Nel corso del giorno e della notte, nel nostro linguaggio, nei gesti o nei sogni, che ce ne accorgiamo o no, ognuno di noi usa i simboli. Essi danno volto ai desideri, stimolano certe imprese, modellano un comportamento, avviano successi o fallimenti.

 

 

Il Labirinto

 

  • Un uomo labirintico
  • non cerca mai la verità,
  • ma sempre e soltanto Arianna.
  • ALBERT CAMUS

 

 

 

Quasi  cinquemila anni fa, partendo dall’area mediterranea, un semplice disegno geometrico al quale venne dato il nome “Labirinto” iniziò a diffondersi in tutto il mondo, permettendo a ciascun contesto culturale in cui si trovava di mutarne forma, dimensione, significato e funzione. Grazie a questa sua duttilità il Labirinto è diventato un simbolo universale, o meglio, un complesso simbolico fin dai lontani tempi della sua comparsa.

Il Labirinto dunque, come luogo architettonico è sempre stato definito come la metafora di un problema nel quale non c’è via d’ uscita.

Il Minotauro nella mitologia Greca.

Quando si parla di Labirinto, come primo esempio non si può fare altro che citare il Labirinto di Creta e la leggenda del Minotauro: un mostro metà uomo e metà toro, imprigionato al suo interno e al quale erano offerte giovani vittime.

Si può notare come il concetto di Labirinto in questo mito non venga solamente esplicitato come un luogo dal quale è difficile uscire ma anche come un’impresa di sacrificio che va oltre alle proprie aspettative.

Siamo sull’isola di Creta, regno del re Minosse, intorno al II secolo a.C.. Pasifae, perde la testa per uno splendido toro bianco. Ma quale fu l’origine di questa passione innaturale?

La finta vacca di legno costruita da Dedalo.

Secondo la versione più comune del mito, Poseidone inviò a Minosse un bianchissimo toro affinché venisse sacrificato in suo onore. Il re di Creta però non obbedì al dio, ritenendo il dono troppo bello e ne sacrificò un altro al suo posto. La vendetta divina non tardò ad

arrivare. In Pasifae si sviluppò ben presto una passione così folle per l’animale da spingerla a desiderare ardentemente di unirsi a esso. Decisa a soddisfare il

Teseo tiene il filo di Arianna.

proprio impulso mostruoso, la regina chiese aiuto a Dèdalo, rifugiatosi a Creta per sfuggire a una condanna per omicidio, che le costruì una vacca di legno cava, rivestita della pelle dell’esemplare di femmina da lui più amato, nella quale entrare per consumare il rapporto. Il toro, montando la finta vacca, fecondò Pasifae. Da questa unione nacque il Minotauro, il mostro metà uomo e metà toro. Una volta nato, l’abominevole mostro fu nascosto all’interno di un labirinto, realizzato da Dedalo su ordine del re, che voleva nascondere la vergogna.

In seguito alla morte del figlio Androgeo giunto ad Atene per misurarsi con i giovani ateniesi nei giochi tauromachici, ma rimase ucciso dal toro di Maratona. Suo padre, pazzo di dolore, si strappò la corona dalla fronte accusando gli ateniesi di quell’omicidio, la morte di Androgeo doveva portare loro sfortuna e da lì in poi dovettero pagare un orribile tributo: ogni nove anni Minosse esigeva che mandassero a Creta quattordici sudditi ateniesi, sette fanciulli e sette fanciulle vergini in pubertà, che sparivano nel labirinto sacrificate al Minotauro. Il primo a farne le spese è proprio Egeo, il re di Atene, riconosciuto responsabile dell’uccisione del figlio, viene condannato ad una orribile pena. Egli dovrà inviare a Creta, ogni nove anni, sette fanciulli e sette vergini da sacrificare al Minotauro, rinchiuso al centro del tortuoso Labirinto.

Come tutte le storie legate al mito, il Minotauro venne ucciso da Teseo stanco di quegli inutili sacrifici che si erano susseguiti già da ben diciotto anni. Era partito con le vele nere ma suo padre gliene aveva data anche una bianca che avrebbe dovuto essere issata se Teseo fosse ritornato vittorioso.

Il Minotauro nella mitologia Greca.

Fu ricevuto a Cnosso da una figura di donna gentile, forse una dea come Anfitrite sposa di Poseidone e madre di Tritone ha i capelli neri e veste un’armatura di colore verde.

Ma quando Teseo volle entrare spontaneamente nel labirinto, Arianna, signora del labirinto, ebbe pietà di lui e, per amore del giovane ateniese, tradì il proprio fratello, il Minotauro. Non ci sono narrazioni di come Teseo riuscì ad ottenere il dono da Arianna, che doveva assicurargli l’uscita dal labirinto; un disegno molto antico la rappresenta filando e mentre gli consegna il fuso col filo. L’astuta ragazza suggerì a Teseo di fissare il capo del filo all’architrave dell’entrata del labirinto e di tenersi il gomitolo in mano senza perderlo mai, poiché gli sarebbe servito a trovare la via di uscita.

Il Minotauro dormiva nella parte più interna del labirinto. Teseo doveva afferrarlo per le sopracciglia e sacrificarlo a Poseidone. Con una mano si afferrarono a vicenda, e infine Teseo trafisse mortalmente il Minotauro. Egli appare vittorioso alla porta dell’edificio sotterraneo senza portare con sé il Minotauro ucciso, dove viene accolto festosamente dai fanciulli ateniesi scampati al sacrificio.

Teseo salì sulla nave con Arianna e durante la notte presero la via del ritorno, portando con sé anche i giovani ateniesi. Teseo aveva promesso di corrispondere all’amore di Arianna sposandola una volta vinto il Minotauro. Consumarono il loro amore nella nave, ma prima dell’alba Teseo volle scendere a terra, e sbarcarono nell’isola di Dia, l’attuale Nasso. Dioniso apparve in sogno a Teseo e lo minacciò se non gli avesse ceduto Arianna. Egli si svegliò spaventato e la lasciò sull’isola immersa nel sonno. Quella stessa notte ella fu portata da Dioniso sul monte Drios, e scomparvero entrambi.

Teseo proseguì con i giovani in direzione di Delo, dove ballò una danza che imitava le sinuosità del labirinto. Ma nella confusione di emozioni per la perdita di Arianna, si dimenticò di cambiare le vele nere con quella bianca. Egeo che attendeva il ritorno del figlio dall’alto delle mura, vide dall’Acropoli le vele nere che la nave portava alla partenza. Così, scorgendo quel segno di sventura, disperato, si uccise gettandosi in quel mare che da lui prese il nome.

Disegno di una oinochoe etrusca con legenda che recita Truia ; si ipotizza che raffiguri il ludus Troiae

I romani amplificano il Labirinto cretese dividendo il cerchio o quadrato in quattro zone con un percorso unico che le attraversa successivamente. È spesso legato a riti funebri, alla discesa agli inferi, come anche ai riti di fondazione di nuove città. Sembra, infatti, un mappa stradale di una città ben ordinata e suddivisa come per esempio Roma, i cui primi quattro quartieri rispecchiano inequivocabilmente la forma della croce del disegno romano.
Al Labirinto vengono attribuiti anche poteri magici, scaramantici e propiziatori, nelle cui spire vengono attirati e intrappolati gli spiriti maligni. L’originario significato sacro lascia comunque sempre maggiore spazio a funzioni sociali e ludici, come indicano le Lusus Troiae, giochi e combattimenti a cavallo che disegnavano con i loro movimenti un labirinto. una trappola nella quale venivano attirati spiriti maligni.

Il concetto di Labirinto si può definire anche come un Labirinto della mente, ovvero la pazzia.

Angelica si innamora di Medoro, dipinto di Simone Peterzano, Collezione privata.

Emblematica la figura di Orlando (di Ludovico Ariosto) all’interno del poema epico di Tasso: il cavaliere, che è simbolo della perfezione, perde il proprio senno per una donna.

Mentre è alla ricerca del guerriero saraceno Mandricardo con cui deve battersi a duello, Orlando capita casualmente nei luoghi che poco tempo prima videro l’amore felice di Angelica e Medoro, narrato precedentemente dall’autore e conclusosi con la partenza dei due sposi per il Catai: giunto in un “locus amoenus” dove vede dappertutto i segni dell’amore di Angelica e del fante saraceno, tenta dapprima di convincersi che la cosa non sia vera, finché l’incontro fortuito col pastore che aveva dato alloggio ai due amanti gli toglie ogni dubbio e lo priva del senno, facendolo precipitare in una furia cieca e distruttiva. L’episodio ha un’importanza centrale nel poema, non solo ovviamente perché spiega le circostanze in cui Orlando diventa “furioso”, ma soprattutto perché dà modo all’autore di ironizzare bonariamente sulla follia di tutti gli uomini, sempre pronti a inseguire le illusioni d’amore anche a costo di perdere la ragione (come è capitato anche ad Ariosto, per sua stessa ironica ammissione). Orlando ritroverà il senno quando Astolfo lo andrà a recuperare sulla Luna. (Orlando furioso, XXIII, 100-136; XXIV, 1-14)

 

La descrizione della pazzia di Orlando ci racconta come il nostro senno sia sempre influenzato dalle difficoltà intrinseche che troviamo nel nostro percorso, difficoltà che ci sottomettono e ci fanno

fare gesti folli.

Il Labirinto è stato utilizzato come sistema di difesa alla porte delle città fortificate. Era tracciato su piante di città greche antiche. In un caso come nell’altro si tratta di una difesa della città o della casa che si considera situata al centro del mondo. Difesa non soltanto contro l’avversario umano ma anche contro le influenze malefiche.

Il Labirinto può essere anche simbolo della sfida quotidiana all’interno della nostra vita. All’interno della vita familiare è un tema ricorrente, metafora di una società nella quale è difficile integrarsi, a causa dei pregiudizi dei pari e della differenza di cultura che può incombere.

Un Labirinto di idee diverse nel quale ognuno di noi deve trovare un proprio spazio vincendo la sfida di una vita frenetica e stancante.

Pentesilea la città invisibili, Italo Calvino

Calvino, all’interno de “Le città invisibili” introduce questo concetto con ironia descrivendo uno spazio vuoto nel quale il protagonista deve trovare qualcosa che però non può vedere, toccare, percepire. La città di Pentesilea è il simbolo del nostro mondo, un mondo che viviamo tutti i giorni e del quale conosciamo ogni minima parte e se è anche vissuto in ogni angolo è comunque ignoto anche in aspetti semplici ed essenziali.

«Per parlarti di Pentesilea dovrei cominciare a descriverti l’ingresso nella città. Tu certo immagini di vedere levarsi dalla pianura polverosa una cinta di mura, d’avvicinarsi passo passo alla porta, sorvegliata dai gabellieri che già guatano storto ai tuoi fagotti. Fino a che non l’hai raggiunta ne sei fuori; passi sotto un archivolto e ti ritrovi dentro la città; il suo spessore compatto ti circonda; intagliato nella sua pietra c’è un disegno che ti si rivelerà se ne segui il tracciato tutto spigoli. Se credi questo, sbagli: a Pentesilea è diverso. Sono ore che avanzi e non ti è chiaro se sei già in mezzo alla città o ancora fuori. Come un lago dalle rive basse che si perde in acquitrini, così Pentesilea si spande per miglia intorno in una zuppa di città diluita nella pianura: casamenti pallidi che si danno le spalle in prati ispidi, tra steccati di tavole e tettoie di lamiera. Ogni tanto ai margini della strada un infittirsi di costruzioni dalle magre facciate, alte alte o basse basse come in un pettine sdentato, sembra indicare che di là in poi le maglie della città si restringono. Invece tu prosegui e ritrovi altri terreni vaghi, poi un sobborgo arrugginito d’officine e depositi, un cimitero, una fiera con le giostre, un mattatoio, ti inoltri per una via di botteghe macilente che si perde tra chiazze di campagna spelacchiata.»

(Da “LE CITTA’ INVISIBILI” di Italo Calvino)

 

Da dove nasce il mito

Sorgono così le domande sulla vita, chiedendosi quale strada sia più giusta da seguire per non tracciare una vita preformata che sia simbolo della normalità e della noia. La sola cosa che ci può aiutare per uscire da questo Labirinto è la nostra ragione, non ci accorgiamo però che molte volte, all’interno del Labirinto della vita quotidiana, torniamo al punto di partenza.

Quasi cinquemila anni fa compare nell’area mediterranea, da dove inizia a diffondersi in tutto il mondo, un semplice disegno geometrico, il Labirinto. È costituito da alcune linee e corsie che, disposte in una spirale oppure un quadrato, tracciano un percorso verso il centro. Significativamente l’ingresso coincide con l’uscita. Grazie a questa costituzionale ambivalenza simbolica, il Labirinto segnala la vicinanza, sovrapposizione o addirittura coincidenza fra significati opposti e narra il rapporto dialettico fra spazio sacro delimitato/limitante e il crescente ed irrefrenabile bisogno dell’uomo di affermare la sua soggettività.

Da sempre, anche se enfatizzato in modi diversi, il Labirinto parla della rischiosa complessità del mondo, di vita e morte, di bene e male, di perdizione e redenzione; parla anche di solitudine, di angosce e paure, di misteri occulti e segreti gelosamente custoditi. È diventato l’emblema per eccellenza della ricerca dell’infinito, e dunque del “plus ultra”, del non-limite che si apre verso una dimensione nuova, ancora da esplorare da parte di noi esseri finiti e limitati. Chi lo percorre o contempla diventa consapevole che il confine fra umano e divino, fra finito e infinito è misteriosamente permeabile. Non a caso la sua unica apertura ci tenta irresistibilmente al transito

Il Labirinto simbolo di un sistema di difesa, annunzia la presenza di qualcosa di prezioso o di sacro. Esso può avere una funzione militar per la difesa di un territorio, un villaggio, una città, una tomba, un tesoro: non permette l’accesso se non a quelli che ne conoscono la pianta, agli iniziati. Ha una funzione religiosa di difesa contro gli assalti del male: il male non è soltanto il demonio, ma anche l’intruso, colui che è pronto a violare i segreti, il sacro, l’intimità dei rapporti con il divino. Il centro che il Labirinto protegge, sarà riservato all’iniziato, a colui che attraverso le prove dell’iniziazione (i circuiti del Labirinto) si sarà mostrato degno di accedere alla rivelazione misteriosa. Una volta giunto al centro è come consacrato; introdotto negli arcani e legato dal segreto

Il Labirinto suscita un’inquietante attrazione sugli esseri umani, come l’abisso o il gorgo dell’acqua. È una spirale che ci cattura portandoci verso il suo centro. Intuitivamente quindi cogliamo la vera

Il labirinto di Meride conserva i segreti della storia dell’Antico Egitto?
Il labirinto nel giardino di Villa Pisani a Stra (Venezia)

forma del Labirinto, anche se di solito si è portati a pensare che esso abbia la forma squadrata di un edificio particolare. Questo probabilmente perché il Labirinto è una costruzione architettonica definita, a partire da Erodoto, con certe caratteristiche: l’utilizzazione della pietra; la pianta intricata; il gran numero di ambienti comunicanti uno con l’altro ο tramite cortili; un unico muro esterno che li racchiude; la difficoltà di accedere ai vani sotterranei.

Erodoto, autore del V secolo a.C., parlando del labirinto di Meride, afferma che al suo tempo il labirinto era antico già di 1300 anni e così lo descrive scrive nella sua opera:

«Ed io ho visto; è superiore a qualsiasi cosa si possa dire in merito; già le piramidi sono al di sopra di ogni possibile descrizione, ma il Labirinto vince il confronto anche con le piramidi». Molti autori pensano che il Labirinto di Meride, costruito in Egitto ad Hawara presso il lago di Meride nel Fayyum, possa corrispondere alle descrizioni trasmesse dagli autori antichi. Scoperto nel 1888 dall’archeologo Flinders Petrie, della struttura originaria purtroppo ci sono pervenute solo poche rovine e frammenti di colonne in granito.

Antica mappa della zona del Fayyum

«Ed io ho visto; è superiore a qualsiasi cosa si possa dire in merito; già le piramidi sono al di sopra di ogni possibile descrizione, ma il Labirinto vince il confronto anche con le piramidi».

I testi antichi, in particolare Plinio il Vecchio, citano cinque grandi edifici-Labirinto:

1) il tempio funerario a Hawara, presso il lago di Meride nel Fayum (Egitto);

2) il palazzo di Cnosso, a nord dell’Isola di Creta;

3) il palazzo di Gortyna, a sud sempre dell’Isola di Creta;

4) il palazzo nell’Isola di Lemno (del quale non si è trovata traccia, e forse stava in realtà a Samo);

Il “Labirinto dei Vinci”

5) i cunicoli, probabilmente un acquedotto, che si dipanano sotto la città etrusca di Chiusi (il cosiddetto “Labirinto di Porsenna”).

 

A proposito del Labirinto di Leonardo Da Vinci, Marcel Brion evoca «questa società composta di uomini di tutti i secoli e di tutti i paesi che riempiono il cerchio magico che Leonardo aveva lasciato in bianco, perché non era nel disegno del suo spirito di troppo esplicitare il significato del santuario centrale, del Labirinto».

Il “Labirinto dei Vinci” È il più grande progetto che Leonardo abbia mai realizzato, decifrando schizzi stenografici nel 1497 nel Codice Atlantico.

In base al disegno del “labirinto di Leonardo” (ricostruito da Alessandro Vezzosi dagli schizzi di Leonardo che si trovano nei circa 4.800 fogli dei suoi manoscritti a noi pervenuti), 1.500 salci – o “vinci” -, cioè rami di “vinco,” crescono sul terreno del “Giardino di Leonardo” (come sezione a cielo aperto del Museo Ideale e parco tematico alle porte Vinci). I rami saranno progressivamente intrecciati per delimitare i circa 800 metri del percorso del labirinto che occupa 3.000 m2 con un diametro di 60 metri.

Si tratta di una realizzazione permanente di arte-natura-scienza, destinata a crescere nel tempo e ad arricchirsi di ulteriori implicazioni concettuali, poetiche ed estetiche.

Il “Labirinto dei Vinci” è concepito come percorso simbolico della ricerca e della conoscenza e “i vinci” come nodo etico-emblematico di saperi e civiltà.

Il Medioevo è l’epoca del simbolismo per eccellenza e, in quanto tale, un’era da decrittare. Il Labirinto subisce una profonda e durevole trasformazione in chiave cristiana, tant’è che una formula

Il Labirinto Di Chartres si trova sul pavimento della cattedrale gotica di Chartres, in Francia.

iniziatica dell’epoca suonava “il labirinto come vita, la vita come labirinto”. La Chiesa riscopre la  potente forza trasformatrice di questo disegno arcaico sulla psiche umana e lo propone come strumento meditativo, come simbolo di vita, morte e rinascita in Cristo.
Dalle sette circonvoluzioni del labirinto cretese e romano il labirinto medievale passa a undici, numero che rappresenta il peccato, stando fra il 10 dei comandamenti e il 12 degli apostoli. Delle volte ha forma ottagonale essendo 8 il numero dell’infinito e simbolo della rinascita spirituale e della vita eterna.
Diventa centrale il simbolismo della croce come principio ordinatore. Evocando la Via Crucis che ogni peccatore è chiamato di seguire, il percorso verso il centro s’interseca ripetutamente lungo le  assi  della croce. Allo scopo di renderlo fisicamente percorribile il labirinto è spesso incastrato nel pavimento delle cattedrali gotiche, raggiungendo anche diametri di 13 metri, come nel caso del più famoso esemplare di questo genere, quello di Chartres.
Per il  devoto percorrerlo significa compiere un viaggio intensamente spirituale. Di fatti, fu anche  chiamato “La via di Gerusalemme”, perché poteva sostituire il lungo e pericoloso pellegrinaggio in Terra Santa. Il percorso dentro il labirinto diventa un cammino di penitenza ed espiazione verso la fede salvifica; i suoi intricati meandri simboleggiano il pericolo della perdizione, delle tentazioni del male. Le analogie con il mito cretese non mancano: così il centro era abitato da Satana (Minotauro), che può essere sconfitto solo con la forza della fede in Cristo (Teseo) portatore del raggio luminoso della divina speranza (filo di Arianna). Allo stesso tempo il centro era anche l’approdo alla Città di Dio, dove attuare la conversione  e incamminarsi sulla strada della salvezza.
La parola chiave era ubbidienza; perciò il labirinto medievale non può che essere monocursale. La “retta via” per raggiungere la beatitudine è una sola ed è percorribile in un solo modo: obbedendo la Chiesa e rimanendo scrupolosamente dentro i confini del recinto dell’ortodossia.

Il Rinascimento segna invece una svolta drastica nel simbolismo del Labirinto che vede sbiadire i contenuti esclusivamente religiosi. L’uomo rinascimentale, forte della propria soggettività, si emancipa dalla visione dell’uomo peccatore ossessionato a salvare la sua anima. S’addentra nel labirinto non più in cerca di salvezza, ma per conoscere se stesso. Il suo diventa un cammino esplorativo della propria esperienza individuale.
In questa nuova accezione il labirinto lascia gli spazi sacri e arriva in quelli profani, lascia chiese e monasteri ed entra come ornamento e passatempo ludico in palazzi e giardini. Creato con siepi sempreverdi, al riparo dall’avvicendarsi delle stagioni e nell’illusione di poter sospendere il tempo, rispecchia così il tentativo dell’uomo di domare il caos, il tempo e la natura.

Dopo una lunga fase di declino durante l’illuminismo che elegge l’Arcadia regione storica della Grecia, nella penisola del Peloponneso che, nel corso della storia della letteratura, è stata elevata a

Stato Arcadico o Pastorale di Thomas Cole, 1834.

topos letterario, in quanto percepita come un mondo idilliaco. Si presenta infatti come una regione montuosa, disabitata per via della sua topografia: prevalentemente occupata da pastori, ha assunto nella poesia e nella mitologia i connotati di sogno idilliaco, in cui non era necessario lavorare la terra per sostenersi, perché una natura generosa provvedeva già a donare all’uomo il necessario per vivere. Ha una diversa connotazione dal concetto di utopia.

Il Labirinto come metafora del mondo, sarà solo dall’inizio del Novecento che torna di moda, questa volta nelle case e nei giardini della ricca borghesia in cerca di promuoversi nella scala sociale adottando modelli nobili. Come ornamento divertente e svuotato di qualsiasi riferimento sacro o contemplativo approda presto anche nei luoghi pubblici.

Nella tradizione cabalistica ripresa dagli alchimisti, il Labirinto svolgerebbe una funzione magica, e sarebbe uno dei segreti attribuiti a Salomone. . È perciò che il Labirinto delle cattedrali, serie di cerchi concentrici interrotti in certi punti, in modo da formare un tragitto bizzarro e inestricabile, sarebbe  chiamato labirinto di Salomone. Secondo gli alchimisti sarebbe un’immagine del lavoro intero dell’Opera, con le sue difficoltà maggiori; quella della via da seguire per raggiungere il centro dove avviene il combattimento tra le due nature; quella del cammino che l’artista deve percorrere per uscirne.

Questa interpretazione si ricollegherebbe a quella delle dottrine ascetico-mistiche: concentrarsi su se stessi, attraverso i mille cammini delle sensazioni delle emozioni e delle idee, sopprimendo ogni impedimento all’intuizione pura e ritornare alla luce senza smarrirsi nei giri del Labirinto.

L‘arrivo al centro del Labirinto, come termine di una iniziazione, introduce in una dimora invisibile che gli artisti hanno sempre lasciato nel mistero, o meglio che ciascuno poteva immaginare secondo il proprio intuito o le sue affinità personali.A proposito del Labirinto di Leonardo Da Vinci, Marcel Brion evoca questa società composta di uomini di tutti i secoli e di tutti i paesi che riempiono il cerchio magico che Leonardo aveva lasciato bianco, perché non era nel disegno del suo spirito di troppo esplicitare il significato del santuario centrale del Labirinto.

Dunque, Nuovo Ulisse o schiavo migrante? È proprio l’assenza del limite, concetto finora così fondamentale e necessario all’orientamento dell’uomo, che rende il labirinto-rete  insidiosa quanto affascinante. L’uomo ha spostato, ridefinito e infine abbandonato molti dei suoi limiti, si è impegnato a relativizzare differenze e distinzioni per rendere ugualmente valide le tante alternative che la vita gli presenta, però, resta da chiarire se l’emancipazione dal dilemma della scelta lo abbia davvero liberato o, forse in modo subdolo, non l’abbia ridotto a uno stato di prostrazione permanente, dalla quale potrebbe uscire solo con un gesto coraggioso: creandosi egli stesso dei limiti per riappropriarsi di un destino. La trasformazione dell’io che si opera nel centro del Labirinto e che si affermerà nel grande giorno alla fine del viaggio di ritorno al termine del passaggio dalle tenebre alla luce, contrassegnerà «la vittoria  dello spirituale sul materiale, e nello stesso tempo dell’eterno sul caduco, dell’intelligenza sull’istinto, del sapere sulla violenza cieca»

 

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