”I 4 cavalieri dell’apocalisse in chiave di vita quotidiana nella società di massa si chiamano “Ignoranza grossolanità egoismo e lussuria” sono essi che stanno trascinando il nostro mondo verso l’abisso da cui non c’è redenzione.
L’EGOISMO
Il terzo cavaliere dell’Apocalisse: Egoismo.
Dire che l’egoismo è l’aspetto più evidente della vita contemporanea è dire perfino una ovvietà. Ovunque si giri lo sguardo, dalle famiglie al lavoro, dalle amicizie ai rapporti sentimentali, è sempre lo stesso spettacolo: una maggioranza di persone egoiste che passano come carri armati sui sentimenti di quelli che, non essendo come loro, sono anche più indifesi e vulnerabili, e finiscono stritolati, costretti a una vita di costante auto-mortificazione. L’egoista ritiene che tutto gli sia lecito pur di affermare se stesso e, apparentemente, non ha neppure coscienza di comportarsi così o che nel suo modo di fare ci sia qualcosa di sbagliato o di censurabile; al contrario, pare ritenga perfettamente normale il suo modo di essere, visto che la normalità, nella società odierna, tende a coincidere con la legge dei numeri. Eppure l’egoismo è una brutta cosa, e i nostri nonni ne erano del tutto consapevoli: l’educazione si basava sull’impegno incessante a limare e ridimensionare l’egoismo istintivo dei bambini. Perché l’egoismo è fondamentalmente un istinto naturale, su questo non c’è dubbio. Non c’è neppur dubbio, peraltro, che una società, se non vuole alla lunga autodistruggersi, deve sforzarsi di contenerlo e di correggerlo; se non fa nulla per tenerlo sotto controllo, se addirittura si mette a stuzzicarlo e a corteggiarlo, se lo trasforma in una virtù, o, comunque, in uno stile di vita degno d’ammirazione, allora si scava da se stessa la fossa in cui verrà seppellita. Noi siamo dei morituri perché non abbiamo fatto niente per contenere e correggere il naturale egoismo dei bambini, e abbiamo permesso che quei bambini crescessero e diventassero degli adulti assolutamente egoisti. Da piccoli abbiamo trascurato di insegnare loro l’attenzione e il rispetto per i grandi, l’obbedienza verso i genitori, lo spirito di collaborazione e di solidarietà con gli altri; da grandi, non dobbiamo meravigliarci se mettono i piedi in testa ai loro genitori e se si fanno strada nelle relazioni umane e professionali come altrettanti rulli compressori, travolgendo e schiacciando tutto ciò che risulta loro di ostacolo.
La cultura moderna esalta e glorifica l’egoismo. E qui bisogna intendersi: in particolare non bisogna confondere il senso della propria singolarità, della propria unicità, della propria irripetibilità, che è cosa buona e giusta, dall’egoismo, che è la degenerazione di questi sentimenti, e sia pure una degenerazione naturale e istintiva. Ma non tutto ciò che è naturale è anche buono, e non tutti gli istinti meritano di essere promossi; ve ne sono alcuni, al contrario, che devono essere addirittura incatenati. Per capire quanto ciò sia necessario, basta immaginare, per un momento, cosa sarebbe la vita sulla terra, se tutte le persone dovessero abbandonarsi liberamente al proprio naturale egoismo. Un mondo cosiffatto sarebbe un vero e proprio deserto affettivo: sarebbe la lotta di tutti contro tutti, senza esclusione di colpi: la gelosia, la dissimulazione, l’inganno e il tradimento sarebbero il nostro pane quotidiano; la lealtà e la sincerità verrebbero sistematicamente castigate e mortificate; nessuno potrebbe più fidarsi di nessuno, né il padre o la madre dei propri figli, né il marito della moglie, né lei di lui, né l’amico dell’amico, né il cittadino delle istituzioni, e viceversa. Sarebbe una gara a chi calpesta l’altro con più efficacia, a chi riesce ad ingannare il prossimo per primo, a chi riesce sfruttare l’altro per farsene uno sgabello e realizzare le proprie mete. La manipolazione sistematica sarebbe una virtù, anzi, la più alta di tutte le virtù: nessun genitore amerebbe i suoi figli per loro stessi, ma solo per una forma di narcisismo, e quindi li costringerebbe a vivere come vuole lui (o lei), non come è giusto per essi. In breve, sarebbe un inferno, senza possibilità di redenzione o di riscatto. Ogni giorno sarebbe uguale al precedente e al successivo: una monotona sequela di sopraffazioni, di misere furbizie, di menzogne calcolate, di strumentalizzazioni senza ritegno. Non ci sarebbe più nemmeno la vergogna, perché ciascuno si sentirebbe pienamente giustificato nel proprio modo di fare. Sparirebbero ogni dolcezza, ogni consolazione dall’orizzonte dei rapporti umani: resterebbe solo, impietoso, dominatore, squallido, l’egoismo incontenibile di chi deve per forza essere sempre al centro, e avere gli altri proni ai suoi voleri.
Pur essendo l’egoismo un sentimento naturale, la natura stessa ci ha instillato un’istintiva diffidenza nei suoi confronti; e sia chiaro che quando parliamo della “natura”, non ci riferiamo alla natura assoluta, come nel caso degli animali, ma della natura condizionata e sottomessa allo spirito, come è il caso dell’uomo, dotato di ragione e volontà propria. Ciò si vede da tre fatti. Il primo è che chi agisce da egoista istintivamente cerca di nascondere, agli altri non meno che a se stesso, le proprie intenzioni. Ciò significa che tutti, istintivamente, abbiamo la nozione che l’egoismo è un modo di essere sgradevole e censurabile, che non si può mostrare apertamente, perché susciterebbe la riprovazione universale. Questo, almeno, fino a qualche anno fa, quando la stimolazione artificiale dei peggiori istinti umani, da parte del sistema consumista voluto e alimentato dalla grande finanza, non aveva ancora reso gli uomini così sfacciati e così sprovvisti dell’istinto di conservazione, da non nascondere più ciò che vi è di brutto e vergognoso nella loro natura: e la cosa vale tanto per i comportamenti morali quanto per il rapporto con il proprio corpo e per gli atti fisici. Un tipico esempio di questa insopportabile sfrontatezza: i baccanali repellenti, appunto sul piano fisico, di certe manifestazioni ideologiche, miranti a offendere deliberatamente il comune senso del pudore e del buon gusto. Se l’egoismo fosse un istinto del tutto naturale, non ci sarebbe motivo di mascherarlo, così come non si maschera l’istinto sessuale, ma si lascia apparire apertamente la propria attrazione verso le persone dell’altro sesso, beninteso nelle forme civili ammesse dalla società. Invece il falso amico che cerca di assicurarsi un vantaggio personale sfruttando la generosità di una persona ingenua, lo fa con le dovute cautele: sa che, diversamente, rischierebbe di fallire il suo scopo.
Il secondo fatto che mostra come la natura abbia dotato gli uomini dell’antidoto insieme al veleno, è l’insorgere della vergogna dopo che ci si è abbandonati a un comportamento egoistico. L’uomo che ha fatto credere a una donna di essere innamorato di lei solo per poterla possedere, e che, dopo aver consumato l’atto sessuale, si affretta a rivestirsi e a tagliare la corda come un ladro, si vergogna di quel che ha fatto, anche se forse non lo ammetterebbe: il suo sguardo è sfuggente, le scuse che tira fuori sono goffe e impacciate, tutto in lui tradisce la cattiva coscienza. E poco importa se, a seconda del suo carattere, l’uomo in alcuni casi, diventi sfrontato e aggressivo: anche quella è una maniera di celare il proprio turbamento, la propria insicurezza. Chi è sicuro di sé, chi non ha motivo di vergognarsi delle proprie azioni, guarda sempre negli occhi l’altro e parla con voce ferma e tranquilla. La stessa timidezza è cosa molto diversa dalla vergogna: è impossibile confondere la goffaggine prodotta dalla vergogna da quella che nasce dalla coscienza di una cattiva azione. Abbiamo fatto l’esempio dell’uomo, ma potevamo benissimo scegliere una donna: la donna anche più dell’uomo è brava a dissimulare le sue vere intenzioni, e più dell’uomo nutre un desiderio di manipolare gli altri, di piegarli ai suoi fini e di farne degli strumenti della sua volontà. Ne sanno qualcosa i figli che hanno una madre di quel genere, e la cui vita ne è segnata in modo indelebile, anche se poi, crescendo, trovano la forza di reagire e ribellarsi: anch’essi avranno fatto l’amara scoperta che la persona che credevano così amorevole nei loro confronti era mossa, in realtà, da motivazioni puramente egoistiche e che loro, per lei, non erano dei fini, delle persone degne di amore in se stesse e per se stesse, disinteressatamente, ma dei mezzi per raggiungere i suoi scopi e per gratificare il suo io.
Il terzo fatto è attestato dallo stupore e dall’amarezza che si accompagnano alla “scoperta”, nell’altro, dell’egoismo. Una delle esperienze più brutte, per chi l’ha provata, è quella di rendersi conto che le persone più care, in realtà erano mosse dall’egoismo, e che l’attenzione che mostravano per l’altro, la sollecitudine, la gentilezza, nascondevano interessi e intenzioni di carattere squisitamente egoistico. Ciò dimostra che, in ciascun uomo, vi è, allo stato latente, un istintivo sentimento della giustizia, che si ribella alla brutale rivelazione dell’egoismo, e percepisce in esso un qualcosa che turba l’ordine e l’armonia delle relazioni umane. Nessuno si sente turbato e amareggiato se un animale selvatico affamato, preso il suo pezzo di carne, se ne va per la propria strada senza degnare d’uno sguardo colui che glielo ha porto; e nessuno si sente turbato e amareggiato se la faina, di notte, s’introduce nel pollaio e fa strage di galline. In un simile caso si prova rabbia e frustrazione, ma non turbamento né amarezza, perché si sa che non è accaduto nulla che offenda il nostro naturale senso della giustizia. L’egoismo degli altri, invece, e specialmente da parte di quelli nei quali non l’avevamo sospettato, ci tocca nell’intimo, ci offende e ci indigna: troviamo che il mondo sarebbe migliore se non vi fosse così tanto egoismo, e che, se sovente è un luogo così malinconico, lo si deve appunto al fatto che tanta gente non si faccia scrupoli di dare via libera al proprio istintivo egoismo. Ma per tenere a bada il proprio egoismo, bisogna rinunciare a qualcosa che ci sarebbe utile, o comodo, o piacevole: bisogna limitare il proprio io; e ciò richiede un percorso, una maturazione, e quindi la conquista di una certa consapevolezza di sé e del mondo. Colui che è dominato dall’egoismo, pertanto, di regola è una persona statica, immatura, inconsapevole e indisponibile a mettersi in discussione, a lavorare su di sé. È una persona infantile, narcisista, che si piace così com’è, e che non viene neppure sfiorata dal pensiero che, dopotutto, la vita ci è data per fare qualcosa, per crescere, per operare su noi stessi e, in definitiva, per diventare delle persone migliori di quel che siamo al presente. Dire egoismo, quindi, vuol dire immobilismo, chiusura, cecità di fronte alla bellezza e alla varietà del mondo: in effetti, tutto quel che tocca l’egoista, appassisce e muore, perché l’egoismo è un sentimento freddo come il ghiaccio; mentre l’amore, la benevolenza, l’amicizia, la solidarietà con la sofferenza altrui, sono sentimenti “caldi”, che richiedono coinvolgimento e partecipazione. La persona egoista si riconosce dallo sguardo, che è freddo e tagliente; anche quando ride, l’egoista stira penosamente gli angoli della bocca, tira fuori una risata più o meno convincente, ma i suoi occhi restano impassibili, perché sono incapaci di provare empatia per l’altro. I nostro nonni, che se ne intendevamo più di mille strizzacervelli dei nostri giorni, sapevamo bene tutto ciò e si tenevano alla larga dalle persone dallo sguardo glaciale; mettevano in guardia anche gli altri, dicendo, per esempio, al nipote: Vedi quell’uomo (o quella donna)? Non ti fidare di lui, non dargli confidenza, non fare amicizia con lui (o con lei). È una persona egoista, cattiva. E se il nipote chiedeva: Ma tu come lo sai, nonno?, lui rispondeva: Si vede dallo sguardo. Guarda bene i suoi occhi e lo vedrai anche tu.
D’altra parte, l’egoismo non è un istinto semplice, ma complesso, nel senso che mette in azione tutta una serie di sentimenti collaterali, tutti negativi: la superbia, l’ira, la gelosia, l’invidia, la menzogna e la dissimulazione. È un albero cattivo che produce sempre e solo frutti cattivi: nessun frutto buono è mai germogliato da esso. Pertanto, dove c’è l’egoismo ci sono inevitabilmente altri sentimenti distruttivi, che provocano sofferenza e amarezza. L’egoista, infatti, essendo una persona immatura e inconsapevole, non ha compreso la grande legge universale: che ogni vantaggio sleale ottenuto a danno di qualcun altro, ogni ingiustizia che non è stata corretta, ogni prevaricazione che non è stata espiata, genera ancora e sempre slealtà, ingiustizia e prevaricazione, in una catena teoricamente infinita. E se le colpe dell’egoista non ricadono direttamene su di lui, ricadranno sui suoi discendenti, nel senso che essi riceveranno la sua cattiva eredità e, a seconda di come affronteranno le conseguenze delle azioni egoiste di chi li ha preceduti, diverranno i continuatori di quella serie d’ingiustizie, oppure dovranno dedicarsi a medicare le ferite da esse prodotte.
La vita non ha fretta. Se una colpa non viene espiata subito, lo sarà domani; e se non lo sarà domani, passerà in retaggio alle generazioni successive, fino a quando qualcuno non spezzerà il circolo vizioso. Il circolo vizioso dell’egoismo e del male appartiene, purtroppo, alla natura umana decaduta dopo il Peccato originale, e nessun uomo, con le sue sole forze, sarebbe capace di opporsi e di far prevalere il bene. Se ciò fosse possibile, sarebbe già accaduto; ma non è possibile, e il massimo che gli uomini possono fare, mettendoci tutto il loro impegno e la loro buona volontà, è di impedire, entro certi limiti, che il male dell’egoismo dilaghi, che distrugga ogni cosa al suo passaggio. Ma anche questo compito, alla lunga, si rivela di troppo superiore alle forze naturali degli uomini, i quali, a causa della concupiscenza, tristo retaggio di quel Peccato, inclinano continuamente verso l’egoismo, con tutta la sequela dei mali collaterali che lo accompagnano. Vi è una sola via di salvezza nel circolo vizioso entro il quale si dibattono, ed è quella indicata da Colui che dice: Io sono la via, la verità e la vita, e che, fattosi uomo, ha saputo sconfiggere in sé fin l’ultima scoria di egoismo. Quello è il modello della vita buona, della vita spesa come deve essere spesa, per realizzare l’amore e non l’egoismo. La vita è una battaglia, una lotta incessante: non l’avevate capito? Non ci è data per gioco, ma per essere dei collaboratori del Bene contro il Male…
Francesco Lamendola
Immagine: Frederic Leighton Orfeo ed Euridice 1864.
Antonella
31 Marzo 2020 a 21:55
Complimenti bellissimo articolo