”Agatha Christie non andò mai a scuola, eppure è diventata la più grande scrittrice di gialli di tutti i tempi.
Nata il 15 settembre 1891 a Torquay (Gran Bretagna), figlia minore del matrimonio di Fred Miller (Miller è il suo vero cognome) e Clara Boehmer. Da bambina aveva un carattere timido e ritirato, e rifiutava le sue bambole per giocare con amici immaginari. Suo padre, che viveva affittando appartamenti, passava la giornata a giocare a carte e morì quando lei aveva 11 anni, lasciando la moglie e i figli in bancarotta Agatha crebbe dunque in una famiglia borghese e non avendo frequentato alcuna scuola, viene istruita dalla madre, Clara Boehmer, donna della buona società e nonché dalla nonna e dalle governanti di casa. Tornata da Parigi dopo aver tentato gli studi per diventare una cantante lirica, conosce Archibald Christie, colonnello della Royal Flying Corps, con cui si fidanza.
Nel 1920 le venne l’idea, lavorando in un ospedale, come assistente nel dispensario, a contatto con i veleni, per il suo primo romanzo giallo che vedeva come protagonista l’investigatore belga Hercule Poirot, “Poirot a Styles Court”. Attraverso le avventure di quest’ultimo e dell’arzilla vecchietta Miss Marple fece la storia del genere “giallo/poliziesco”, influenzando generazioni di scrittori. Si misurò anche con il “romanzo rosa” pubblicando sei opere sotto lo pseudonimo di Mary Westmacott. Ricordata per capolavori assoluti come Assassinio sull’Orient Express e “Dieci piccoli indiani”, è, dopo Shakespeare, la scrittrice inglese più tradotta di sempre e i suoi romanzi hanno ispirato numerose versioni cinematografiche.
Ecco a voi Hercule Poirot.
Doveva essere un ispettore per avere una buona conoscenza del crimine. Doveva essere anche meticoloso e molto ordinato, decisi, mentre mi affaccendavo a raccogliere una serie di oggetti che avevo seminato nella mia stanza. Un omino preciso, con la mania dell’ordine, della simmetria, e una netta propensione per le forme quadrate piuttosto che per quelle tonde. E poi molto intelligente, con il cervello pieno di piccole cellule di materia grigia… ah, che bella frase, non dovevo dimenticarla. Bisognava anche che avesse un nome importante, un nome che non sarebbe sfigurato nella famiglia Holmes. Già, perché loro quanto a nomi… Come si chiamava il fratello di Sherlock? Mycroft, nientemeno. E se l’avessi chiamato Hercules? Hercules mi parve un ottimo nome per un omino così. Trovargli un cognome era più difficile. Non so assolutamente perché scelsi Poirot, se fu una folgorazione o se lo lessi su qualche giornale. Comunque mi parve buono, anche se non si legava bene con Hercules. E se fosse stato Hercule? Hercule Poirot… perfetto, grazie a Dio, era fatta.
Agatha Christie.
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Il re di fiori. Titolo originale: The King of Clubs. Pubblicato per la prima volta con il titolo The Adventure of the King of Clubs su «The Sketch» il 21 marzo 1923.Traduzione di Lydia Lax.
Trama
Il re di fiori La bella e giovane Valerie Saintclair e un’attrice che sta ottenendo il favore del pubblico e si trova sul set del suo prossimo film, diretto da Bunny Saunders, regista di successo e amico del capitano Hastings.
Negli studi si trova anche il produttore Henry Reedburn che tormenta la ragazza e la ricatta da tempo.
La situazione si fa sempre più insostenibile finché l’uomo viene brutalmente assassinato.
Chi è stato? Uno degli attori caduto in disgrazia agli occhi della vittima? La bella Valerie? E perché Poirot, che investiga sul delitto, dedica molta attenzione ai vicini di casa di Reedburn e al fatto che giocassero a bridge al momento della sua morte? “Il re di fiori” potrebbe dare la soluzione.
«Il re di fiori»
«La realtà» osservai, mettendo da parte il «Daily Newsmonger» «supera la fantasia!»
L’osservazione forse non era originale. Comunque parve entusiasmare il mio amico. Chinando di lato la testa a uovo, l’ometto si tolse con cura un immaginario granello di polvere dai pantaloni impeccabilmente stirati e osservò: «È proprio vero! Che pensatore è il mio amico Hastings!».
Senza mostrarmi irritato per quell’inutile e ironica battuta diedi un colpetto sul giornale che avevo accantonato.
«Avete letto il giornale del mattino?»
«Sì. E dopo averlo letto l’ho di nuovo ripiegato ordinatamente. Non l’ho gettato per terra come avete fatto voi, con quella vostra così deplorevole mancanza di ordine e metodo.»
(Questo è il lato peggiore di Poirot. Ordine e metodo sono i suoi dei. Arriva al punto di attribuirvi tutto il suo successo.)
«Allora avrete letto il resoconto dell’omicidio di Henry Reedburn, l’impresario. È stato questo che mi ha suggerito l’osservazione. Non solo la realtà supera la fantasia, ma è anche più drammatica. Pensate a quella solida famiglia inglese del ceto medio, gli Oglander. Padre e madre, figlio e figlia, la famiglia tipo di questo paese. Gli uomini vanno quotidianamente nella City, le donne badano alla casa. La loro vita è assolutamente serena e totalmente monotona. Ieri sera sedevano nel loro lindo salotto di Daisymead, Streatham, e giocavano a bridge. D’un tratto, senza alcun preavviso, la portafinestra si spalanca e una donna entra barcollando nella stanza. Il suo abito di raso verde ha una macchia rossa. Pronuncia una sola parola: “Assassinio!” prima di cadere a terra priva di sensi. Riescono a riconoscerla perché hanno visto le sue fotografie sui giornali: è Valerie Saintclair, la famosa ballerina che ultimamente ha fatto impazzire Londra.»
«È una sintesi che avete fatto voi o sono le parole del “Daily Newsmonger”?» chiese Poirot.
«Il giornale aveva fretta di andare in stampa e si è quindi limitato ai fatti nudi e crudi. Ma le implicazioni drammatiche della storia mi hanno colpito subito.»
Poirot annuì pensosamente. «Dovunque ci sia la natura umana c’è anche il dramma. Ma… non sempre lo si trova dove si pensa. Ricordatelo. Comunque, anch’io sono interessato a questo caso dato che, probabilmente, ci avrò a che fare.»
«Davvero?»
«Sì. Un signore mi ha telefonato stamattina e ha preso appuntamento con me per conto del principe Paolo di Maurania.»
«Ma che cosa c’entra questo?»
«Voi non leggete quei simpatici e scandalistici giornaletti inglesi? Quelli che raccontano vita, morte e miracoli di tutti? Guardate qui.»
Seguii il suo dito corto e tozzo, che mi indicava un paragrafo: “… se fra il principe straniero e la famosa danzatrice esistano realmente affinità! E se alla signorina piace il suo nuovo anello di diamanti!”.
«E adesso, per riprendere la vostra narrazione così melodrammatica,» continuò Poirot «mademoiselle Saintclair è appena svenuta sul tappeto del soggiorno a Daisymead, ricordate?»
Scrollai le spalle. «Dopo che mademoiselle ebbe mormorato qualche parola, appena ripresi i sensi, padre e figlio Oglander si misero in moto, uno per cercare un medico che si occupasse della signorina, manifestamente in preda a un terribile shock, e l’altro per raggiungere la stazione di polizia dove, dopo aver raccontato la sua storia, fu pregato di accompagnare gli agenti a Mon Desir, la stupenda villa del signor Reedburn, situata non molto lontano da Daisymead. Lì trovarono il grand’uomo, che tra l’altro godeva di una reputazione poco simpatica, steso a terra nella biblioteca, con la nuca spaccata come un guscio d’uovo.»
«Scusate, non avevo valutato appieno il vostro stile di narratore» disse Poirot con gentilezza. «Vi prego di perdonarmi… Ah, ecco monsieur le prince!»
Il nostro distinto ospite fu annunciato con il titolo di conte Feodor. Era un giovane dall’aspetto strano, alto, con un mento sfuggente, la famosa bocca dei Mauranberg e gli occhi scuri e ardenti del fanatico.
«Monsieur Poirot?»
Il mio amico chinò il capo.
«Monsieur, sono in un terribile guaio, più terribile di quanto possa esprimere…»
Poirot fece un cenno con la mano. «Capisco la vostra ansia. Mademoiselle Saintclair è una carissima amica, vero?»
Il principe si limitò a rispondere: «Spero che diventi mia moglie».
Poirot si raddrizzò sulla sedia e spalancò gli occhi.
Il principe continuò: «Non sarei il primo della mia famiglia a fare un matrimonio morganatico. Anche mio fratello Alessandro ha sfidato l’imperatore. Oggi viviamo giorni più illuminati, liberi dai vecchi pregiudizi di casta. Inoltre, effettivamente, mademoiselle Saintclair è del mio stesso rango. Voi sapete qualcosa della sua vita?»
«Vi sono molte versioni romantiche sulle sue origini, il che non è raro per quanto riguarda le ballerine famose. Ho sentito che è figlia di una cameriera irlandese e ho sentito anche la storia secondo la quale sua madre sarebbe una granduchessa russa.»
«La prima versione ovviamente è assurda» disse il giovane. «La seconda è vera. Valerie, per quanto tenuta alla segretezza, me lo ha fatto capire. Inoltre, inconsapevolmente, per mille particolari, lo dimostra chiaramente. Io credo nell’ereditarietà, monsieur Poirot.»
«Anch’io» rispose Poirot pensosamente. «Ho visto le cose più strane a questo riguardo… moi qui vous parle…Ma torniamo al lavoro, monsieur le prince. Cosa volete da me? Che cosa temete? Posso parlare liberamente, vero? C’è qualcosa che può collegare mademoiselle Saintclair all’omicidio? Conosceva Reedburn?»
«Sì. Lui affermava di essere innamorato di lei.»
«E lei?»
«Non voleva saperne.»
Poirot lo guardò con occhi penetranti. «Aveva motivi per temerlo?»
«C’è stato un incidente.» Il giovane esitò un momento. «Voi conoscete Zara, la veggente?»
«No.»
«È meravigliosa, dovreste consultarla una volta o l’altra. Valerie e io siamo andati da lei la settimana scorsa. Ci ha fatto le carte. Ha parlato a Valerie di guai… di nubi che si addensavano; poi ha girato l’ultima carta.La chiamano “carta coperta”. Era il re di fiori. Zara ha detto a Valerie: “Stai attenta. C’è un uomo che ti tiene in suo potere. Tu hai paura di lui e per colpa sua sei in grande pericolo. Sai a chi mi riferisco?” ha chiesto. Valerie è sbiancata in volto. Annuendo ha risposto: “Sì, sì, lo so”. Di lì a poco ce ne siamo andati. Le ultime parole di Zara a Valerie sono state: “Attenta al re di fiori. Un pericolo ti minaccia!”. Ho interrogato Valerie. Non ha voluto dirmi nulla… mi ha assicurato che andava tutto bene. Ma adesso, dopo ieri sera, sono più che mai sicuro che nel re di fiori Valerie ha visto Reedburn e che era proprio di lui che aveva paura.»
Il principe si interruppe, poi riprese bruscamente. «Ora capite la mia agitazione quando ho visto il giornale stamattina. Supponiamo che Valerie, in un accesso di follia… Oh, ma è impossibile!»
Poirot si alzò dalla sedia e con gesto comprensivo batté la spalla del giovanotto. «Non disperate, vi prego, lasciate la cosa nelle mie mani.»
«Andrete a Streatham? Penso che si trovi ancora lì, a Daisymed, sotto shock.»
«Ci andrò subito.»
«Ho predisposto tutto io… attraverso l’ambasciata. Vi sarà consentito l’accesso ovunque.»
«Allora andremo subito… Hastings, volete accompagnarmi? Au revoir, monsieur le prince.»
Mon Desir era una villa straordinariamente bella, modernissima e confortevole. Un breve vialetto di accesso la collegava alla strada principale e dietro la casa un bellissimo parco si estendeva per vari ettari.
Quando sentì il nome del principe Paolo, il maggiordomo che aveva aperto la porta ci condusse subito sulla scena della tragedia. La biblioteca era una stanza magnifica che occupava quasi tutto il retro e la facciata dell’intera costruzione, con finestre su entrambi i lati, una sul vialetto d’accesso e una sul parco. Il corpo era stato trovato nella nicchia di quest’ultima finestra. Era stato portato via da poco, non appena la polizia aveva concluso i propri rilievi.
«Questo è irritante» mormorai a Poirot. «Chissà quanti indizi avranno distrutto.»
Il mio piccolo amico sorrise. «Eh… eh! Quante volte devo ripetervi che gli indizi vengono da dentro? La soluzione di ogni mistero si trova nelle piccole cellule grigie del cervello.»
Si rivolse al maggiordomo. «Suppongo che, a parte la rimozione del cadavere, la stanza non sia stata toccata.»
«No, signore. È esattamente com’era quando è arrivata la polizia, ieri sera.»
«Dunque, vedo che le tende di quella nicchia sono uguali a quelle dell’altra finestra. Sono state tirate ieri sera?»
«Sissignore. Lo faccio io tutte le sere.»
«Allora dev’essere stato lo stesso signor Reedburn ad aprirle ieri sera.»
«Suppongo di sì, signore.»
«Che voi sappiate, il vostro padrone aspettava qualcuno ieri sera?»
«Non l’ha detto, signore. Ma ha dato ordine di non disturbarlo dopo cena. Vedete, signore, c’è una porta che conduce fuori dalla biblioteca e immette nel terrazzo sul fianco della casa. Avrebbe potuto far entrare chiunque da quella parte.»
«Era solito farlo?»
Il maggiordomo tossì con discrezione. «Penso di sì, signore.»
Poirot si avvicinò alla porta in questione e vide che non era chiusa a chiave. La aprì e passò sulla terrazza che conduceva al vialetto sulla destra. Dalla parte sinistra arrivava fino a un muro di mattoni rossi.
«L’orto, signore. Più avanti c’è una porta dalla quale vi si accede, ma alle sei è sempre chiusa a chiave.»
Poirot annuì e rientrò nella biblioteca, seguito dal maggiordomo.
«Non avete sentito niente di quello che è successo qui ieri sera?»
«Be’, signore, abbiamo sentito delle voci in biblioteca poco prima delle nove, ma non era una cosa insolita, soprattutto poiché si trattava di una voce femminile. Ma naturalmente quando siamo passati negli alloggi del personale, dal lato opposto, non abbiamo più sentito niente. E poi, verso le undici, è arrivata la polizia.»
«Quante voci avete sentito?»
«Non saprei, signore, ho notato solo quella femminile.»
«Ah!»
«Chiedo scusa, signore, ma se desiderate vedere il dottor Ryan, è ancora qui.»
Cogliemmo al volo la proposta e di lì a pochi minuti il dottore, un uomo cordiale di mezza età, ci raggiunse in biblioteca e diede a Poirot tutte le informazioni che questi gli chiese. Reedburn era stato trovato accasciato vicino alla finestra, con la testa vicino al sedile di marmo sotto il davanzale. Presentava due ferite, una tra gli occhi e l’altra, quella fatale, alla nuca.
«Era steso supino?»
«Sì. Quello è il punto.» E indicò una macchietta scura sul pavimento.
«Il colpo alla nuca potrebbe essere stato provocato dalla caduta?»
«Impossibile. Qualunque sia stata l’arma è penetrata abbastanza profondamente nel cranio.»
Poirot si guardò attorno pensoso. Nel vano di ogni finestra c’era un sedile di marmo scolpito, i cui braccioli avevano la forma di una testa leonina. Una luce illuminò lo sguardo di Poirot. «Supponiamo che sia caduto all’indietro battendo sulla testa sporgente di quel leone e di lì sia scivolato al suolo. Questo non potrebbe provocare una ferita come quella che voi avete descritto?»
«Sì, potrebbe. Ma l’angolazione in cui si trovava il corpo rende impossibile questa teoria. E inoltre ci sarebbero state senz’altro tracce di sangue sul marmo del sedile.»
«A meno che non fossero state lavate.»
Il dottore scrollò le spalle. «È molto improbabile. Non avvantaggerebbe nessuno dare a un incidente l’aspetto di un delitto.»
«Esatto» convenne Poirot. «Pensate che potrebbe essere stata una donna a colpirlo?»
«Lo escluderei senz’altro. Suppongo che voi stiate pensando alla signorina Saintclair.»
«Non penso a nessuno in particolare finché non sono sicuro» disse con delicatezza Poirot.
Rivolse quindi la propria attenzione alla portafinestra aperta, mentre il medico riprendeva a parlare.
«È attraverso quella porta che è scappata mademoiselle Saintclair. Tra gli alberi Si può intravedere Daisymead. Naturalmente ci sono molte case più vicine lungo la strada, ma il fatto è che Daisymead, anche se è un po’ più lontana, è l’unica visibile da questa parte.»
«Grazie per la vostra amabilità, dottore» disse Poirot. «Venite, Hastings, seguiremo i passi di mademoiselle.»
Poirot fece strada attraverso il parco, varcò un cancello di ferro, attraversò una distesa erbosa, superò il cancello del giardino di Daisymead, che era una villetta senza pretese al centro di un appezzamento di terreno. Una piccola rampa di scale conduceva a una portafinestra e Poirot annuì in quella direzione.
«È di lì che è passata mademoiselle Saintclair. Noi che non abbiamo la sua stessa urgenza faremo meglio a passare dalla porta d’ingresso.»
Una cameriera ci fece entrare e ci condusse nel soggiorno, quindi andò a cercare la signora Oglander. Era evidente che la stanza non era stata più toccata dalla sera prima. Sulla grata del camino c’erano ancora le ceneri del fuoco, il tavolino da bridge era al centro con le carte del morto ancora distese in ordine e le altre sparpagliate disordinatamente. Il locale era sovraccarico di orpelli e le pareti erano coperte da un gran numero di ritratti di famiglia di una bruttezza insuperabile.
Poirot li osservò con maggiore benevolenza di me e ne raddrizzò qualcuno che era leggermente storto. «La familleè un legame molto forte, non è così? Il sentimento supplisce alla bellezza.»
Mi dichiarai d’accordo, tenendo gli occhi fissi su un gruppo di famiglia che ritraeva un signore con le basette, una signora con un’aureola alta di capelli, un ragazzino corpulento dall’aria stolida e due bambinette addobbate con assurdi nastri di seta. Pensai che si trattasse della famiglia Oglander ritratta in un lontano passato e l’esaminai con interesse.
La porta si aprì e comparve una giovane donna. I capelli neri erano pettinati compostamente, e indossava una giacca di taglio sportivo di un colore spento e una gonna di tweed.
Ci guardò con aria interrogativa. Poirot si fece avanti.
«La signorina Oglander? Mi spiace disturbarvi… soprattutto dopo quello che avete passato. Tutta questa faccenda deve avervi turbato molto.»
«È stato piuttosto sconvolgente» ammise la giovane donna con cautela. Cominciavo a pensare che tutto ciò che aveva attinenza con il dramma non facesse presa su di lei, che la sua mancanza di fantasia fosse superiore a qualsiasi tragedia. Questa idea ebbe conferma quando lei riprese a parlare: «Chiedo scusa per la condizione di questa stanza, la servitù è in stato di agitazione».
«Eravate seduti lì ieri sera, n’est-ce pas?»
«Sì, stavamo giocando a bridge dopo cena quando…»
«Scusate… da quanto tempo stavate giocando?»
«Be’…» la signorina Oglander tacque per riflettere: «Non potrei veramente dirlo, suppongo che fossero più o meno le dieci e avevamo fatto diversi rubbers. Questo lo so».
«E voi eravate seduta… dove?»
«Guardavo la finestra. Giocavo con mia madre e avevo dichiarato “un senza”. D’un tratto, senza alcun preavviso, la finestra si è spalancata e la signorina Saintclair è entrata barcollando nella stanza.»
«L’ha riconosciuta?»
«Mi è parso che il suo volto fosse vagamente familiare.»
«È ancora qui, vero?»
«Sì, ma rifiuta di vedere gente. È molto prostrata.»
«Credo che vedrà me. Volete dirle che sono qui per espressa richiesta del principe Paolo di Maurania?»
Ebbi l’impressione che l’accenno a un principe avesse scosso notevolmente la calma imperturbabile della signorina Oglander, ma uscì dalla stanza per fare la sua commissione senza ulteriori osservazioni e tornò quasisubito per riferire che la signorina Saintclair ci aspettava nella propria stanza.
La seguimmo su per le scale ed entrammo in una camera da letto piuttosto grande e luminosa. Su un divano accanto alla finestra era stesa una donna che girò il capo al nostro ingresso. Il contrasto tra le due donne mi colpì subito, tanto più che, nei lineamenti e nel colorito, non erano del tutto dissimili… Ma oh, quale differenza! Non c’era un’espressione o un gesto in Valerie Saintclair che non esprimesse un senso di drammaticità. Da lei sembrava emanare un’aura romantica. Una vestaglia di flanella scarlatta le copriva i piedi – in verità un capo d’abbigliamento molto casalingo; ma il fascino della personalità di quella giovane conferiva all’indumento qualcosa di esotico facendo sì che apparisse come una vestaglia orientale dai colori vivacissimi.
I suoi grandi occhi scuri si fissarono su Poirot.
«Venite da parte di Paolo?» La voce era in armonia con l’aspetto fisico: piena e languida.
«Sì, mademoiselle. Sono qui per servire lui… e anche voi.»
«Che cosa volete sapere?»
«Tutto quello che è successo ieri sera. Ma proprio tutto!»
Lei fece un sorriso stanco.
«Pensate che mentirei? Non sono stupida, capisco benissimo che non posso nascondere nulla. L’uomo che è morto conosceva un mio segreto. Con questo mi minacciava. Per Paolo mi sono sforzata di venire a patti con lui. Non potevo rischiare di perdere Paolo… Adesso che quell’uomo è morto sono al sicuro. Però non l’ho ucciso io.»
Poirot scosse la testa con un sorriso. «Non è necessario che mi diciate questo, mademoiselle. Ora raccontatemi che cosa è successo ieri sera.»
«Gli ho offerto denaro. Lui mi era parso disposto a trattare. Mi aveva dato un appuntamento ieri sera alle nove. Io dovevo andare a Mon Desir. Conoscevo il posto. C’ero già stata; dovevo entrare dalla porta laterale nella biblioteca, in modo che la servitù non mi vedesse.»
«Scusate, mademoiselle, ma non avete avuto paura ad andarci da sola, di notte?»
Era la mia immaginazione oppure prima che lei rispondesse vi fu una piccola pausa?
«Forse sì. Ma vedete, non c’era nessuno a cui potessi chiedere di accompagnarmi. Ed ero disperata. Reedburn mi ha fatto entrare in biblioteca. Oh, quell’uomo! Sono contenta che sia morto. Giocava con me come il gatto con il topo. Mi provocava. Io l’ho implorato, l’ho pregato in ginocchio. Gli ho offerto tutti i gioielli che possiedo. Tutto invano! Poi lui mi ha posto le sue condizioni. Forse riuscite a immaginare quali fossero. Ho rifiutato. Gli ho detto quello che pensavo di lui. L’ho investito furibonda, ma lui rimaneva calmo e tranquillo a sorridermi. E poi, quando alla fine ho taciuto, si è sentito un rumore… da dietro la tenda della finestra… Reedburn ha raggiunto a grandi passi la finestra, ha tirato con violenza le tende e lì era nascosto un uomo… un uomo dall’aspetto orrendo, una specie di vagabondo. Ha colpito il signor Reedburn, lo ha colpito più volte finché lo ha visto cadere. Poi mi ha afferrato con la mano sporca di sangue. Mi sono divincolata, sono saltata fuori dalla finestra e mi sono messa a correre come una pazza. Quindi ho visto le luci di questa casa e mi sono avvicinata. Le imposte erano aperte e ho visto gente che giocava a bridge. Sono entrata nella stanza quasi crollandovi dentro. Sono riuscita solo a balbettare “Assassinio!”, poi tutto mi si è oscurato davanti agli occhi…»
«Grazie, mademoiselle. Deve essere stata una grossa scossa per il vostro sistema nervoso. Quanto al vagabondo, potete descriverlo? Ricordate che cosa indossava?»
«No… è stato tutto così veloce. Ma riconoscerei quell’uomo ovunque. Il suo viso è inciso nella mia mente.»
«Ancora una sola domanda, mademoiselle. Le tende dell’altra finestra, quella che si affaccia sul vialetto di accesso, erano tirate?»
Per la prima volta un’espressione di perplessità si stampò sul volto della danzatrice. Parve assorta nel tentativo di ricordare.
«Eh bien, mademoiselle?»
«Credo… sono quasi certa… sì, certissima! Non erano tirate.»
«Strano, dato che le altre invece lo erano. Ma non è grave. Non ha grande importanza. Vi trattenete qui a lungo, mademoiselle?»
«Il dottore pensa che sarò in grado di tornare in città domani.» Si guardò attorno nella stanza. La signorina Oglander era uscita. «Queste persone sono molto gentili… ma non appartengono al mio mondo. Io li scandalizzo! E quanto a me… be’, non amo la bourgeoisie!»
C’era una punta di amarezza in quelle parole.
Poirot annuì. «Capisco, spero di non avervi stancato troppo con le mie domande.»
«Niente affatto,monsieur. Voglio solo che Paolo sappia tutto il più presto possibile.»
«Allora vi auguro buona giornata, mademoiselle.»
Mentre stava uscendo dalla stanza, Poirot si fermò un attimo e si chinò su un paio di sandaletti di vernice. «Sono vostri, mademoiselle?»
«Sì, monsieur. Sono appena stati puliti e portati di sopra.»
«Ah,» disse Poirot mentre scendevamo le scale «a quanto pare i domestici non sono così eccitati da non pulire le scarpe, anche se non tolgono la cenere dal camino. Bene, mon ami, inizialmente sembrava ci fossero due o tre cose interessanti ma temo, temo moltissimo, che dovremo considerare questo caso chiuso. Sembra tutto abbastanza chiaro.»
«E l’assassino?»
«Hercule Poirot non dà la caccia ai vagabondi» rispose il mio amico con sussiego.
Nell’atrio ci venne incontro la signorina Oglander. «Se volete attendere in soggiorno un attimo, mia madre desidererebbe parlarvi.»
La stanza non era ancora stata fatta e Poirot con gesto pigro prese un po’ di carte tra le mani piccole e meticolosamente curate.
«Sapete che cosa penso, amico mio?»
«No» dissi io con curiosità.
«Penso che la signorina Oglander abbia commesso un errore dichiarando “un senza”. Avrebbe dovuto dichiarare “tre picche”.»
«Poirot, è il colmo!»
«Mon Dieu, non posso sempre parlare di sangue e morti!»
A un tratto si irrigidì: «Hastings… Hastings, guardate. Manca il re di fiori!».
«Zara!» esclamai io.
«Come?» Non parve capire la mia allusione. Con gesti automatici riordinò le carte e le rimise nella loro scatola. Il suo viso era molto serio.
«Hastings,» disse alla fine «io, Hercule Poirot, sono stato quasi sul punto di commettere un grosso errore… un grossissimo errore.»
Lo fissai, colpito, ma senza capire assolutamente nulla.
«Dobbiamo ricominciare, Hastings. Sì, dobbiamo ricominciare. Ma stavolta non sbaglieremo.»
Fui interrotto dall’ingresso di una bella signora di mezza età, che teneva nelle mani diverse agende di casa. Poirot le fece un cenno di saluto con il capo.
«È vero, signore, che voi siete un amico della… ehm… signorina Saintclair?»
«Vengo da parte di un suo amico, madame.»
«Oh, capisco. Pensavo che forse…»
Improvvisamente Poirot fece un cenno brusco verso la finestra.
«Queste imposte non erano chiuse ieri sera?»
«No… probabilmente è per questo che la signorina Saintclair ha visto la luce così chiaramente.»
«Ieri sera c’era la luce della luna. Mi stupisco che voi non abbiate visto mademoiselle Saintclair dal vostro posto di fronte alla finestra.»
«Probabilmente eravamo tutti presi dal gioco. Non ci era mai successa una cosa del genere finora.»
«Ci credo senz’altro, madame. Tranquillizzatevi, mademoiselle Saintclair se ne va domani.»
«Oh!» Il volto della brava signora si rischiarò.
«E io vi auguro buongiorno, madame.»
Una cameriera stava ripulendo le scale quando fummo accompagnati alla porta. Poirot le si rivolse subito.
«Siete stata voi a pulire le scarpe della signorina di sopra?»
La ragazza scosse la testa.
«No signore, non credo che siano state pulite.»
«E allora chi le ha pulite?» chiesi a Poirot mentre ci incamminavamo per la strada.
«Nessuno, non c’era bisogno di pulirle.»
«Sono d’accordo con voi che un paio di sandali non si sporcano camminando su un sentiero in una notte limpida, ma certo attraversando un prato erboso si devono per forza macchiare e sporcare.»
«Sì» rispose Poirot con un sorriso strano. «In tal caso, sono d’accordo, si sarebbero sporcati.»
«Ma…»
«Abbia pazienza una mezz’oretta, amico mio, torniamo a Mon Desir.»
Il maggiordomo parve stupito di vederci ricomparire, ma non ebbe obiezioni al fatto che noi tornassimo in biblioteca.
«Ehi, non è la finestra giusta, Poirot!» esclamai vedendo che si dirigeva verso la finestra che si affacciava sul vialetto di accesso.
«Penso di sì, amico mio. Vedete qui?» indicò la testa leonina di marmo. Su di essa vidi una macchia vagamente scolorita. Poirot spostò il dito e lo puntò verso una macchia analoga sul pavimento lucidato.
«Qualcuno ha dato un colpo a Reedburn, gli ha sferrato un pugno tra gli occhi. Lui è caduto all’indietro, battendo la testa su quella sporgenza di marmo, poi è scivolato a terra. Dopo è stato trascinato attraverso la stanza fino all’altra finestra e abbandonato lì, ma non nell’angolazione che ci ha indicato il dottore.»
«Ma perché? Sembra del tutto inutile!»
«Al contrario, era essenziale. Inoltre è la chiave per la soluzione del delitto, anche se l’omicida non aveva intenzione di uccidere Reedburn e quindi non si potrebbe nemmeno definirlo un assassino. Deve trattarsii un uomo molto forte!»
«Perché ha trascinato il corpo per tutta la stanza?»
«Non proprio. È stato un caso interessante, anche se io per poco non ho fatto la figura dell’imbecille.»
«Volete dire che è finita? Che sapete tutto?»
«Sì.»
Mi venne in mente qualcosa all’improvviso. «No!» esclamai. «C’è una cosa che voi nonsapete!»
«E quale?»
«Non sapete dov’è il re di fiori mancante!»
«Eh? Oh, è strano! È stranissimo, amico mio.»
«Perché?»
«Perché è nella mia tasca!» ed estrasse la carta dalla tasca con un gesto teatrale.
«Oh!» dissi piuttosto mortificato. «Dove l’avete trovata? Qui?»
«Niente di sensazionale, in questo senso. Solo che non era stata tirata fuori con le altre carte. Era nella scatola.»
«Ah! Ciò nonostante questo vi ha dato un’idea, vero?»
«Sì, amico mio. Presento i miei rispetti a Sua Maestà.»
«E a madame Zara!»
«Ah, sì, anche a quella signora.»
«Bene, ora che cosa faremo?»
«Torniamo in città. Ma prima devo scambiare qualche parola con una certa signorina a Daisymead.»
Ci aprì la stessa camerierina di prima.
«Stanno tutti pranzando, signore… a meno che non vogliate vedere la signorina Saintclair, che sta riposando.»
«Mi basterà vedere la signora Oglander per qualche attimo; volete dirglielo?»
Ci fece passare nel salotto e aspettammo. Intravidi la famiglia in sala da pranzo, ora arricchita dalla presenza di due uomini, dall’aspetto solido, uno con i baffi e l’altro anche con la barba.
Pochi attimi dopo la signora Oglander entrò nella stanza e guardò con aria interrogativa Poirot, che le fece un inchino.
«Madame, nel mio paese noi proviamo grande tenerezza e grande rispetto per la madre. La mère de famille è tutto!»
La signora Oglander sembrava piuttosto sbalordita per quell’esordio.
«È per questa ragione che sono venuto… per placare l’angoscia di una madre. L’assassino del signor Reedburn non sarà scoperto. Non abbiate paura. Ve lo dico io, Hercule Poirot. Ho ragione, vero? O forse è una moglie che devo rassicurare?»
Vi fu un attimo di silenzio. La signora Oglander parve cercare qualcosa negli occhi di Poirot. Alla fine disse: «Non so come lo sapete, ma avete ragione».
Poirot annuì gravemente. «È tutto, madame. Ma state tranquilla, i poliziotti inglesi non hanno gli occhi di Hercule Poirot.» Batté con l’unghia sul ritratto di famiglia appeso alla parete.
«Avete avuto un’altra figlia, che è morta, vero, madame?»
Di nuovo calò il silenzio mentre lei cercava di leggergli negli occhi. Poi gli rispose: «Sì, è morta».
«Ah!» disse Poirot con vivacità. «Bene, ora dobbiamo tornare in città. Mi permettete di rimettere il re di fiori nel mazzo di carte? È stato il vostro unico errore. Capite, aver giocato a bridge per circa un’ora solo con cinquantuno carte… Be’, chiunque se ne intenda un po’ di bridge non ci crederebbe mai. Bonjour.»
«E ora, amico mio,» disse Poirot mentre ci dirigevamo verso la stazione «potete capire tutto!»
«Non capisco un bel nulla! Chi ha ucciso Reedburn?»
«John Oglander junior. Non ero del tutto sicuro se si trattasse del padre o del figlio, ma ho deciso per il figlio, dato che era il più forte e il più giovane dei due. Doveva per forza essere uno di loro, per via della finestra.»
«Perché?»
C’erano quattro modi per uscire dalla biblioteca: due porte e due finestre, ma evidentemente ne sarebbe servita soltanto una. Tre uscite davano sulla facciata anteriore della casa, direttamente o indirettamente. La tragedia doveva avvenire vicino alla finestra che dava sul retro, per far risultare che Valerie Saintclair era arrivata a Daisymead per puro caso. In realtà naturalmente è svenuta davvero e John Oglander l’ha portata sulle spalle. Per questo ho detto che deve essere un uomo forte.»
«Allora sono andati insieme da Reedburn?»
«Sì, ricordate l’esitazione di Valerie quando le ho chiesto se non aveva avuto paura di andare da sola? John Oglander è andato con lei e questo non ha certo contribuito a migliorare la disposizione d’animo di Reedburn, immagino. Hanno litigato e probabilmente Oglander l’ha colpito quando lui ha insultato Valerie in qualche modo. Il resto lo conoscete anche voi.»
«Ma allora perché il bridge?»
«Perché il bridge presuppone quattro giocatori. Una cosa molto semplice però molto convincente. Chi poteva supporre che per tutta la sera in quella stanza ci fossero state soltanto tre persone?»
Ero ancora perplesso.
«C’è una cosa che non capisco. Che cosa c’entrano gli Oglander con la ballerina Valerie Saintclair?»
«Ah, mi stupisce che non l’abbiate capito. E pensare che anche voi avete guardato a lungo quella fotografia alla parete… più a lungo di me. L’altra figlia della signora Oglander può essere morta per la sua famiglia, ma il mondo la conosce come Valerie Saintclair!»
«Come?»
«Non avete notato la somiglianza nell’attimo in cui abbiamo visto insieme le due sorelle?»
«No» confessai. «Ho pensato che fossero straordinariamente diverse l’una dall’altra.»
«Questo perché la vostra mente è aperta a superficiali impressioni, mio caro Hastings. I lineamenti sono quasi identici, e anche la carnagione. Il punto interessante è che Valerie si vergogna della sua famiglia e la sua famiglia si vergogna di lei. Tuttavia, in un momento di pericolo si è rivolta al fratello per avere aiuto e, quando le cose sono andate male, hanno fatto tutti fronte comune. La forza della famiglia è una cosa meravigliosa. Sono tutti bravi a recitare in questa famiglia. Ecco dove Valerie ha attinto i suoi talenti istrionici. Anch’io, come il principe Paolo, credo nell’ereditarietà! Sono riusciti a ingannarmi! Se non ci fosse stato un fortunato incidente e non avessi sottoposto la signora Oglander a domande di riprova con cui sono riuscito a farle smentire la dichiarazione di sua figlia sui posti che ciascuno occupava durante la partita a carte, la famiglia Oglander avrebbe inflitto una sconfitta a Hercule Poirot.»
«Che cosa direte al principe?»
«Che Valerie non può assolutamente avere commesso il delitto e che dubito che quel vagabondo sarà mai ritrovato. Lo pregherò anche di fare le mie congratulazioni a Zara. Una strana coincidenza, quella! Penso che battezzerò questo caso “l’Avventura del re di fiori. Che ne dice, amico mio?»