”Nel corso del giorno e della notte, nel nostro linguaggio, nei gesti o nei sogni, che ce ne accorgiamo o no, ognuno di noi usa i simboli. Essi danno volto ai desideri, stimolano certe imprese, modellano un comportamento, avviano successi o fallimenti.
La civetta
- «L’allocco è simile alla civetta
- […]. Alcuni comunque lo chiamano «corvo notturno».
- È un animale astuto e abile nelle imitazioni e,
- per l’appunto, viene catturato
- mentre imita i passi di danza di un cacciatore.
- Nell’atto in cui fa queste cose
- arriva un altro cacciatore che lo prende da dietro, come
- avviene per la civetta».
Aristotele, Storia degli animali
Civetta e Gufo le differenze
Innanzitutto i gufi e le civette sono entrambi uccelli che appartengono alla famiglia dei rapaci con abitudini crepuscolari, particolarmente attivi tra il tramonto e l’alba. In comune, tra le altre cose, hanno anche l’habitat, i grandi occhi sgranati e il fatto di essere abili predatori.
Nonostante ciò, civetta e gufo appartengono a due specie differenti: il gufo infatti fa parte del genere Bubo mentre la civetta appartiene al genere Athene (la sottospecie più comune è Athene noctua cioè “Atene notturna”). Per quanto riguarda l’aspetto fisico, il gufo si distingue dalla civetta per i ciuffi sulla testa, tranne il gufo delle nevi che non ha ciuffi e potrebbe quindi essere scambiato facilmente per una civetta.
In generale gli uccelli erano considerati dagli antichi i messaggeri del volere degli dei perché volano più in alto degli uomini e quindi più vicini agli dei. Si studiavano per questo i loro movimenti con la convinzione che potessero predire le sorti degli uomini. Se ti affascinano questi incredibili animali e per approfondire le differenze e le caratteristiche comuni di questi splendidi rapaci.
Per quanto riguarda la simbologia legata alla civetta possiamo dire che la sua immagine è contraddittoria. Testimonianze sulla civetta in campo mitologico, letterario, folklorico e linguistico, dimostrano infatti il passaggio dalla sacralità alle fantasie superstiziose di questa straordinaria abitatrice della notte.
Per alcune tradizioni la civetta è un uccello di malaugurio: gli egizi ad esempio la associavano alla morte e alla vita ultraterrena. Grazie ad Omero, però, la civetta viene riscattata dalla sua fama sinistra. Questo volatile era già presente nei miti degli antichi greci, infatti accompagnava la greca dea Atena (che in seguito corrispose alla dea romana Minerva) nei miti dell’antica Roma. È il simbolo della filosofia e della saggezza. Gli occhi e il becco della civetta seguono la linea della lettera φ (fi), simbolo alfabetico greco della filosofia e in seguito della sezione aurea. Lettera che quindi accomuna armonia, bellezza e amore per la conoscenza e per la ricerca in senso lato.
Hegel ricorre a tale espressione anche come simbolo della preveggenza della filosofia (che è poi post-veggenza), in vista del raggiungimento ex-post del “regno intellettuale”: «Per dire ancora una parola a proposito del dare insegnamenti su come dev’essere il mondo, ebbene, per tali insegnamenti in ogni caso la filosofia giunge sempre troppo tardi. In quanto pensiero del mondo essa appare soltanto dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione e s’è bell’e assestata. Questo, che il concetto insegna, mostra necessario parimenti la storia, che soltanto nella maturità della realtà l’ideale appare di fronte al reale e che quell’ideale si costruisce il medesimo mondo, appreso nella sostanza di esso, dandogli la figura d’un regno intellettuale. Quando la filosofia dipinge il suo grigio su grigio, allora una figura della vita è invecchiata; e con grigio su grigio essa non si lascia ringiovanire, ma soltanto conoscere; la nottola di Minerva inizia il suo volo soltanto sul far del crepuscolo.»
Con ciò il pensatore tedesco intende significare che la filosofia giunge a comprendere una condizione storica solo dopo che questa è già trascorsa (quando il processo di formazione della realtà è già ultimato), attuando il senno del poi senza poter offrire capacità precognitive.
Storicamente, tale simbolo fu marchiato a fuoco sulla fronte degli abitanti dell’isola di Samo come punizione per aver abbattuto il governo democratico filoateniese. Tale repressione fu guidata dallo stesso Pericle, il noto statista ateniese.
Il simbolo della civetta di Minerva è stato anche usato dagli Illuminati e nella Massoneria per i novizi che quando salivano ai gradi superiori venivano chiamati Minervali con allusione alla dea della saggezza.
Fin dalle prime raffigurazioni di Atena, la dea è dipinta con una civetta appollaiata sulla testa. In epoca arcaica Atena potrebbe essere stata infatti una dea-uccello simile a Lilith una figura presente
nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica, che potrebbe averla appresa dai babilonesi assieme ad altri culti e miti come il diluvio universale presente nell’epopea di Gilgameš, durante la prigionia di Babilonia. Nel folklore ebraico Lilith è stata la prima donna in assoluto creata da Dio per Adamo, un personaggio dalle mille sfaccettature e ruoli, demone femminile associato alla
tempesta, ritenuto portatore di disgrazia, malattia e morte. Lilith appare fin da subito come una figura tutt’altro che remissiva, che ben presto si rifiuta di soggiacere ad Adamo, affermando di essere stata creata uguale a lui, e per questo viene da lui respinta. La figura di Lilith appare inizialmente in un insieme di demoni e spiriti legati al vento e alla tempesta, come è il caso nella religiosità sumerica di Lilitu, circa nel 3000 a.C. Oppure alla dea con le ali e gli artigli da civetta raffigurata sul Rilievo Burney, un rilievo di epoca mesopotamica in terracotta degli inizi del millennio II a.C. Più volte infatti Omero definisce la dea della sapienza come dea “dal volto di civetta”.
Nell’antica Grecia esisteva un proverbio che si riferiva ad abbondanza e ricchezza che diceva “Portare le civette ad Atene”. Per questo significato simbolico sulle monete ateniesi era raffigurata proprio la civetta ed il suo nome divenne sinonimo di denaro. Dalla fine del VI secolo a.C. compaiono nelle monete di Atene al recto la testa di Atena e al verso una civetta con un ramo di olivo e le prime tre lettere del nome della città.
Nella mitologia romana, Nictímene figlia del re di Lesbo era amata dal padre e per evitare l’incesto fugge nel bosco dove, per pietà, viene trasformata in civetta dalla stessa Minerva.
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- «Ma che cosa conta ormai tutto questo,
- se il mio posto l’ha preso Nictímene, divenuta uccello per una terribile colpa?
- Non hai mai sentito parlare del fatto, notissimo in tutta Lesbo
- che Nictímene profanò il letto di suo padre?
- Anche lei ora è un uccello, ma conscia della sua colpa,
- fugge gli sguardi e la luce nascondendosi per la vergogna nelle tenebre,
- e da tutti è scacciata, in tutto il cielo.»
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Dalle Metamorfosi, Publio Ovidio Nasone (43 a.C. – 17 d.C.)
Ci fu però una certa confusione nel significato della civetta e quello del gufo e del barbagianni nella tradizione che ha portato a credenze fuorvianti e a fare della civetta una compagna delle streghe. In
realtà la strix di cui ci parlano Plauto, Properzio, Ovidio e Plinio (un uccello notturno che succhia il sangue soprattutto dei bambini e che spesso si trasforma in donna malvagia o larva) è identificabile con il barbagianni. Se consideriamo le sue abitudini notturne e il fatto che in parecchi dialetti italiani la civetta si chiama in un modo che dipende dalla parola strix, capiamo perché nella cultura popolare si cominciò ad associarla alla strega.
Eppure la più illustre donna esperta di magia e capace di trasformarsi in rapace notturno che la letteratura latina ci abbia tramandato, la Panfile delle Metamorfosi di Apuleio, si trasforma chiaramente in bubo, in gufo, e non in noctua, ovvero in civetta.
«Lucio, un giovane greco, nel suo viaggio verso la Tessaglia, famosa terra di maghi e streghe, si fa suggestionare dai racconti del compagno Aristomene, che, attraverso la storia di Socrate e della maga Meroe, lo mette in guardia sui rischi del viaggio (libro I). Una volta arrivato a Ipata, scopre che Panfila, moglie dell’usuraio Milone che gli ha dato ospitalità, pratica la magia (libro II). Lucio, spinto dalla sua curiosità, convince la serva Fotide a farlo assistere di nascosto durante la cerimonia di metamorfosi: dopo aver visto Panfila tramutarsi in gufo, Lucio si spalma il corpo con il medesimo unguento magico, ma, per un tragico errore di Fotide, diventa un asino. Lucio, che ha conservato intatte le proprie facoltà umane, per tornare uomo dovrà mangiare delle rose. Fotide assicura di portargliele per il giorno seguente, ma nottetempo Lucio è rapito da un gruppo di briganti, insieme con la fanciulla Carite. (libro III)». Da le Metamorfosi di Apuleio (125-170 ca. d.C.).
Nella religione induista è famosa la storia della disputa tra l’avvoltoio e la civetta nel poema epico Ramayana, uno dei più importanti testi sacri induisti. Qui si narra di una civetta (simbolo della
notte) e di un avvoltoio (simbolo del giorno) che litigano per un nido e chiamano in causa il dio Rama che deve decidere a chi appartenesse. Per farlo chiede da quanto tempo i due vivono in quel nido e, mentre l’avvoltoio dice che è suo fin da quando esistono gli uomini sulla Terra, la civetta afferma che il nido è suo da quando esistono gli alberi. Il dio Rama decide per la civetta, in quanto gli alberi sono più antichi dell’uomo. Pare qui la storia dirci che la civetta proviene dalla notte e dall’oscurità che anticipano la venuta del giorno e dell’uomo.
Nel Panchatantra, invece, la più famosa raccolta di favole indiana e probabilmente anche la più antica, narra di una guerra tra la civetta e il corvo per cui la civetta uccide i corvi di notte mentre dormono. La guerra inizia a causa del corvo che si oppone alla elezione della civetta quale re degli uccelli, dichiarandola il più furbo tra i volatili. Questo racconto viene ripreso più volte sia nella tradizione bizantina che in quella europea, dove capita anche i ruoli s’invertano: è il corvo che sta per essere proclamato re e la civetta che invece si oppone.
Questo scontro tra civetta e corvo si trova in altre tradizioni, come ad esempio quella russa dove la civetta accusa il corvo di aver mangiato le uova delle oche e dei cigni, e per questo viene punito.
Anche Aristotele nella sua “Storia degli Animali” riprende l’associazione della civetta con il fatto di mangiare le uova di altri animali:
«Sono poi in rapporti di ostilità la berta e la civetta. La berta, infatti, nel bel mezzo del giorno (poiché la civetta non ci vede bene quando c’è luce) le sottrae tutte le uova e se le mangia. Al contrario, la civetta, nel pieno della notte, fa lo stesso con le uova della berta: insomma, una è avvantaggiata di giorno, l’altra di notte».
Nell’Avesta, la raccolta di libri sacri della religione zoroastriana del profeta fondatore Zaratustra, religione molto diffusa in passato in tutta l’Asia centrale, si parla delle piume della civetta come di amuleti portafortuna.
Civetta significato negativo
La fama di uccello del malaugurio la troviamo invece già in alcuni scrittori dell’Antica Roma, ancora prima che nel folklore europeo. Eliano, ad esempio, nel suo De natura animalium descrive le
civette come esseri simili a donne dedite a stregonerie e incantesimi, che grazie al loro abile trasformismo sono in grado di attrarre su di sé altri uccelli. Secondo Eliano la civetta poteva cambiare le sembianze del volto anche in quelle della preda prescelta, dando il là a quelle connessioni che faranno della civetta una femmina incantatrice e della civetteria un’arte maliziosa.
La chiaroveggenza della civetta che può vedere nel buio e le abitudini peculiari di questo animale notturno schivo, solitario e che spesso abita i cimiteri, hanno portato in molte a diverse superstizioni nei confronti di questo animale, considerato anche demoniaco a seconda delle culture popolari. Nella simbologia cristiana, ad esempio, la civetta vede nella notte più buia poiché ha negli occhi una forza luminosa che dissolve le tenebre e secondo una credenza della Francia meridionale e della Spagna questi rapaci alimentano la loro fonte luminosa con l’olio delle lampade votive, per questo vengono chiamati “succhialampade”.
I celti soprannominavano la civetta “uccello cadavere”, reincarnazione della strega che scruta di notte mentre in India è l’emblema del dio Yama, signore dei morti di cui giudica l’anima. In Argentina si racconta che una guaritrice vedeva le malattie e di conseguenza le curava, scrutando negli occhi della sua civettina imbalsamata. Testimonianza ulteriore di questa chiaroveggenza sono gli stemmi araldici della Gran Bretagna: l’effige di una civetta d’oro in campo verde rappresenta l’uomo saggio che vede le cose al di là delle apparenze.
In America del Sud se si avvista una civetta bisogna fare gli scongiuri e allontanarsi subito pronunciando la formula “credo in Dio e non in vos” per evitare il maleficio e respingere il demonio che ha le sembianze di questo animale. Nella società pre-colombiana in Paraguay, ad esempio, ogni volta che si sentiva il verso di una civetta, gli Araucani si davano un gran da fare nel tentativo di scacciare i demoni. Allo stesso modo gli Indios al sentire il loro verso insultavano i poveri volatili per scacciare il male che portavano con sé.
In Europa, in Asia e in Africa la civetta è associata alla stregoneria: le streghe pare avessero la capacità di trasformarsi in civette per girare indisturbate di notte in cerca di erbe velenose, oppure per spiare le persone o cacciare animali (soprattutto topi, rospi e pipistrelli) che sarebbero serviti loro per realizzare le pozioni. si dice che alcune parti del corpo delle civette, come ad esempio le piume, il cuore, le zampe, le ossa e gli occhi, venissero usate dalle streghe come potenti amuleti e talismani. In alcune leggende popolari della Germania e della Scandinavia, la civetta è considerata spirito dei boschi e ancora oggi esiste il costume di inchiodare sulle porte delle case e delle fattorie le civette che si sono uccise.
Nella cultura popolare italiana la civetta nel tempo è diventata lugubre messaggera di morte. Il suo verso infatti era segno di cattivo presagio poiché associato ai lamenti delle anime dei morti. Si diceva che quando canta sul tetto di una casa fosse segno di morte per qualche membro della famiglia. Questa superstizione si ritrova in molti autori classici, come per esempio Piero Valeriano nei suoi Hieroglyphica (1556) che la indica come simbolo di morte. La stessa metafora compare in una poesia di Giovanni Pascoli, intitolata “L’assiuolo” dove il suo verso, prende il simbolo di solitudine e di morte. L’assiuolo non è proprio una civetta ma comunque un rapace notturno.
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- Dov’era la luna? ché il cielo/notava in un’alba di perla,
- ed ergersi il mandorlo e il melo
- parevano a meglio vederla.
- Venivano soffi di lampi
- da un nero di nubi laggiù;
- veniva una voce dai campi:
- chiù… […]
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Nella lingua italiana la civetta si identifica anche con la civetteria dei salotti: già nel 1494 Poliziano intende con “civettare” l’arte dell’attirare gli uomini attraverso moine, e ancora prima Giovanni Boccaccio usa il termine zimbello con il significato di lusinga, oltre che per denotare le civette quali uccelli di richiamo. Da qui la derivazione del termine zimbellare, usato sia per indicare l’addescamento con lusinghe che la caccia con lo zimbello. Per questo le civette hanno anche fama di seduttrici dato che questo rapace veniva usato dai cacciatori come richiamo per ingannare uccelli più piccoli attraendoli con un particolare modo di battere le ali, con inchini, ammiccamenti e altri atteggiamenti simili, irresistibile spettacolo per le potenziali prede.
In Gozzano: “tu civettavi con sottili schemi, tu volevi piacermi, signorina”.
In Verga: “quella civetta di S. Agata! andava dicendo la Vespa con la schiuma alla bocca, tanto ha detto e tanto ha fatto che ha mandato via dal paese compar Alfio!”.
Svevo: “avevo da fare con una fanciulla delle più semplici e fu a forza di sognare che mi apparì quale una civetta delle più consumate”.
Palazzeschi: “dì a questi signori che cosa fai delle tue giornate/digli che sei tanto civetta/che tutto il giorno ti fai toletta”.
Alvaro: “in una successione fantastica vedevo ora i particolari di questa donna e di altre. La gelosa, la crudele, la timida, la civetta, si succedevano nelle pose più bizzarre e più contorte”.
Sempre in Italia l’auto della polizia che fa la ronda notturna in borghese viene chiamata gufo o civetta per l’associazione con la vigilanza di notte e la vita notturna del rapace. Inoltre il foglio-civetta è il foglio di carta esposto dai giornalai con il sommario di un quotidiano o di un periodico che viene appeso alle edicole per attirare l’attenzione dei passanti. La notizia-civetta è l’informazione pubblicata per sondare le reazioni dell’opinione pubblica.
La povera civetta crocifissa sulle porte dei contadini, in Francia, rivendica così sul suo corpicino martoriato, l’eredità simbolica di culti e tradizioni molteplici: è il malaugurio che si vuol tenere lontano dalla dimora, ma è anche la figura della sapienza divina, del Verbo che ha sofferto nella notte del Sepolcro per trionfare su di essa e salvare il genere umano.