”Nel corso del giorno e della notte, nel nostro linguaggio, nei gesti o nei sogni, che ce ne accorgiamo o no, ognuno di noi usa i simboli. Essi danno volto ai desideri, stimolano certe imprese, modellano un comportamento, avviano successi o fallimenti.
La cintura
- La vita sta nella morte
- come una piccola isola verde nel mare oscuro.Indagare questo,
- sia pur soltanto sugli orli e sulle cinture delle maree,
- si chiama vera scienza,
- rispetto alla quale tutta la fisica e la tecnica
- non sono che bagatelle.”
- Ernst Jünger filosofo e scrittore tedesco 1895 – 1998
La storia della cintura, affonda le sue origini nell’antichità più remota. Le primitive forme di cintura non hanno solo una funzione pratica ma sono già un elemento distintivo di genere e di ceto. Il perizoma indossato nel Neolitico rappresenta già un simbolo politico-sociale collegato pur sempre all’insorgere del pudore.
La cintura che significa attaccamento e devozione, è divenuta il simbolo delle funzioni che esigono dedizione e fedeltà. Quando la cintura è in sé un emblema (una bandiera, ad esempio) o reca su di sé un’immagine (scudetto) rappresenta il legame tra chi la indossa e l’immagine che rappresenta; lo stesso vale per il cinturino e la fibbia. Il suo ruolo utilitario – racchiudere o sostenere un abito intorno alla vita, portare armi o strumenti: ascia, pugnale, spada, baionetta, revolver, cartucce, borsa, chiavi – ben si accorda con il valore simbolico di unione fedele, di appartenenza, oppure di identificazione con una persona, un insieme, una funzione privilegiata.
«Afrodite, immortale che siedi
sopra il trono intarsiato,
figlia di Zeus, tessitrice di inganni
ti supplico: non domare il mio cuore
con ansie, tormenti, o divina.»
(Saffo, in Lirici greci, Milano, Mondadori, 2007, pp. 240-1)
Certo che quando Afrodite si presentò di fronte a Paride con indosso la sua cintura d’oro, Era e Atena non se l’aspettavano e si sentirono subito spiazzate, rimanendoci molto male e disarmate…
Le dee non avevano previsto che quella acchiappa maschi di Afrodite, nonostante la sua avvenenza, si avvalesse anche di simili espedienti per apparire agli occhi del principe troiano ancora più sexy, e noi uomini si sa come siamo fatti….
Le cinture infatti, per le donne, possono essere utilizzate, come trucchetti per nascondere rotolini di grasso inopportuni e fastidiosi per l’immagine che si ha, secondo la bellezza canonica del momento.
Comunque, per vincere la gara tra loro ed essere scelte dal nobile giovane, hai voglia a promettergli poteri immensi come fece Era, oppure vincere qualsiasi battaglia ed essere un grande stratega come si impegnò a fare Atena, perché, quando Afrodite, dea della bellezza gli promise l’amore di Elena, la donna più bella del mondo, gli ormoni di Paride impazzirono, e dopo un giro caotico, gli esplosero nel cervello e gli uscirono dalle orecchie. È inutile dire a chi lui indirizzò la sua scelta, scatenando il primo casus belli che la storia ricordi: la guerra tra Greci e Troiani.
Dall’antico Egitto alle civiltà della Mezzaluna fertile, dalla Grecia all’Asia fino agli antichi ebrei, i reperti storico-archeologici raccontano, pur nella varietà di fogge e ornamenti, di un accessorio simbolo di ceto e ricchezza, di potere ed eleganza. Il soldato romano indossa la cintura oltreché come elemento difensivo per mostrare il suo grado (100 a.C.). Chi è discinto, senza cintura, è lo schiavo.
Alcuni reperti risalenti all’Età del bronzo parlano dell’uso di cinture in metallo già a quell’epoca. La cintura era usata dagli antichi egizi e con ogni probabilità ancora prima dai popoli finnici per sorreggere sui fianchi le tuniche intere e renderle comode anche in caso di improvvise fughe. Esempi di cinture con funzioni anche cultuali e identificative della classe sociale si trovano in tutte le civiltà pre-romane.
Come Esiodo e anche Omero sostenevano, la cintura di Venere era ritenuta contenere ogni sorta di fascino e la descrivevano come un talismano divino che conferiva alla donna una potenza irresistibile. Un simbolo dunque di sorgente di tutte le grazie.
Perciò, il simbolismo della cintura è legato anche a quello della fecondità, e una prima testimonianza di questo tipo di interpretazione ci è data dallo Pseudo Dionigi l’Aeropagita(L.C.), teologo e filosofo del V secolo che descrive come le intelligenze celesti indossino un abito e una cintura, da intendere simbolicamente: “le cinture significano cura con cui conservano i propri poteri genetici; il potere che hanno di raccogliersi e di unificare i propri poteri mentali ritirandosi in sé stesse e ripiegandosi armoniosamente su di sé nel cerchio indefettibile della propria identità” (PSEO, 240).
Un’interpretazione simbolica rivolta al DNA?
Il cordone che lega in vita il saio dei monaci è un altro tipo di cintura che dal Medioevo in poi assumerà un alto valore simbolico. San Basilio prescrive ai monaci di dormire vestiti, con le mani cinte da una cintura. Va notato che nella Bibbia le reni rappresentano la giustizia (Isaia, 11,5), la potenza e la forza (salmi, 17, 28, 40). La prima cintura di cui parla la Bibbia, ossia il primo abito, è formato dalle foglie di fico raccolte da Adamo ed Eva dopo il peccato genesi 3,7). I nodi che i preti cattolici creano al momento dell’investitura sono altrettante rinunce nei confronti della materialità del mondo. Ma come visto non erano solo i religiosi ad assegnare valore simbolico alla cintura, anche soldati e guerrieri si riconoscevano dal grado dalla cintura, cui erano attaccate sacche, foderi di spade e pugnali, immediatamente estraibili, grazie la fatto di avere le mani libere.
Nella tradizione cristiana, la cintura è segno di protezione, di continenza e di castità, utilizzata principalmente dagli eremiti e dai reclusi per sottolinearne la valenza. Mettere a una donna la cintura di castità significava, nel medioevo, impedirle ogni possibilità materiale di infedeltà o atto impuro. Ma è vero che i crociati imponevano alle mogli la cintura di castità? Niente affatto. Le cinture di castità sono un’invenzione dell’800. Ma la loro storia rimane molto interessante. E conturbante. L’uso delle cosiddette cinture di castità, fasce metalliche flessibili in grado di coprire i genitali e poi chiuse con lucchetti, risalirebbe ai tempi delle Crociate, quando i cavalieri in partenza per il Santo Sepolcro volevano assicurarsi la fedeltà delle proprie mogli durante la loro assenza. Inoltre, è plausibile che prima di partire i cavalieri si accoppiassero con le proprie mogli, magari con la speranza di trovare un bambino al loro ritorno. È evidente che la presenza di una cintura di ferro avrebbe impedito il parto. Senza contare l’obiezione più semplice: qualunque serratura medievale poteva essere aperta da un fabbro in pochi secondi.
Ci sono almeno alcuni motivi logici e diversi studi recenti che tendano ad escludere che tali strumenti siano stati realmente utilizzati. Soprattutto nel Medioevo. Innanzitutto, c’è un problema di igiene: anche se la classica cintura prevede piccole aperture per l’espletazione dei bisogni fisiologici, ferite, infezioni e di conseguenza la morte di chi le indossava sarebbero sopraggiunte in tempi molto rapidi. Al di là di queste incongruenze logiche, però, a suggerire che quella delle cinture di castità medievali sia in realtà una leggenda c’è il fatto che non esistono autentiche cinture databili al Medioevo.
Mentre l’idea di astinenza sessuale è certamente antichissima e lo stesso termine latino cingulum castitatis (traducibile appunto come cintura di castità) compare, a partire dal VI secolo, in alcuni testi di Papa Gregorio Magno, Alcuino di York, San Bernardo di Chiaravalle, fino a Giovanni Boccaccio. Ma in tutti questi casi è inteso come un simbolo di purezza teologica, non certo come un oggetto di dissuasione erotica.
La cintura, simbolo di legame privilegiato e vincolo che sorregge, descrive una delle qualità del Messia: «La fedeltà sarà cintura ai suoi fianchi» (Is 11,5) e la vita del credente, per il quale la cintura rappresenta una delle armi che lo difendono dagli attacchi nemici e lo rendono saldo nella fede: «State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia» (Ef 6,14).
La cintura che faceva aderire la tunica ai fianchi serviva pure a fermarne i lembi della lunga tunica, che arrivava alle caviglie, per rendere possibile il lavoro, il correre e il camminare velocemente. Da qui l’espressione biblica: “cingersi” che significa “essere pronti per l’azione” che si sta per compiere. Per uscire agilmente dall’Egitto gli ebrei dovettero mettersi in cammino con “con i fianchi cinti” (Es 12,11).
L’etimologia della parola essere “in cinta” indirizzata alle donne in stato interessante, potrebbe nascere in primis dalla cintura di Afrodite sinonimo di grande fascino, potenza irresistibile e
dunque anche di fecondità e conseguentemente trasmissione genetica. E il cordone ombelicale, è anch’esso una cintura che lega la madre con il figlio.
In Giappone, è il colore della cintura dei judoka che testimonia il loro reale valore. In questo senso potremmo ricollegarla alla corona e al diadema, per i quali viene usato il verbo cingere, che ha la stessa etimologia. La cintura in questo caso è il simbolo del pieno possesso di sé o di una dipendenza che deriva esclusivamente dalla volontà personale di colui che porta la cintura.
In India, secondo il rituale di iniziazione, arrotolare la cintura ha un profondo significato: dopo aver offerto le sue oblazioni, il maestro si pone a nord del focolare, col volto girato verso l’Oriente. Il maestro prende allora la cintura e l’arrotola intorno alla vita del ragazzo, da sinistra a destra, eseguendo tre giri e pronunciando a ogni giro questa formula: «È venuta, a proteggerci dai malefici, a purificare la nostra pelle, vestita di forza, grazie alla potenza del soffio, la cintura sacra, la Dea amichevole!».
Togliere a qualcuno la cintura, come si fa con i prigionieri, tanto militari che civili, significa spezzare un legame, rompere l’attaccamento a un ambiente, isolare; togliersi spontaneamente la cintura significa invece abbandonarsi, affidarsi.
Slacciare la cintura significava per i Greci e i Romani, sposarsi. «La novella sposa portava una cintura che lo sposo slacciava a letto. Questa cintura era fatta di lana di pecora e significava che, come questa lana, presa a fiocchi, stava unita, così il marito era attaccato come una cintura e con uno stretto legame alla moglie. Il marito slaccia questa cintura, annodata con il nodo di Ercole, augurandosi di essere fortunato, nel numero dei figli, quanto Ercole, che ne lasciò settanta» Vedi Simbolismo Il nodo
Tagliarsi la cintura, nel linguaggio dei musulmani, significa convertirsi dal cristianesimo all’Islam, dato che, secondo loro, tutti i cristiani portavano una cintura di cuoio. Deporre la cintura, per un magistrato o un ufficiale, significa abbandonare le insegne della propria carica e cessarne, con questo atto, l’esercizio.
Ancora oggi diversi popoli primitivi usano le cinture come amuleti considerati in grado di prevenire la tosse canina piuttosto che la pleurite. La storia della cintura è quindi antica quanto l’uomo e nasce con il senso del pudore entrando nello stesso tempo a far parte della moda di tutti i tempi e di tutti i popoli.
È a partire dal XV secolo d.C. che la cintura comincia a svestirsi di significati simbolici per diventare oggetto quasi eminentemente pratico, accessorio del vestiario. Cominciano a diffondersi cinghia, cordone o bragherio, con alte cinture in cuoio per contenere il ventre e reggere i panni da gamba. Nel corso dei secoli, le mutande cambiarono spesso nome e foggia, ma venivano chiamate proprio così in un inventario veneziano del 1335. Ad esempio, al tempo di Sacchetti, erano così piccole che lo scrittore le riteneva alla pari di un calcetto, ovvero un calzetto che a quell’epoca si utilizzava come sottocalza a protezione del piede. Un altra testimonianza ci arriva invece dai Longobardi descritti da Paolo Diacono, che racconta quando Alahis, duca di Trento, accolse in modo sprezzante un diacono che portava un’ambasciata da parte del vescovo di Pavia dicendogli che sarebbe stato fatto entrare “si munda femoralia habet” (“Se avesse mutande monde”).
Con il Rinascimento la storia della cintura conosce una nuova tappa, diventando anche di uso femminile. La moda dei corpetti e bustini lascia il passo alle comode tuniche fatte di materiali più leggeri che richiedono cinture in vita. Sempre in questo periodo si va affermando anche l’utilizzo della fibbia, per una migliore stabilità della cinta al corpo.
La cintura diventa così accessorio anche femminile diventando più “morbida”, raffinata ed elegante come si può vedere in diversi e famosi dipinti dell’epoca in cui la bellezza dell’accessorio attira spesso più del resto dell’abbigliamento.
Libri Citati
- Dietro «Dionigi l’Areopagita».
- La genesi e gli scopi del Corpus Dionysiacum
- Ernesto Sergio Mainoldi
- Editore: Città Nuova
- Collana: Institutiones
- Anno edizione: 2018
- In commercio dal: 28 giugno 2018
- Pagine: 632 p., Brossura
- EAN: 9788831115544. Acquista. € 35,70
Descrizione
Gli scritti che compongono il Corpus Dionysiacum devono la loro straordinaria fortuna a due fattori: l’eccezionale levatura speculativa del loro autore e lo pseudonimo dietro al quale egli nascose la propria identità. Secondo gli Atti degli Apostoli, Dionigi fu un membro dell’Areopago di Atene, convertito da Paolo al cristianesimo. In realtà, il Corpus fu scritto secoli dopo, introducendo dottrine di grande impatto, quali la teologia negativa, la teologia mistica, l’universo come gerarchia (termine coniato proprio da ‘Dionigi’), il cui fine è la deificazione
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