Le biografie che portano all’essenza

IL RETROBOTTEGA DEL MAGO BATTIATO

Marcello Veneziani

Nel silenzio assorto di una stanza che profuma d’incenso e silicio, Franco Battiato componeva canzoni come se fossero formule. Non cercava il consenso, ma la risonanza. Diceva di non essere un musicista di cultura, ma “di essenza” – come se la musica non fosse da capire, ma da percepire con un organo sconosciuto, un senso ulteriore. In questo retrobottega immaginario – lontano dalle mode, dai festival e dalle classifiche – si muoveva un alchimista moderno che disegnava suoni per la mente e parole per l’anima. Esoterico senza essere oscuro, colto ma mai elitario, Battiato distingueva gli artisti in due categorie: quelli che seguono i desideri del pubblico e quelli che li formano. Lui era indiscutibilmente tra i secondi. Le sue canzoni – sospese tra la Sicilia, il Tibet e l’elettronica berlinese – parlano a tutti e a nessuno, aprono doppie chiavi di lettura: un intellettuale può scovarvi riferimenti a Gurdjieff o René Guénon, un bambino può canticchiarle senza sapere perché lo attraggano. È la magia dell’assenza, la forza dell’essenza. Nel mondo veloce della musica, Battiato camminava come un monaco in metropolitana: invisibile e inevitabile. (f.d.b.)


Le biografie che portano all’essenza. Si chiama proprio così, All’essenza, l’antologia autobiografica di Franco Battiato edito da Mondadori a cura di Giordano Casiraghi, con l’imprimatur della fondazione dedicata al cantautore siciliano. È il retrobottega di una vita e di un’opera, l’officina dei pensieri e dei ricordi di un cammino non solo musicale; la via dei canti, si potrebbe dire, ma anche le esperienze, gli incontri e i mondi interiori ed esteriori di Battiato. C’è tutto il suo universo spirituale e reale che Casiraghi raccoglie nel collage: non solo pensieri, canzoni e intuizioni, ma anche amore, dolore, ricerca, sesso, cibo, denaro, droga, cinema, educazione, famiglia, infanzia, Sicilia, letture, meditazione della morte, reincarnazione, amicizie, solitudine e silenzio. Si, infine, Un oceano di silenzio.

“Ritengo di essere musicista di essenza e non di cultura”, dice di sé Battiato; i suoi riferimenti culturali, esoterici e sapienziali sono noti ma qui sembra ridimensionarne l’influenza. Quel che conta è l’essenza, a volte anche la magia dell’assenza. Secondo Battiato gli artisti si dividono in due categorie, quelli che seguono i desideri, le mode, le influenze del pubblico, e quelli che invece li determinano; lui appartiene a questa seconda specie. “Le mie canzoni – dice Battiato – piacciono a intellettuali e analfabeti, bambini e adulti, perché offrono una doppia chiave di lettura. Per tutti e per nessuno, come diceva Nietzsche del suo Così parlò Zarathustra; in superficie favola, in profondità viaggio nel pensiero cosmico.

Il cantautore ammette di essere sempre stato affascinato dall’Oriente, ma un “Oriente occidentalizzato”. Il cinghiale bianco, di cui canta, rappresenta, a suo dire, “l’autorità spirituale, il superamento del concetto edonistico della vita, la possibilità di dare corpo all’“inesprimibile”. “La canzone che mi rappresenta di più oggi è Le nostre anime, perché tendo all’aldilà, tento di andare all’aldilà”. Particolare predilezione ha per La Cura: “ha una sua completezza, emozionalità e finezza. È una canzone che ognuno può indirizzare a chi vuole: anche a un padre, a una madre o a un figlio”. L’amore non è solo quello di coppia. Ricorda poi che la splendida raccolta di canzoni altrui, Fleurs, a dispetto del titolo, contiene quasi solo canzoni d’amori sfioriti.

Il mondo, dice Battiato, è sempre stato diviso tra credenti e non credenti, e “i non credenti spesso si sono creduti più intelligenti delle persone di fede. Che errore! Gli schiavi che si credono dei padroni fanno pena”. Noi viviamo nel magico, nota, solo gli stolti non si accorgono che intorno c’è un intero mondo di magia. “Non comprendo come si possa essere atei”.

La preghiera per Battiato non è un atto di fede ma un metodo, un esercizio spirituale. Dopo aver girato molti monasteri, Battiato nota che i mistici sono “la razza più intelligente che conosca. Sono stato accecato da un raggio mistico. Vivo nel sacro e la mia musica riflette questa dimensione”. La reincarnazione per Battiato non è un atto di fede, ma a suo dire “un’intuizione di vita: io credo che siamo sempre esistiti e che il percorso di incarnazione serve per tornare nelle zone da cui veniamo”. Una teoria molto personale. Con la cristianità Battiato ha un rapporto di contiguità senza appartenenza; il suo orizzonte è nella visione del sacro, non della fede e dei suoi dogmi. “Ho sempre detestato la parrocchia: ho bisogno di un’indipendenza totale. Non ho il senso dell’appartenenza”. Il cantautore ha parole di simpatia per Papa Francesco però “ha una piccola veduta delle cose spirituali. Non possiamo umanizzare Dio, ma lavorare da pazzi per avvicinarci a lui”. Tocca a noi salire verso di lui, non far scendere Dio fino a umanizzarlo. Battiato tocca di striscio la politica, sottolineando la sua estraneità. Non ama il tentativo di catturarlo “a destra”; di Berlusconi detestava l’effetto delle sue televisioni più che la sua discesa in campo. Racconta che Marco Bellocchio gli propose di interpretare Aldo Moro in Buongiorno, notte; ma lui declinò la proposta. Battiato condivise la scelta di Lucio Battisti di allontanarsi dal suo repertorio vincente, così si salvò dal rischio di ripetersi. Ricorda quando a Milano giocava a poker a casa di Giorgio Gaber con Roberto Calasso e sua moglie Fleur Jaeggy. “Il premio, per chi vinceva, erano i libri Adelphi”. Poi scelse di vivere in Sicilia, perché “dove si nasce si vuole tornare”. “Noi siciliani siamo come dei boomerang che l’isola lancia in giro per il mondo e che poi, per una meccanica che è nella nostra indole, rientrano”. Ha vissuto da solo a Milo, vicino a Catania, tra la montagna e il mare, in una mezza clausura. “Ma è una vita stupenda e dai ritmi magnifici”. Il fascino della sua musica e delle sue parole è che ci porta nell’altrove; in quell’altrove, magico e mistico, dove è possibile trovare la chiave della vita e ciò che la trascende, la luce dell’Essere o per immaginare altri mondi e sognare altre dimensioni, altri destini. E a fianco a questo cammino, la dolcezza dei ricordi e la magia dell’infanzia come in Mesopotamia: “Lo sai che più s’invecchia/Più affiorano ricordi lontanissimi”. La sua carriera, dice, è stata felice e fortunata. Non mi sono mai lamentato, né mai mi sono sentito incompreso In sintesi, sono contento della vita che ho fatto. Sono stato molto fortunato. Questa è la conclusione”. Ma provvisoria. Perché, come lui canta, e pensa, “noi torneremo ancora, e ancora”.

La Verità – 14 giugno 2024
(Panorama, n.14)

 

Approfondimenti del Blog

“L’incontro”

In un caffè di Catania, un giovane critico musicale – barba lunga, occhiali spessi, taccuino pieno di domande – si avvicina timidamente al tavolo dove Battiato sta leggendo Plotino.

«Maestro, le sue canzoni… cosa vogliono dire davvero?»

Battiato alza lo sguardo, sorride come chi sa e non ha bisogno di dire. Poi risponde, con voce bassa:

«Se capisci tutto al primo ascolto, ho sbagliato mestiere.»

E torna al suo libro, lasciando il critico sospeso tra irritazione e rivelazione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Controllate anche

«IL WOKE HA STANCATO, LA TRADIZIONE VA RINGIOVANITA»

L’ideologia woke ha mostrato la corda, anche dove era nata …