”«C’è una maschera per la famiglia, una per la società, una per il lavoro. E quando resti da solo, non rimane più niente.» (Luigi Pirandello)
IL POTERE SI TOGLIE LA MASCHERA
MA IL VOLTO È SEMPRE LO STESSO
«Per i vaccinati è normale questo Natale, e speriamo che il prossimo anno sarà così per tutti».
«Parole disgustose e indegne di un Presidente del Consiglio. Comunque la si pensi sui vaccini & co, chiunque sostenga questo personaggio, mediocre quanto pericoloso, è complice». Così ha commentato qualcuno.
Una definizione lapidaria, capace di illuminare da sola tutta la anomalia politica che avvolge e sconvolge la nostra vita, individuale e collettiva. Quella per cui affondiamo velocemente nelle sabbie mobili del caos, mentre un potere sadico e vorace tutt’intorno ha demolito impunemente, giorno dopo giorno, tutte le regole scritte e non scritte del vivere civile, della ragione e della religione.
Quanto a quelle parole, di certo, nessuna novità rispetto a quanto abbiamo udito in questi mesi di straordinaria follia. Celebre la sentenza «chi non si vaccina muore e fa morire». Sulle altre frasi “stravaganti” che l’hanno preceduta e seguita, sempre brillantemente, non vale la pena di ritornare. Sono agli atti.
Ma vale la pena di analizzare il fenomeno in sé perché, se verba sunt consequetia rerum,(1) nel caso che ci appassiona esse appaiono anzitutto consequentia hominis. Se assistiamo ancora impotenti al collasso di ogni dignità della politica, chi se ne fa portavoce si mostra anche incapace di padroneggiare la misura oratoria. Quella che permette di stendere un paravento, formalmente inattaccabile, tra il detto e i reconditi intenti vessatori o eversivi, forse sottilmente compiaciuti.
Chi parla così sembra anche incapace di mostrarsi innocuo almeno all’apparenza e magari di spiegare ad pompam(2) la bandiera di grandi idee e di alti principi.
Anzi, pare di assistere piuttosto a una spregiudicata ostentazione di disprezzo per ogni convenienza verbale, fosse pure quella più platealmente ipocrita. E questo getta qualche ombra persino sulla lucidità di tale “stile” oratorio, e sulla sua eventuale premeditazione, ovvero sulla effettiva intenzionalità delle parole pronunciate, sulla consapevolezza del loro significato.
Perché delle due l’una: o si tratta di un affondo studiato per toccare il tessuto molle di una sensibilità collettiva considerata primordiale, e dunque immeritevole di una sintassi più accorta. Oppure la protratta dimestichezza con i linguaggi esoterici dei caveaux bancari rigorosamente anglofoni ha sbiadito il ricordo delle sbavature concettuali cui si presta un uso grossolano dell’italiano. Ma è anche possibile che, per altre ragioni, il linguaggio esca incontrollato, a briglia sciolta, dalle casematte di un pensiero troppo affaticato dai contorsionismi di strategie complesse.
Tuttavia, resta purtroppo il fatto che l’uso dissennato delle parole si accompagna alle offese micidiali portate al diritto, alla logica, al buon senso e alle leggi più elementari del buon governo, così come si accompagna a ogni abuso di potere e dei poteri. Si deve accompagnare, altresì, alla completa fiducia nell’imbambolamento mediatico delle masse fatto a ciclo continuo. Infatti, le masse non si scompongono di fronte a nulla, contente di ottenere il “Natale premio” per buona condotta.
Del resto, ad esempio, non si scompongono neppure per il fatto che il mistero intorno alla forza sanificante dei prodotti miracolosi resi obbligatori, che consentiranno l’uso delle palle colorate, dovrebbe sciogliersi non prima del 2076, data stabilita per il disvelamento dei segreti vaccinali.
Soluzione rassicurante per tutti, alchimisti, piazzisti, consumatori e obiettori che per quell’epoca saranno ragionevolmente morti, salvo casi eccezionali o paranormali. Mentre alcuni di essi, si sono già assicurati da vivi l’impunità penale in via precauzionale, perché qualche volta il principio di precauzione può tornare anche utile, mentre con quella clausola di salvaguardia la tutela viene estesa anche alla memoria, dato che la morte estingue il reato.
Ma se neppure questo banale gioco di date pare sufficiente a insinuare anche nelle menti meno smaliziate qualche sospetto sulla buonafede altrui, è perché i maghi e i piazzisti che maneggiano le pozioni miracolose sapevano come funziona la psicologia delle masse urbanizzate e tele dirette. Sanno di avere a che fare con la paura fisica degli adulti, e con quella dei nipotini eredi dell’edonismo reaganiano di essere privati della ammucchiata al bar e in discoteca. Entrambi hanno cancellato anche l’ombra del dubbio dal proprio orizzonte di non pensiero. Del resto, la stessa leggendaria signora di ferro ammetteva che l’obiettivo neoliberista erano le anime. L’obiettivo era già stato raggiunto, ma la cosiddetta pandemia ne fornisce ora la prova invincibile.
Così, se non destano allarme i fatti più insensati, non sono certo le parole dissennate quelle capaci di scuotere le masse felicemente obbedienti e, tanto meno, la compagine ministeriale, naturalmente complice, perché «mediocre quanto pericolosa».
Ma ecco che all’improvviso arriva anche il controcanto di un comprimario, di quell’altro Mario già fatale per la nostra storia recente. Dice, senza incrinature di voce, che l’informazione elargita al popolo deve essere drasticamente ridotta. Perché siamo in guerra.
Ora, bisogna riconoscere a costui d’aver messo a segno un colpo di teatro magistrale. Non tanto perché lì per lì ha reso ancora più attoniti del solito i volti naturalmente inespressivi dei suoi interlocutori. Ma perché questo invito plateale a scoprire le carte ha sorpreso tutti. Anche quelli che hanno capito benissimo quale guerra feroce sia stata scatenata dal potere contro l’intera società e non soltanto contro una sorta di piccola Vandea, come pensano i più.
Ma l’uscita deve aver sconcertato anzitutto i giornalisti impegnati quotidianamente nella persuasione occulta delle masse attraverso la manipolazione delle notizie. Costoro non possono non essersi sentiti mortificati per lo svilimento del buon lavoro svolto finora.
Poi anche i conduttori televisivi, allenati alla pantomima quotidiana del falso confronto organizzato, per forgiare ogni giorno il non pensiero uguale, hanno dovuto incassare il peso della ingratitudine. Solo Severgnini, vestito ancora alla marinara, pare non abbia avvertito nessuna scossa. Per forza di cose.
”A tutti costoro l’ex bocconiano col loden ha detto: basta con i giochi di prestigio a cui forse la gente comincia a non credere. Passiamo ai fatti. Tanto il potere ce l’abbiamo e guai a chi ce lo tocca. La sobrietà nella mistificazione ci farà risparmiare anche gli idranti, e per ora anche le bombe.
I critici dicono che il potere ha gettato la maschera. Ma non ci sono maschere da gettare perché esse coincidono perfettamente con i volti. Dobbiamo in ogni caso essere contenti. Perché le maschere del potere e dei poteri ci sollevano ora anche dalla fatica di dovere provare la malafede, il malgoverno, l’arbitrio e la tirannia.
Così è possibile concentrare le energie sulla resistenza perché, al di là della catastrofe, ci sarà, a Dio piacendo, o almeno ci dovrebbe essere, la palingenesi. E chissà che, a poco a poco, una visione più chiara di tutta questa realtà non appaia anche in chi ha subito e continua a subire l’oscuramento della ragione.
Fonte:
(1) I Latini pensavano che il termine «nomen» derivasse etimologicamente da «omen», cioè che la parola indicasse in sé il destino dell’oggetto o della persona, le sue caratteristiche specifiche. «Nomina sunt consequentia rerum», ovvero «i nomi sono conseguenza della realtà delle cose». Per questa ragione è fondamentale comprendere l’etimo primo di un termine, proprio per cogliere il fine, il destino, la prospettiva di compimento.
(2) “Per pompa”, cioè per pura ostentazione; dote “ad pompam” era chiamata quella di cui si maggiorava falsamente l’entità, in modo che la famiglia dotante apparisse molto più ricca di quanto in realtà non fosse.