Luca, o forse lo stesse sfidando. Un gioco silenzioso e sottile, ma carico di una tensione che Luca non poteva ignorare.

La porta dell’ascensore si chiuse con un leggero sibilo, isolandolo finalmente da quella presenza opprimente. Solo allora Luca si concesse un respiro più profondo, ma non servì a dissipare il gelo che gli si era attaccato addosso.

Dietro la porta dell’attico, Bruno rimase immobile per qualche secondo, le spalle rilassate ma gli occhi ancora accesi di un’intensità glaciale. Poi fece un passo indietro, chiudendo lentamente la porta e lasciando che un silenzio innaturale calasse sulla casa. Si passò una mano sul mento, pensieroso. «Bravo, Luca» mormorò tra sé, un sorriso sottile e tagliente che non aveva nulla di rassicurante. «Vediamo quanto riesci ad arrivare lontano.»

La moglie, visibilmente a disagio, lo guardò. «Non capisco perché Luca sia venuto qui… Ha detto che lavorava a un’indagine, ma mi sembrava molto vago.»

Bruno si avvicinò lentamente, lo sguardo penetrante e quasi inquisitorio. «Indagine? E che tipo di domande ti ha fatto?» chiese, con un tono che cercava di essere neutro ma tradiva una certa tensione.

«Cose generiche… sulle tue abitudini, su come lavori. Mi ha chiesto se usi il computer di casa, se hai avuto impegni particolari di recente. Bruno, sta succedendo qualcosa? Dovrei preoccuparmi?»

Bruno mantenne un’espressione impassibile, ma dentro di lui qualcosa si agitava. «No, certo che no. Luca è solo curioso, a volte esagera. Non pensarci.»

La moglie annuì lentamente, ma non sembrava del tutto convinta. Bruno si voltò verso lo studio, poi tornò a fissarla. «Se Luca torna, fammelo sapere immediatamente.»

Lei lo guardò con una leggera preoccupazione. «Certo. Ma Bruno… c’è qualcosa che non mi stai dicendo?»

Lui accennò un sorriso rassicurante. «Ti ho già detto di no, assolutamente no. Non preoccuparti amore.»

Si allontanò lentamente, chiudendo con cura la porta del suo studio dietro di sé, quasi volesse isolarsi dal resto del mondo. Una volta dentro, si lasciò cadere sulla poltrona davanti alla scrivania. Premette il pulsante di accensione del computer, osservando lo schermo accendersi con il consueto bagliore freddo.

Il dubbio lo tormentava, un tarlo che gli scavava nella mente. Luca si stava avvicinando troppo, mettendo insieme dettagli che non avrebbe mai dovuto notare. Ogni passo di quell’uomo era come una lama che affondava sempre più vicino al cuore del suo segreto.

Si passò una mano sul viso, il respiro pesante. Doveva agire. E presto.

Quella sera, rientrato in ufficio, Luca accese il computer. I suoi movimenti erano meccanici, le dita si muovevano sulla tastiera per pura abitudine. La stanchezza si intrecciava all’ansia, un nodo soffocante che si stringeva sempre di più. Era stato un giorno lungo, ma sapeva che non poteva permettersi di fermarsi.

Mentre fissava lo schermo, una notifica catturò la sua attenzione: un nuovo messaggio nella sua casella di posta. Non c’era un mittente, solo un oggetto che lo lasciò per un momento sospeso, con il dito a mezz’aria sopra il mouse: «Segreti.»

Con il cuore che iniziava a battere più forte, cliccò sul messaggio. Il contenuto era breve, ma bastò a congelargli il sangue nelle vene.

«C’è sempre un legame tra i segreti e chi li custodisce. Alcuni segreti, però, non si dimenticano mai.»

Le parole lampeggiavano sullo schermo, come una sentenza. Luca sentì il sangue gelarsi nelle vene, le mani fredde che stringevano il bordo della scrivania. Per un istante, tutto si fermò. Il brusio della città al di là delle finestre si dissolse, il ronzio del computer divenne un rumore distante. Tutto ciò che rimase fu il messaggio e il peso schiacciante che portava con sé. Si alzò di scatto, il respiro spezzato, mentre il messaggio gli si conficcava nella mente come un pugnale. Era Bruno? O qualcun altro che sapeva troppo?

Si fermò davanti alla finestra, osservando le luci di Milano che tremolavano nella notte. La sua immagine riflessa nel vetro era quella di un uomo consumato dalla lotta. Una lotta con la verità, con le sue scelte passate e con un nemico che sembrava sempre un passo avanti.

Poi, un pensiero si insinuò nella sua mente: Bruno lo stava osservando. Non c’era altra spiegazione. Quel messaggio era un gioco crudele, un promemoria del potere che lui  esercitava, non solo sulle sue vittime, ma anche su di lui. Con uno scatto, tornò al computer e rilesse il messaggio, come se cercasse di decifrare un secondo significato, un indizio nascosto. Ma non c’era niente. Solo quelle parole, semplici e devastanti. Alla fine si lasciò cadere sulla sedia, le mani che stringevano i braccioli con forza, i muscoli delle spalle rigidi. Un’unica frase gli ronzava in testa, un mantra che non riusciva a scacciare: «Sta giocando con me. Ma non glielo permetterò.»

Capitolo 11: Bugie e tradimenti

Luca fissava lo schermo del computer, il messaggio anonimo che aveva ricevuto la sera prima ancora vivo nella sua mente. Ogni parola sembrava incidere un solco più profondo nei suoi pensieri. Quelle parole non erano solo una minaccia: erano una provocazione, un avvertimento mascherato da enigma.

Sapeva di non poter affrontare questa situazione da solo. Doveva coinvolgere Alessandra e Davide, ma con cautela. Non era pronto a rivelare tutto, non ancora.

Prese il telefono e inviò un messaggio a entrambi: «Riunione nel mio ufficio. Subito.»

Pochi minuti dopo, Alessandra e Davide entrarono insieme. Lei aveva lo sguardo fermo, ma nei suoi occhi c’era una leggera ombra di preoccupazione. Lui stringeva il suo tablet come un’arma, pronto a intervenire.

«Che succede, Luca?» chiese Alessandra, chiudendo la porta dietro di sé.

Luca si alzò dalla scrivania e indicò lo schermo del computer. «Ieri sera ho ricevuto questo.» Girò il monitor verso di loro, mostrando il messaggio anonimo.

Alessandra si avvicinò e lesse attentamente. Il suo volto si incupì. «È una minaccia. Non esplicita, ma chi l’ha scritto sa qualcosa su di te. O vuole che tu lo creda.»

«Esatto» Luca incrociò le braccia, lo sguardo fisso su di lei. «Il messaggio è ambiguo, ma mi fa pensare che sia legato al caso. Potrebbe essere l’assassino… oppure qualcuno che vuole manipolarci.»

Davide si avvicinò. «Hai qualche idea su come sia arrivato questo messaggio? Era firmato? Tracciabile?»

Luca scosse la testa. «È anonimo. Ma potrebbe esserci qualcosa nei metadati dell’email. È per questo che vi ho chiamati. Voglio che cerchiamo di risalire all’origine. Non possiamo ignorarlo.»

Davide annuì e si sedette al computer. «Dammi un momento. Controllo i dettagli tecnici. Vediamo se possiamo trovare qualcosa.»

Mentre Davide lavorava, Alessandra si girò verso Luca, abbassando il tono della voce, rendendolo quasi un sussurro. «Hai qualche sospetto su chi potrebbe averlo mandato?»

Luca esitò, sentendo il peso del momento. Era il momento di uscire allo scoperto. «C’è un nome che devo mettere sul tavolo.» Fece una pausa, cercando di mantenere la voce ferma. «Bruno Alfieri»

Alessandra e Davide si scambiarono uno sguardo sorpreso.

«Bruno Alfieri? L’assessore all’istruzione?» chiese Alessandra, aggrottando la fronte. «Che c’entra lui con tutto questo?»

Luca prese un respiro profondo. «Non posso entrare nei dettagli, ma credo che sia collegato a questi omicidi. Ci sono indizi che portano a lui, ma non sono definitivi. E… conosco Bruno da molto tempo. Troppo tempo.»

Il silenzio che seguì fu pesante. Lei lo fissava, cercando di leggere oltre le parole. Poi, senza dire nulla, fece un passo avanti e gli posò una mano sul braccio. Il tocco era leggero, ma bastò a fargli alzare lo sguardo verso di lei.

«Luca…» La sua voce si addolcì, perdendo per un momento quella fermezza da investigatrice. «Conosci Bruno? Personalmente?»

«Siamo amici d’infanzia» ammise lui, abbassando di nuovo lo sguardo. «E sì, questo complica le cose. Ma non posso ignorare quello che ho scoperto finora.»

Alessandra non ritirò la mano. Rimase lì, ferma, il suo sguardo più morbido ora, ma anche più penetrante. «Luca, se c’è qualcosa di personale che ti lega a questo caso, dobbiamo saperlo. Non perché dubitiamo di te, ma perché non voglio vederti crollare sotto questo peso. Non puoi combattere due battaglie contemporaneamente.»

Luca rimase in silenzio, il nodo in gola più stretto che mai. Sentiva il calore della sua mano sul braccio, un’ancora che lo teneva ancorato alla realtà. Era una presenza che non sapeva di desiderare fino a quel momento.

«Non posso spiegarlo. Non ora» rispose infine, scuotendo la testa. «Ma vi prometto che sto facendo tutto ciò che posso per essere obiettivo.»

Alessandra gli diede un ultimo sguardo, pieno di quella comprensione silenziosa che solo chi ti conosce davvero può avere. Poi ritirò la mano lentamente.

«Va bene» disse piano. «Ma quando sarai pronto, io sarò qui.»

Davide alzò la testa dallo schermo. «Ho qualcosa» Puntò lo schermo. «L’email è stata instradata attraverso un proxy, ma sono riuscito a trovare un punto di origine: un indirizzo IP associato alla rete del Comune di Milano.»

Alessandra si irrigidì. «Il Comune di Milano? Allora potrebbe essere Bruno.»

«Non possiamo esserne certi.» precisò Davide. «Chiunque con accesso alla rete potrebbe averla inviata. Ma considerando il livello di precauzione, il mittente sa esattamente come muoversi.»

Luca rifletté, le mani giunte davanti al viso. «Dobbiamo rispondere al messaggio. Potremmo spingerlo a commettere un errore o a rivelare qualcosa di importante.»

«Rispondere?» chiese Alessandra, sorpresa. «E cosa gli diremmo?»

Luca digitò una bozza sullo schermo: «Cosa vuoi da me? Di quali segreti stai parlando?»

Si voltò verso Davide. «È abbastanza neutro. Non rivela nulla, ma potrebbe costringerlo a rispondere.»

Davide annuì. «Ok, possiamo monitorare in tempo reale se risponde e cercare di tracciare la prossima connessione.»

Alessandra sembrava ancora dubbiosa. «Va bene. Ma dobbiamo essere pronti a tutto.»

Luca inviò il messaggio. I tre rimasero in silenzio, fissando lo schermo. Il tempo sembrava dilatarsi, il ticchettio dell’orologio era l’unico suono nella stanza.

Dopo qualche minuto, Davide si mosse. «Sta rispondendo» Il suo tono era teso. «Ho una connessione in ingresso. È di nuovo instradata attraverso il proxy. Aspetta… ecco il messaggio.»

Sul monitor apparve una nuova mail, breve e criptica: «Non troverai la verità. Sei troppo vicino, ma troppo cieco.»

Luca serrò la mascella, sentendo una rabbia silenziosa crescere dentro di lui. Il tono provocatorio sembrava volerlo destabilizzare, ma la risposta aveva ottenuto ciò che voleva: una reazione.

«Davide?» chiese, senza staccare gli occhi dal monitor.

«Sto seguendo la connessione…» Davide digitò rapidamente sulla tastiera. «L’IP porta a un punto specifico: il Palazzo degli Uffici Amministrativi.»

Indicò il punto sulla mappa. «È un edificio usato da diversi dipartimenti comunali, incluso l’ufficio di Bruno Alfieri. Questo significa che il messaggio potrebbe provenire da qualcuno con accesso privilegiato alla rete.»

Alessandra fissò la mappa, il volto teso. «Quindi parliamo di un luogo con decine di persone. Come facciamo a capire chi è stato?»

Luca rifletté per un istante. Poi rispose con decisione: «Andrò lì. Non lo affronterò, ma voglio vedere chi entra e chi esce. Ogni dettaglio potrebbe essere importante.»

«Da solo?» ribatté Alessandra, incrociando le braccia. «Se è davvero l’assassino, potrebbe riconoscerti.»

«Non farà nulla di avventato, non in pubblico.» rispose Luca. «Ma se sospetta qualcosa, potrebbe sparire. Devo vedere con i miei occhi.»

Alessandra sospirò, combattuta. «Va bene. Ma promettimi che mi terrai aggiornata.»

Luca parcheggiò poco distante dall’edificio. Prese posizione in un punto strategico e puntò il binocolo verso l’ingresso. Minuti interminabili passarono mentre osservava impiegati uscire, alcuni soli, altri in piccoli gruppi.

Poco dopo le otto di sera, la porta si aprì e vide Bruno uscire.

Luca trattenne il respiro. Bruno, impeccabile nel suo cappotto scuro, camminava con passo deciso verso una macchina nera parcheggiata davanti all’edificio. Prima di salire, però, si fermò. Il suo sguardo si alzò lentamente, fissandosi per un istante nella direzione di Luca.

Era stato visto? La mente di Luca analizzava freneticamente ogni possibilità, ma si costrinse a rimanere immobile. Bruno si infilò nell’auto, e l’autista partì.

Di ritorno in ufficio, Luca raccontò tutto ad Alessandra e Davide. «L’ho visto» disse, sedendosi alla scrivania. «Bruno è uscito dall’edificio. Non ho prove che fosse lui a inviare il messaggio, ma… penso mi abbia visto.»

«Quindi è sempre più probabile che sia coinvolto.» disse Alessandra.

«Dobbiamo essere pronti a tutto.» rispose Luca. «Davide, continua a monitorare. Se sospetta che siamo sulle sue tracce, potrebbe reagire.»

Davide annuì. Alessandra lo fissò con preoccupazione. «Stai attento, Luca. Bruno non sembra il tipo da lasciarsi prendere alla sprovvista.»

«Nemmeno io lo sono.» replicò Luca, con una determinazione che non lasciava spazio a dubbi.

Capitolo 12: La notte del destino

A mezzanotte, Milano sembrava trattenere il respiro. Un silenzio innaturale avvolgeva la città, rotto solo dal ticchettio incessante della pioggia contro i vetri. Nell’appartamento di Luca, la luce fioca di una lampada illuminava la stanza, avvolgendola in un’atmosfera calda, ma tesa. Lui e Alessandra erano sdraiati sul letto, i corpi ancora vicini, ma le menti lontane, ognuna intrappolata nei propri pensieri.

Alessandra, con la testa appoggiata sul petto di Luca, tracciava linee immaginarie sulla sua pelle con la punta delle dita. «Chi avrebbe mai pensato che ci sarebbe stato spazio per noi?» sussurrò, la voce un soffio che si perdeva nella stanza.

Luca le accarezzò i capelli, ma nei suoi occhi c’era una stanchezza che andava oltre il fisico. «Ne avevamo bisogno» rispose. «Anche se è solo per un momento, è meglio di niente.»

Alessandra si sollevò leggermente, poggiando il mento sul suo petto. Lo guardò dritto negli occhi, il viso serio. «Non voglio che sia solo un momento, Luca. Non per me.»

Lui esitò, sorpreso dalla sincerità di quelle parole. «Nemmeno per me» ammise infine, la voce più bassa, quasi un sussurro. «Ma non so se… posso permettermi di sperare.»

Alessandra gli prese la mano, intrecciando le dita con le sue. «Non devi farlo da solo. Qualsiasi cosa ci aspetti… la affronteremo insieme.»

Il rumore improvviso di una vibrazione ruppe l’intimità del momento. Il telefono di Luca sul comodino tremava come un segnale d’allarme. Lui si mosse rapidamente, afferrandolo con mani ferme, ma il battito del cuore accelerava già.

Sul display lampeggiava una notifica. Un nuovo messaggio anonimo.

Luca aprì la mail, e le parole gli si conficcarono nella mente come un pugnale:
«Non l’hai protetta allora, e ora pagherai il prezzo.»

Il respiro gli si spezzò per un istante. Sentì una morsa di gelo stringergli il petto mentre cercava di elaborare il significato. Alessandra notò immediatamente il suo cambiamento, si sollevò lasciando che il lenzuolo le scivolasse sulle spalle.

«Luca, cos’è?» chiese, la voce tesa.

Lui le mostrò il telefono senza dire nulla. Alessandra lesse il messaggio, il colore che abbandonava il suo volto.

«Sta minacciando qualcuno.» Alessandra si voltò verso di lui, il tono urgente. «Chi? Chi è?»

Luca esitò, ma il peso del messaggio lo costrinse a parlare. «Larissa. Sta andando da Larissa.»

«Larissa?» Alessandra aggrottò la fronte. «Chi è Larissa? Non me ne hai mai parlato.»

«Qualcuno del mio passato» rispose Luca, con la voce incrinata. «Qualcuno legato anche a Bruno.»

Alessandra si irrigidì. «Aspetta un attimo. Assiral… è Larissa al contrario.»

Luca annuì lentamente, come se quel dettaglio lo colpisse per la prima volta con tutta la sua forza. «Non è una coincidenza. Sta usando il suo nome come simbolo. Come un promemoria di quello che ha iniziato quella notte.»

Alessandra lo fissò, il suo sguardo duro come la pietra. «Luca… devi dirmi cosa è successo tra te e Bruno. Adesso. Non possiamo più continuare senza sapere la verità.»

Luca abbassò lo sguardo, le mani che si stringevano nervosamente. Il momento che aveva temuto per anni era finalmente arrivato. Fece un respiro profondo. «Hai ragione, Ale. Meriti di sapere la verità.»

Si sedette sul bordo del letto, le spalle curve, il volto segnato dal peso dei ricordi. «Io e Bruno siamo cresciuti insieme. Passavamo le estati nella villa dei suoi genitori, vicino al Lago di Garda. Era il nostro rifugio, il nostro mondo lontano da tutto. Poi, un’estate, arrivò Larissa. Era dolce, gentile, diversa da chiunque altro avessimo mai incontrato. Bruno si innamorò di lei, ma… il loro legame era complicato.»

Alessandra rimase in silenzio, il volto teso mentre Luca continuava.

«Quella notte eravamo nella villa. Avevamo bevuto troppo. Bruno era diverso, più… intenso. Larissa cercava di tenerlo a distanza, ma lui non voleva ascoltare. Ricordo il rumore di un bicchiere che cadeva, le sue proteste soffocate, e poi il silenzio.» Luca si fermò, serrando la mascella. «Non l’ho visto accadere, ma sapevo. Quando sono entrato nella stanza, Bruno mi ha guardato… e ho capito tutto.»

Alessandra lo osservava, scioccata, ma senza interromperlo.

«Mi implorò di non dire nulla. Disse che era stato l’alcol, che non era sé stesso. Mi pregò di proteggerlo, e io… cedetti. Ero giovane, stupido. Pensavo che la nostra amicizia fosse più importante. Larissa non denunciò mai. Ma io… non ho mai smesso di sentirmi responsabile. Ogni notte ripenso a quello che è successo, e ogni notte so che ho sbagliato.»

Alessandra scosse la testa, la voce tremante. «E ora sta usando il suo nome, la sua memoria, per continuare a uccidere. E tu hai portato tutto questo dentro di te per anni?»

«Sì» rispose Luca. «E ora sta minacciando di farle del male di nuovo. Non posso permetterlo. Non posso vivere con un altro rimorso.»

Si alzò di scatto, rompendo il silenzio pesante. «Non possiamo perdere tempo. Dobbiamo fermarlo.»

«Ed è quello che faremo» disse Alessandra mentre controllava la pistola con movimenti precisi ed inseriva il caricatore.

Luca la osservava e la sua calma apparente lo colpiva, ma c’era qualcosa nei suoi occhi che tradiva un passato pesante.

«Hai sempre saputo gestire situazioni del genere così bene?» chiese, cercando di alleggerire la tensione.

Alessandra esitò un attimo, poi abbassò lo sguardo. “No.” La sua voce era bassa, quasi un sussurro. “Una volta… ho fallito. Era un’indagine simile, ma non ero pronta. Qualcuno che avrei dovuto proteggere è morto perché ho esitato. Era un ragazzino. Aveva solo tredici anni. Non ho avuto il coraggio di premere il grilletto quando dovevo e non sono mai riuscita a perdonarmi.”

Luca rimase in silenzio, rispettando quel momento di vulnerabilità.

Alessandra alzò lo sguardo, gli occhi fermi e decisi. «Tranquillo, stavolta non succederà.»

Capitolo 13: Resa dei conti

La pioggia batteva incessante sui finestrini dell’auto, un tamburellare ritmico che scandiva i secondi come un lugubre metronomo. Le luci dei lampioni si riflettevano sull’asfalto bagnato, creando un gioco di ombre che sembrava avvolgerli in una spirale di tensione. Luca e Alessandra non parlavano, ma l’aria nell’abitacolo era pesante, densa di preoccupazione.

Luca strinse il telefono con mani tremanti, il cuore che martellava nel petto. Compose il numero di Larissa. Ogni squillo era una lama che lo trapassava. Finalmente, la linea si aprì, e la voce spezzata di Larissa risuonò all’altro capo.

«Luca? Che sta succedendo?»

«Larissa, ascoltami bene» disse Luca, con un tono carico di urgenza, quasi disperato. «Bruno sta venendo da te. Devi chiuderti in casa subito e trovarti un posto sicuro. Blocca le porte. Ora!»

«Bruno?» rispose Larissa, la voce che si incrinava. «Non capisco, che cosa vuoi dire?»

«Non c’è tempo per spiegare!» sbottò Luca. «Fidati di me. Devi fare come ti dico!»

All’improvviso, un rumore di porta che veniva scossa con forza ruppe il silenzio. Larissa trattenne il respiro, il suono le fece tremare la voce. «Luca… qualcuno sta provando ad aprire la porta.»

«Chiuditi da qualche parte! Ora!» gridò Luca, mentre Alessandra lo fissava con ansia.

«Sto… sto cercando…» ansimò Larissa, la voce spezzata. Poi un colpo più forte, secco, risuonò attraverso la linea. Il legno gemeva, come se fosse sul punto di cedere.

«Non posso bloccarla! È troppo forte!» gridò Larissa, il terrore che le esplodeva nella voce.

Luca si aggrappò al telefono, la mascella serrata. «Vai verso la finestra! Salta, fai qualcosa! Devi uscire di lì!»

Un altro colpo violento, seguito da un suono stridente: il rumore di vetri che si infrangevano. Larissa urlò, un suono acuto che fece gelare il sangue a Luca.

«È dentro…» sussurrò lei, il respiro spezzato. Si udì un tonfo, come se qualcosa fosse caduto, e poi il suono di passi pesanti.

Infine, la voce fredda e spietata di Bruno attraversò la linea come una lama: «Larissa… non puoi nasconderti da me.»

«Larissa! Parla con me!» gridò Luca, ma il telefono si spense con un clic secco.

Un silenzio opprimente cadde nell’abitacolo. Luca fissò il telefono, le dita che tremavano. «È già dentro.»

Accelerò, stringendo il volante con tanta forza da sbiancarsi le nocche. Alessandra lo osservò di lato, il volto teso. «Non possiamo aspettare i rinforzi. Dobbiamo fermarlo.»

Quando arrivarono, la porta della casa era spalancata, oscillando nel vento come un presagio di ciò che li attendeva dentro. Alessandra e Luca si scambiarono uno sguardo veloce. Lei annuì, la pistola già in pugno, e insieme avanzarono con cautela.

Un rumore proveniente dal soggiorno li guidò. Entrarono, e la scena che si trovò davanti ai loro occhi fu come un pugno nello stomaco: Bruno era in piedi al centro della stanza, il coltello stretto nella mano. Larissa era rannicchiata in un angolo, il viso bagnato di lacrime e il corpo tremante.

Bruno si voltò lentamente verso di loro, un sorriso storto che non raggiungeva gli occhi. «Luca… sei arrivato. Sapevo che non mi avresti deluso.»

Luca alzò la pistola, puntandola con mani ferme. «Lasciala andare, Bruno. Non c’è bisogno di farlo.»

Bruno rise piano, una risata vuota. «Non c’è bisogno? Luca, hai sempre avuto questa ossessione di cercare la logica nelle cose. Ma non c’è logica. Non c’è ragione. Io non posso lasciarla andare. Non posso. È mia. È sempre stata mia.»

Luca si mosse lentamente verso di lui, mantenendo l’arma puntata. «Non sei te stesso, Bruno. Stai lasciando che questa ossessione ti consumi. Fermati, prima che sia troppo tardi.»

Bruno scosse la testa, il sorriso sparendo dal suo volto. «Non capisci, vero? Io non posso fermarmi. È come un fuoco che mi brucia dentro. Ho provato a spegnerlo, ma… non ci riesco. Ogni volta che penso di averlo sotto controllo, ritorna, più forte.» Fece un passo avanti, puntando il coltello verso Luca. «E tu? Tu sei venuto qui a giudicarmi? Tu, che hai sempre guardato dall’altra parte?!»

Le parole di Bruno colpirono Luca come lame invisibili. «Non sono qui per giudicarti. Sono qui per fermarti. Non devi farle del male. Bruno, ascoltami. Non c’è bisogno di farlo.»

Bruno fece un altro passo avanti, gli occhi pieni di rabbia e dolore. «Lei mi appartiene, Luca. Come mi apparteneva allora. Come mi è sempre appartenuta. E tu… tu non puoi togliermela!»

Improvvisamente Bruno si lanciò su di lui con una furia incontrollabile, un lampo di follia negli occhi. Luca fece appena in tempo a sparare un colpo che mancò il bersaglio, il suono del proiettile che rimbombava nella stanza. La pistola gli scivolò di mano, rotolando lontano.

I due si scontrarono con forza, cadendo a terra. Bruno aveva una forza quasi sovrumana, alimentata dalla rabbia e dall’ossessione. Il coltello luccicava nella penombra, troppo vicino al volto di Luca.

«Non puoi fermarmi, Luca!» gridò Bruno, con un ruggito feroce. «Nemmeno questa volta!»

Luca si contorceva, le mani che cercavano di afferrare il polso dell’uomo per allontanare la lama dalla sua gola. Il sudore gli colava sulla fronte, le braccia che tremavano sotto lo sforzo. «Non farlo, Bruno! Non sei obbligato a farlo!»

Bruno lo spinse a terra, il coltello ormai a pochi millimetri dalla sua gola. Luca lottava disperatamente, ma la sua forza stava svanendo.

«Alessandra!» gridò, la voce spezzata dal panico.

Alessandra aveva già la pistola in mano, ma non era solo la paura di colpire Luca a bloccarla. Era il peso di tutte le volte in cui aveva esitato nella sua vita, i momenti in cui non aveva preso posizione. Ma non questa volta.

Fece un passo avanti, con la pistola ben salda tra le mani. «Bruno!» urlò con una voce che rimbombò nella stanza. «Lascia andare Luca o non esiterò a sparare!»

Bruno si fermò per un istante, sorpreso dal tono deciso di Alessandra. Si voltò verso di lei, un sorriso beffardo sul volto.

«Non ne hai il coraggio» sibilò. «Non sei come me.»

Ma stavolta Alessandra non vacillò. Era lei a tenere il controllo ora. Fece un altro passo, il mirino fisso sul petto di Bruno. «Non devo essere come te per fermarti.»

Bruno strinse il coltello, pronto a colpire Luca. In quell’attimo, Alessandra non esitò più e premette il grilletto.

II boato del colpo ruppe il silenzio. Bruno barcollò all’indietro, ma prima che potesse cadere, Alessandra si avventò su di lui. Con uno slancio improvviso, gli strappò il coltello dalle mani, buttandolo lontano.

Luca tossì, rotolando via, ancora ansimante. Alessandra si inginocchiò accanto a lui, la pistola ancora stretta in pugno, pronta a difenderlo da qualsiasi ulteriore minaccia. Il cuore le martellava nel petto e il respiro si fece irregolare. Aveva premuto il grilletto senza esitare, ma ora il peso della sua azione la colpiva come un’onda improvvisa. Aveva salvato una vita, ma il sangue sulle sue mani non sarebbe sparito facilmente.

«È finita» sussurrò, la voce tremante ma decisa, lo sguardo fisso su Bruno, che giaceva a terra, il respiro ormai flebile.

«Grazie…» mormorò Luca, la voce incrinata, ma carica di gratitudine.

Luca si inginocchiò accanto a Bruno, il volto rigato dal sudore e dalla pioggia che gli era rimasta addosso. Ogni respiro gli pesava sul petto, come se l’aria stessa fosse diventata densa.

Bruno alzò debolmente lo sguardo verso di lui, il sorriso appena accennato, una smorfia più che un’espressione felice. «Luca… alla fine, sei stato tu.» La sua voce era un sussurro, ma ogni parola gli colpì il petto come un colpo ben assestato. «Non avrei voluto nessun altro…»

Luca serrò la mascella, le mani che si chiudevano in pugni mentre cercava di mantenere la calma. «Non doveva finire così, Bruno. Non così.»

Bruno tossì, una macchia di sangue che si allargava sulla sua bocca. «Sai… non potevo fermarmi. Non ci riuscivo. Era… come un veleno. Mi avvelenava ogni giorno, ogni notte. Ero intrappolato, Luca. Ma non… non era colpa tua.»

Luca scosse la testa, il dolore che gli si leggeva sul volto. «Non sono sicuro. Forse… forse avrei potuto fermarti. Quella notte, Bruno. Avrei dovuto fare qualcosa. E invece ho guardato dall’altra parte.»

Bruno sorrise debolmente, gli occhi che per un attimo sembrarono illuminarsi di un ricordo lontano. «Ti ricordi, Luca? Le estati sul lago? I giri in barca? Le serate sulla spiaggia… Eravamo invincibili, allora. Non c’era niente che non potessimo fare.»

Le parole colpirono Luca come un’ondata di nostalgia dolorosa. Rivide i loro volti di ragazzi, illuminati dai raggi del sole di giorno e dai bagliori della luna di notte. Sentì le risate di Bruno, il suo entusiasmo contagioso, e la sensazione di avere tutto il mondo davanti a loro.

«Eravamo fratelli, Bruno» disse Luca, la voce spezzata. «Perché non mi hai mai detto che stavi così male? Perché non mi hai lasciato aiutarti?»

Bruno chiuse gli occhi per un momento, il sorriso sbiadito che tremolava sulle sue labbra. «Non volevo che vedessi quanto ero… rotto. E poi… non avresti potuto salvarmi. Nessuno poteva.»

Luca sentì le lacrime bruciargli gli occhi, ma le trattenne. «Non è vero. Avremmo trovato un modo. Se solo me lo avessi permesso…»

Bruno aprì gli occhi per un’ultima volta, fissando il volto dell’uomo che aveva chiamato amico per tutta la vita. «Forse… forse sono sempre stato così, Luca. E tu… sei stato l’unico che mi abbia mai capito davvero.» La sua mano tremante cercò quella di Luca. «Mi dispiace. Mi dispiace per Larissa… per te… per tutto. Se potessi tornare indietro… vorrei solo che fossimo ancora quei ragazzi. Sulla barca. Sul lago.»

Luca gli prese la mano, stringendola con forza. «Anche io, Bruno. Anche io.»

Bruno inspirò lentamente, il suo ultimo respiro. Poi il suo corpo si rilassò, e la sua mano scivolò via da quella di Luca.

Luca si alzò lentamente, lo sguardo perso nel vuoto. Alessandra gli si avvicinò, ancora con l’arma in mano. «Sei ferito?» chiese, la voce rotta dall’emozione.

Luca scosse la testa. «No… ma grazie a te sono vivo.»

Larissa uscì dal suo angolo, tremante, gli occhi sgranati e il respiro ancora irregolare. Senza dire una parola, corse verso Luca e lo abbracciò con forza, aggrappandosi a lui come a un’ancora. Le sue lacrime inzupparono la camicia di Luca, ma lui non la respinse.

«È finita» sussurrò, stringendola a sé con delicatezza. Poi si voltò verso Alessandra, che li osservava in silenzio, il volto segnato dall’intensità del momento.

Alessandra guardò il corpo di Bruno, poi Luca. «Era il tuo migliore amico.»

«Sì» lui si voltò verso di lei, il volto segnato dalla stanchezza e dal dolore. «E lo sarà sempre, nonostante tutto.»

Fuori, la pioggia continuava a cadere. Ma per Luca e Alessandra, qualcosa era cambiato per sempre.

Capitolo 14: L’ultimo saluto

Il suono ovattato dell’ospedale era quasi confortante: un mormorio di passi e voci soffuse che si mescolava al tenue ronzio dei macchinari. Luca avanzava lentamente lungo il corridoio, il pavimento freddo sotto i piedi, il lieve odore di disinfettante che gli pizzicava le narici.

Ogni dettaglio contribuiva a creare un’atmosfera sospesa, in bilico tra quiete e tensione. Guardò fuori da una finestra: il cielo grigio sembrava riflettere il suo umore, incerto tra tempesta e calma.

Davanti alla porta della stanza di Larissa, esitò un istante. Non era solo una visita: era un confronto con tutto ciò che avevano vissuto e perso. Inspirò profondamente, poi aprì la porta.

Larissa era adagiata sul letto, con il viso pallido ma sereno. I fili dei macchinari sembravano invadere la stanza, ma lei, nonostante tutto, emanava una calma rasserenante. Quando si accorse della sua presenza, un lieve sorriso affiorò sulle sue labbra, un gesto fragile ma sincero.

«Luca… Sei venuto.» disse con una voce ancora debole, ma tranquilla, quasi come se avesse sempre saputo che sarebbe arrivato.

«Sì, certo.» rispose lui, avvicinandosi e sedendosi accanto al letto. Le sue mani si posarono sul bordo del materasso, come se temesse di invadere uno spazio sacro. «Volevo assicurarmi che stessi bene.»

Larissa annuì lentamente, i suoi occhi che riflettevano una quieta determinazione. «Mi riprenderò.» disse con un tono dolcemente deciso. «Grazie a te… e a tutto quello che hai fatto. Non ho mai pensato che avremmo vissuto qualcosa di così difficile, ma sono felice di sapere che è finita.»

Luca distolse lo sguardo per un momento, osservando il monitor che pulsava con i ritmi regolari della vita. Le sue parole sembravano galleggiare nella stanza, troppo pesanti per essere espresse con leggerezza. «Mi dispiace, Larissa. Avrei dovuto fare di più molto tempo fa.»

Larissa lo guardò, una dolcezza comprensiva nel suo sguardo che gli fece quasi male. La sua voce era gentile, ma ferma. «Luca, non possiamo cambiare il passato. E sì, forse è vero, avremmo potuto agire in modo diverso. Ma non serve a niente rimuginarci sopra. La verità è che ci hai protetti. Hai fatto quello che nessuno di noi aveva il coraggio di fare. Non biasimarti oltre. Siamo qui, vivi, grazie a te, e questo è tutto ciò che conta.»

Luca chiuse gli occhi per un istante, lasciando che il peso delle sue parole lo travolgesse. Era come una liberazione, anche se il senso di colpa continuava a torcergli il petto. Le prese delicatamente la mano, il contatto semplice eppure carico di significato.

Restarono così per un lungo istante, senza bisogno di altre parole. Per Luca, il tempo sembrava pesante, come se ogni secondo si allungasse sotto il peso dei suoi pensieri. Ma Larissa emanava una calma che lo contagiava, riducendo il mondo esterno a un eco distante.

Le dita di lei si mossero appena tra le sue, un piccolo gesto di conforto e gratitudine che parlava più di mille frasi.

Luca sollevò lo sguardo e le sorrise, un sorriso stanco ma sincero. Per la prima volta in tanto tempo, sentiva che forse, un giorno, avrebbe potuto trovare pace.

Due giorni dopo, Luca si trovava tra i pochi presenti al funerale di Bruno. La cerimonia era intima, quasi spoglia, come se anche il cielo grigio avesse deciso di partecipare al lutto senza ostentazione. Una leggera pioggia cadeva incessante, un velo sottile che sembrava lavare via il peso dell’evento, lasciando al tempo il compito di assorbire i ricordi.

Rimase in disparte, lontano dagli altri. I suoi occhi seguivano la bara che scivolava nella terra scura, come un’ombra che inghiottiva gli ultimi frammenti di ciò che era stato il suo amico. Per un istante gli sembrò di intravedere il volto del ragazzo che era stato. Non l’uomo che aveva conosciuto negli ultimi anni, tormentato e ossessionato, ma quello che rideva con lui sulla riva del lago e gli occhi pieni di sogni. Era difficile accettare che entrambe quelle immagini fossero la stessa persona.

Il cuore gli sembrava schiacciato da un intreccio di emozioni contrastanti: il rimpianto per ciò che era stato e il sollievo per ciò che non sarebbe più. Attorno a lui, i pochi presenti si stringevano in piccoli gruppi, mormorando parole di circostanza o restando in silenzio, ma Luca percepiva distintamente i loro sguardi. Erano giudizi muti, occhi che si posavano su di lui con una curiosità che cercava risposte, forse con sospetti, forse con una semplice incomprensione. Erano persone che conoscevano solo la facciata impeccabile di Bruno, quella dell’uomo rispettabile, del professionista stimato, e non i demoni che Luca aveva scoperto, troppo tardi.

Il sacerdote pronunciava le ultime parole, la sua voce monotona che sembrava scivolare insieme alla pioggia, senza penetrare davvero nei cuori di chi lo ascoltava. Luca non ascoltava davvero; si concentrava solo sul suono sordo della terra che copriva la bara, come un peso che si chiudeva anche dentro di lui.

Un movimento accanto a lui lo riportò alla realtà. Sentì una mano stringere delicatamente il suo braccio: era Alessandra. Lei non disse nulla subito, ma il suo silenzio non era vuoto. Era solido, un sostegno silenzioso che gli permetteva di respirare un po’ più liberamente. Il volto di lei era composto, ma i suoi occhi tradivano una comprensione profonda.

«Non eri obbligato a venire…» mormorò, la voce un filo appena percettibile sopra il rumore della pioggia. «Ma credo che tu sentissi il bisogno di farlo.»

Alessandra fece una pausa, come se riflettesse sulle parole giuste da dire. «Anche io ho visto persone che amavo perdersi nelle loro scelte. È una ferita che non si rimargina facilmente, ma ho imparato che a volte dobbiamo accettare di non poterli salvare da se stessi. Dobbiamo andare avanti. Che non significa dimenticare. Significa trovare un posto dove il dolore non governi tutto.»

Luca la guardò, sorpreso dalla sincerità nelle sue parole. Quelle parole sembravano scavare dentro di lui, toccando un nervo scoperto. «A volte mi chiedo se avrei potuto salvarlo davvero» ammise, la voce roca. «Se avessi fatto qualcosa prima, forse…»

Alessandra gli strinse il braccio con maggiore forza, interrompendolo con uno sguardo fermo. «Non puoi saperlo, Luca. Nessuno può. L’unica certezza è che hai fatto il possibile. E questo basta.»

Lui rimase in silenzio per un lungo momento. Quelle parole lo colpirono più di quanto avesse immaginato, penetrando lo spesso strato di colpa che lo aveva avvolto negli ultimi giorni. Inspirò profondamente, come se stesse cercando di assorbire l’aria fresca e scacciare quel peso insopportabile.

«Questa vicenda ha messo tutto in discussione» disse infine, la voce roca ma decisa. «Il modo in cui mi sono sempre visto, quello che credevo giusto o sbagliato… Ma ora, forse, posso finalmente andare avanti. Non per dimenticare, ma per fare pace con quello che è successo.»

Alessandra gli strinse la mano con delicatezza, lasciandogli il tempo di metabolizzare le sue stesse parole. «Andare avanti non significa cancellare il passato. Significa imparare a portarlo con te, senza lasciare che ti distrugga.»

Un lieve sorriso si formò sulle labbra di Luca, per quanto stanco e appena accennato. Per la prima volta in giorni, sentiva che quella ferita poteva cominciare a rimarginarsi, lentamente, un passo alla volta.

Restarono così, fianco a fianco, sotto la pioggia. Il mondo attorno a loro sfumava, confuso dalla nebbia dell’acqua, ma Luca percepiva per la prima volta una leggerezza sconosciuta. Era come se, goccia dopo goccia, la pioggia stesse lavando via il peso del passato.

I giorni seguenti si trascinarono lenti, un misto di ricordi e silenzi. La casa di Luca era avvolta da un’inaspettata sensazione di tranquillità. Non c’era più l’urgenza di correre, di fermare qualcosa. Quella sera, Alessandra lo aveva convinto a sedersi a tavola, come per celebrare quel piccolo nuovo inizio.

La cena era semplice: un piatto di spaghetti al pomodoro, un bicchiere di vino rosso e un cestino di pane che Alessandra aveva insistito per portare. Non era ancora un ritorno alla normalità, ma un primo passo verso qualcosa di nuovo, più leggero. Una tregua, forse, o una promessa.

Le parole tra loro erano poche, ma non servivano. Il loro dialogo si intrecciava nei gesti: una mano che sfiorava l’altra, uno sguardo che diceva più di qualsiasi frase. Ogni piccola azione parlava di una comprensione reciproca, costruita lentamente, senza bisogno di troppe spiegazioni.

Alessandra gli prese la mano, intrecciando le dita con le sue, e i suoi occhi cercarono i suoi con una dolcezza che portava forza. «Luca, il passato ci segna tutti, e il tuo ha lasciato ferite profonde. Ma non è quello che hai vissuto che ti definisce. È quello che hai scelto di fare adesso, come hai affrontato ciò che nessuno avrebbe voluto affrontare.»

La sua voce era calma, ma vibrava di convinzione. «Hai guardato in faccia l’oscurità e sei andato avanti. Anche se pensi di non aver fatto abbastanza, hai avuto il coraggio di affrontarla. E questo ti rende più forte, anche se ancora non te ne rendi conto. Ciò che conta, adesso, è che hai deciso di non lasciarti inghiottire da tutto questo. È il momento di guardare avanti. E io… io sono qui per te.»

Luca rimase in silenzio per un lungo momento, le sue parole lo avvolgevano come un balsamo. Guardò Alessandra, il suo volto calmo ma determinato, e si rese conto che per la prima volta, da tanto tempo, non si sentiva più solo. La gratitudine gli riempì il petto, ma era qualcosa di più profondo. Era la consapevolezza che, nonostante tutto il dolore, c’era ancora qualcosa per cui valesse la pena vivere, lottare e sperare.

«Grazie, Alessandra. Sei la ragione per cui sono ancora in piedi» mormorò infine, la sua voce roca ma sincera. Poi sorrise, un sorriso autentico che non provava da tempo, quasi dimenticato. Strinse la mano di lei, lasciando che il calore di quel gesto dissipasse il gelo che lo aveva attanagliato per mesi.

In quel momento, Luca percepì una leggerezza sconosciuta, come se il peso invisibile del passato fosse scivolato via. L’ombra dei suoi ricordi era ancora lì, meno opprimente, ma pronta a lasciare spazio a qualcosa di nuovo: un futuro incerto, sì, ma colmo di possibilità.

Fuori, la pioggia continuava a cadere, ma ora sembrava diversa. Non era più un fardello che lo appesantiva, ma un suono lieve, quasi rassicurante, che accompagnava la promessa di un cambiamento. Non era ancora pronto a dimenticare, ma con Alessandra al suo fianco, sentiva che, per la prima volta, il futuro non faceva più paura.

 

Un commento

  1. Pinuccia

    1 Marzo 2025 a 15:30

    Letto in un soffio bella storia scritta bene e coinvolgente bravo continua così 👏👏👏

    rispondere

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