Il petrolio e i conti della lattaia. La sua impressionante caduta a -37,10 dollari al barile ovvero in territorio negativo significa che qualcuno è disposto a pagare per offrirvi petrolio! Economia globalista una gabbia di matti?


 

Più i tempi sono difficili e le notizie lasciano interdetti, più occorre una certa leggerezza. Nessuna indifferenza, tanto meno sottovalutazione, ma una salutare presa di distanza da eventi incomprensibili. L’impressionante caduta del prezzo del petrolio, caduto sino -37, 10 dollari al barile, ovvero “in territorio negativo”, significa che qualcuno è disposto a pagare per offrirvi petrolio! Il principio di realtà è stravolto, segno che non solo la finanza, ma anche l’economia globalista è una gabbia di matti, un ottovolante con giro della morte da cui è urgente scendere. Ne va della salute mentale oltreché del portafogli.

Pierina e il secchiolino del latte

Al riguardo, ci piace ricordare il conto della lattaia, una fiaba per bambini di Jean La Fontaine. C’era una volta una lattaia che camminava verso il mercato assai contenta. Portava sulla testa una brocca di ottimo latte, e fantasticava su quanto denaro ne avrebbe ricavato e come l’avrebbe investito.  Che meraviglia! Per questo latte mi offriranno molti soldi. A poco a poco diventerò ricca e potrò comprare una fattoria. Per prima cosa, comprerò delle galline che faranno tante uova, da cui usciranno bei pollastrelli. Quando cresceranno, li porterò al mercato e farò molti soldi, soprattutto con i galletti. Così sognando, non si accorgeva di camminare su un terreno pietroso. Con il denaro che guadagnerò con galline e uova, comprerò i più bei porcellini, pensava. Li rivenderò a caro prezzo: diventeranno i maialini più grassi e rosati e tutti vorranno averli. Con il ricavato, acquisterò dei vitelli, che ingrasserò con la migliore pastura. Daranno una carne così deliziosa che al mercato tutti si accapiglieranno per acquistarla. E naturalmente, mi comprerò i migliori abiti, profumi molto cari e le scarpe più eleganti del paese. Era così assorta nelle sue fantasticherie, povera lattaia, che non vide una pietra in mezzo al sentiero e inciampò. La brocca cadde e con essa il latte e tutti i suoi sogni. In un attimo svanì ogni illusione: addio fattoria, addio pulcini, pollastrelli, addio maialini e vitelli. La ragazza malediceva se stessa, piangendo la sua imprudenza.

Potremmo fermarci qui, alla morale della favola. Ne raccontiamo un’altra: alcune importanti società avevano concordato di acquistare una grande quantità di petrolio greggio intermedio del Texas (WTI) a un certo prezzo. Alla firma dei contratti, la cifra indicata dai venditori sembrava conveniente. La data di risoluzione del contratto era il 21 aprile. In genere, questi contratti sono regolati in contanti, ma stavolta i venditori hanno insistito per consegnare fisicamente il petrolio agli acquirenti. Questo ha creato un problema. Gli acquirenti non avevano la capacità di immagazzinare il greggio acquistato virtualmente, nell’economia di carta, diversi mesi fa. Ora devono riceverne una gran quantità che non possono mettere da nessuna parte. L’unica soluzione è vendere immediatamente a qualcun altro. Ma nessuno è interessato; tutti hanno già esaurito la loro capacità di stoccaggio, di rabbocco in rabbocco. Le compagnie che avevano sottoscritto l’obbligo di

“Troppo” petrolio e il WTI va sotto zero

accettare petrolio dai produttori si offrono quindi di pagare altri soggetti per prendere in carico l’ex oro nero. Quando il prezzo ha iniziato a essere negativo, un buontempone ha fatto la proposta indecente: se mi date 50 dollari, vi permetto di rifornire la mia automobile! Esagerava: ne bastavano 37, il prezzo – con davanti il segno meno – con cui si sono chiuse le contrattazioni di opzione WTI.

Viviamo in un mondo impazzito: è ufficiale. I futures sul petrolio del West Texas Intermediate (WTI) sono stati negoziati a prezzo negativo al New York Mercantile Exchange (Nymex) lunedì per la prima volta a memoria di trader e di petroliere. La perdita è stata di circa 56 dollari al barile.

Chiudere con le favole e torniamo ai fatti, crudi come il nome del petrolio greggio (crude oil). Gli addetti ai lavori, sgomenti, dicono che il tracollo è il risultato della liquidazione forzata a qualsiasi prezzo del “petrolio fisico”. Stavolta, tutti hanno perso la scommessa. Come per il mercato dell’oro, esiste il petrolio fisico, ossia realmente estratto per la lavorazione, e quello virtuale, scambiato nelle transazioni a ciclo continuo delle borse guidate dagli algoritmi e dalla speculazione h.24, 365 giorni l’anno.  Sono sparite le fiches e il banco, sono rimasti i giocatori con in mano pezzi di carta straccia, i titoli di proprietà di un bene che nessuno vuole. Quali sono le favole, allora? Solo la lattaia ha fatto i conti senza l’oste, ovvero il testardo principio di realtà?

Fondamentalmente, il prezzo negativo riguarda partite di greggio bloccate dalle raffinerie che riducono la loro produzione perché non riescono a vendere i prodotti in un mercato in cui è crollata la domanda. Colpa del blocco globale dell’industria e del consumo causato dalla diffusione della pandemia di Covid-19. L’alto prezzo negativo significa che non vi sono più siti di stoccaggio. I paesi consumatori si trovano in emergenza sanitaria. Il traffico aereo mondiale è diminuito di oltre l’80%. Non va meglio il trasporto marittimo e la domanda di benzina e di prodotti raffinati è minima. L’indice WTI riflette il prezzo nella città senza sbocco al mare di Cushing, in Oklahoma, ma non è l’unico in difficoltà. Anche il petrolio del Canada è stato negoziato in negativo. I contratti per le consegne WTI a giugno erano ancora positivi a 20 dollari / barile, così come i contratti per il petrolio Brent (25 dollari/ barile) che riflettono le consegne in mare.

Primo effetto geopolitico: il gas di scisto americano è praticamente morto. I produttori hanno ridotto la produzione, ma non basta. Il numero di piattaforme petrolifere e di gas attive negli Stati Uniti si è dimezzato in pochi mesi, da mille a circa cinquecento. Ci si aspetta a brevissimo termine che ne restino cento. La perforazione dovrà essere interrotta perché le raffinerie non possono vendere i prodotti. La riduzione dei flussi di raffinazione, per motivi tecnici, è più rapida della diminuzione della produzione. Il fatto –  ovvio per la gente che vive e veste panni, ma non nelle nuvole e nelle bolle di sapone della finanza – è che i mercanti di “futures” su petrolio fisico prossimo alla scadenza, devono ricevere il prodotto. Possono farlo attraverso un contratto di scambio a termine con consegna reale (EFP), ma ciò richiede la ricerca di un player “fisico” pronto a ricevere la merce.

La bellissima gara di corsa raccontata nel Mito di Atalanta

Anche in circostanze normali vi è un’oscillazione tra prezzi fisici e prezzi a termine o a breve termine. I prezzi fisici sono rimasti da settimane inferiori ai prezzi del barile promessi sulla carta, riflettendo una dinamica di fondo e rendendo brusca, violenta la rideterminazione dei prezzi. La produzione di gas di scisto costa circa 45 dollari al barile. Nessun produttore americano può continuare ad estrarre. Tutti sono in un mare di debiti. Sono ancora restii a fermare i loro pozzi, i quali, una volta chiusi, tendono a bloccarsi. Per ripartire, ci vorranno tempi lunghi e costi elevatissimi. È improbabile che diventino redditizi nei prossimi due, cinque anni, forse mai. L’età della pietra non finì per mancanza di pietre. L’età del petrolio non finirà per mancanza di petrolio. La domanda ha probabilmente raggiunto il picco in tutto il mondo. Sono state sviluppate alternative energetiche e la pandemia ci accompagnerà per almeno due anni. La lattaia petrolifera ha rotto la sua brocca, un tempo la cornucopia inesauribile della Dea Atalanta.

Non c’è motivo di aspettarsi che il greggio raggiunga nuovamente il suo picco precedente di oltre 100 dollari/barile. Il debito totale dei produttori di gas di scisto americano è stimato in almeno 200 miliardi di dollari. Non sarà mai rimborsato. Questa carneficina potrebbe portare al collasso di parte del sistema bancario. Tutti i paesi i

“l’oro è la ‘carta igienica’ dei ricchi, Bitcoin quella dei poveri. (Max Keiser)

cui bilanci dipendono dalla vendita di petrolio sono in drammatica difficoltà. Via via che gli Stati perderanno importanza come produttori e consumatori, cambieranno le politiche globali. La pandemia ha amplificato i problemi strutturali e gli squilibri esistenti nei mercati e nelle nostre società: i nodi vengono al pettine. Tutta colpa della pietruzza su cui è inciampata la lattaia. Sul sito anglofono <rt.com> Max Keiser,(1) uno dei più noti insiders, conferma le convinzioni di molti: se il prezzo del petrolio diviene negativo e si arriva al paradosso di pagare qualcuno affinché si prenda il greggio, è evidente che in quel mercato c’è qualcosa di “fondamentalmente falsato”. 

 Il calo del prezzo del petrolio in territorio negativo è uno spasmo della belva bancaria. Le ricadute a lungo termine del disastro finanziario del 2008 hanno privato i prezzi di qualsiasi relazione con la realtà. Il crollo presente, tanto simile alla brocca di latte sparsa nel sentiero, ha ragioni diverse. Una è la guerra dei prezzi tra la Russia e l’Arabia Saudita, ma vi sono altre radici più lontane nel tempo, in particolare nelle profonde fratture strutturali dell’economia globale. Allo stesso modo, noi persone comuni abbiamo difficoltà a comprendere il concetto di tasso di interesse negativo, per cui i Buoni del Tesoro di alcuni Paesi, ad esempio, sono scesi sotto zero, prova che il sistema finanziario è stato ferito a morte durante il crollo del 2008, allorché le banche furono schiacciate sotto il peso di 200mila miliardi di debito non garantito. 

Forse dovremmo considerare i prezzi negativi del petrolio e il tasso negativo come resti del corpo lacerato e smembrato della “bestia banca”, trascinati a terra dal diabolico processo di

Un villaggio di cartapesta

finanziarizzazione creato con denaro fiat e deregolamentazione senza fine. Nella speranza di sostenere le banche insolvibili con 500 mila miliardi di cartamoneta stampata, o meglio creata con un clic sulla tastiera delle banche centrali, i rimedi monetari escogitati dopo il tracollo del 2008, non hanno curato nulla. Si sono rivelati assai simili ai “villaggi Potemkin”,(2) i paesi di cartapesta i cui abitanti erano dei figuranti, fatti costruire dal principe Grigory Potemkin lungo le rive del Dnepr per impressionare l’imperatrice Caterina di Russia.  

Per Max Keiser, “nel 2020, I cadaveri putrefatti delle banche mondiali, morte dal 2008, si disintegrano sotto i nostri occhi e tutti i prezzi che provengono dai meccanismi di mercato non hanno il minimo significato”. Trump ha tentato di parare il colpo annunciando l’acquisto di 75 milioni di barili per completare le riserve strategiche americane. Un rimbalzo c’è stato, ma manca del tutto una strategia, il minimo soffio della realtà. Si continua a navigare a vista, non si intravvede alcun piano a lungo termine, soprattutto nessuna “exit strategy” per cambiare non le regole, ma il gioco. La cartapesta del villaggio Potemkin è fradicia, ridotta peggio dei poveri rifugi dei senza tetto, un simulacro del nulla in cui rifiuta di entrare anche il virus. Il Sistema? Non ha più nemmeno il numero di telefono prontamente localizzato dagli apparati di sorveglianza.

Che sia meglio tornare ai fondamentali, e immaginare che la nostra lattaia, pur affranta, può ancora contare, nella fattoria, sulla mungitura del giorno dopo? Se non ha lasciato aperta la stalla e venduto “in territorio negativo” l’ultimo toro. 

 

Note

  • (1) Timothy Maxwell “Max” Keizer (nato il 23 gennaio 1960) è un regista e produttore cinematografico americano. Ospita Keizer Report, un programma finanziario trasmesso sul canale multimediale RT (precedentemente noto come Russia Today) che presenta teorie economiche eterodosse. Fino a novembre 2012, Keizer ha ancorato On the Edge, un programma di notizie e analisi ospitato dall’Iran Press TV. Ha ospitato lo speciale di Capodanno The Keiser’s Business Guide to 2010 per BBC Radio 5 Live. Keizer ha presentato una stagione di The Oracle con Max Keizer su BBC World News. Ha prodotto e apparso nella serie TV People & Power sulla rete inglese Al-Jazeera. Accanto a sua moglie Stacy Herbert, è conduttore del programma economico settimanale Double Down su Radio Sputnik, presenta uno spettacolo settimanale su finanza e mercati sulla Resonance FM di Londra e scrive per The Huffington Post. Ha vissuto a Londra per molti anni, ma ha promesso di tornare negli Stati Uniti se Trump fosse eletto presidente. “Prevedo — e questo sarebbe non soltanto il caso d’uso definitivo ma anche la massima ironia— che quando le persone si renderanno conto che non possono comprare oro, si riverseranno in massa in Bitcoin.”
  • (2) I villaggi Potëmkin sarebbero stati dei villaggi fittizi così chiamati dal principe Grigorij Aleksandrovič Potëmkin, che ne volle la creazione. Secondo il rapporto di un diplomatico, il principe li avrebbe fatti costruire lungo le rive del Dnepr, nei territori conquistati dall’Impero Ottomano, per impressionare Caterina II di Russia durante un viaggio in Crimea nel 1787: i villaggi erano di cartapesta e c’erano attori che si atteggiavano a falsi pastori fingendo di vivere una vita facile e felice. L’imperatrice fu stupita di vedere in questa regione anche un esercito ben organizzato e un’intera flotta a Sebastopoli. Nel suo viaggio Caterina II era accompagnata dai numerosi ambasciatori stranieri. Uno di questi diplomatici, l’ambasciatore Helbig, è considerato l’autore della leggenda. L’episodio è narrato infatti in un suo libro-pamphlet dal titolo “Potëmkin Tavrkiceskij”. Il pamphlet fu pubblicato ad Amburgo ed ebbe una vasta diffusione nei Paesi Bassi e Gran Bretagna. Nel suo libro Helbig accusava Potemkin di aver sottratto il denaro ricevuto per la provincia e di aver organizzato la truffa per non farsi scoprire dall’imperatrice. In particolare avrebbe impiegato trucchi quali spostare gli stessi greggi di pecore lungo il percorso dell’imperatrice e di aver dipinto diversi mercantili da navi militari presentandoli come la flotta di Sebastopoli.
Fonte

 

 

 

 

Copertina: Johannes Vermeer 1632–1675) La lattaia, Rijksmuseum, Amsterdam. (commons.wikimedia.org)

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