“Quando Platone approdò a Firenze: il Rinascimento riscopre l’antico pensiero”
IL VERO MIRACOLO ITALIANO
di Marcello Veneziani
Un viaggio nel Quattrocento, quando la filosofia platonica rivive tra le rive dell’Arno, alimentando il fervore culturale del Rinascimento.

Platone sbarcò a Firenze nel Quattrocento. Ad annunciarlo fu un singolare filosofo bizantino, Giorgio Gemisto detto Pletone, per assonanza col Maestro; ma poi a rendere Platone di casa a Firenze fu un singolare pensatore, teologo, astrologo e traduttore: Marsilio Ficino, nativo di Figline Valdarno che ebbe in dono da Cosimo de’Medici un palazzo a Careggi dove rifondò l’Accademia platonica, divenuta Accademia fiorentina. La frequentavano Poliziano, Pico della Mirandola, gli stessi Cosimo e Lorenzo de’Medici e molte eccellenze del suo tempo. Marsilio Ficino tradusse, il corpus platonico, le Enneadi di Plotino, le opere dei neoplatonici e il de Monarchia di Dante in lingua “italiana”. E dette un fondamento di pensiero a quella fioritura eccezionale di artisti che avevano tradotto i miti dell’antichità e la storia sacra del cristianesimo in figure, memorabili opere d’arte. Botticelli, Tiziano, Raffaello, Tintoretto, Piero della Francesca, e poi Michelangelo e Leonardo, e ancora altri. La religione si fece narrazione figurativa, attraverso capolavori che tradussero la fede in bellezza: la Pietà, il Giudizio universale, l’Ultima cena, solo per citarne alcuni. Ma nell’arte confluiva anche la magia, la tradizione ermetica, il mondo degli dèi. il pensiero mescolato alla teologia e alla mitologia si fece pittura. E da quell’incrocio creativo di mito, pensiero e religione, o di grecità, romanità e cristianesimo, nacque il vero miracolo italiano. In quel tempo fu soprattutto miracolo fiorentino; i mecenati, i committenti, furono i papi e i signori del tempo.
Per figurare l’uomo rinascimentale immaginiamo due assi che s’incrociano: uno va dalla natura alla scienza e l’altro dall’arte alla magia. Al centro dei due assi è l’uomo, l’homo faber concepito nel Rinascimento, artefice della sua fortuna. Egli è al centro dell’universo, Pico della Mirandola lo concepisce come fabbro del suo destino, libero di scegliere se diventare angelo immortale o bestia mortale. Quello fu il momento irripetibile in cui l’uomo si sentì creatura e insieme creatore, figlio di Dio e apice dell’ordine naturale, proteso verso l’ordine soprannaturale. Fu il tempo magico e breve, in equilibrio perfetto e precario, in cui l’uomo, misura di tutte le cose, diventò centro dell’universo; ma la svolta antropocentrica non era ancora situata fuori dal regno di Dio e dal regno della Natura, era dentro quel doppio solco. Perfetta sintesi di quel breve equilibrio fu l’uomo vitruviano di Leonardo, inscritto nel quadrato della condizione terrestre e nel cerchio della dimensione cosmica e divina. L’uomo è specchio armonioso dell’universo. Quell’immagine, rappresentata da artisti e scienziati, pensatori e alchimisti trovò in Ulisse Aldrovandi il grande scopritore e classificatore della natura: egli si mosse tra l’osservazione scientifica e l’immaginazione artistica in cui la scoperta dell’ordine naturale si affaccia sul sogno di oltrepassarlo.


L’artista platonico per eccellenza è Raffaello Sanzio, il pittore degli dèi, dei poeti e dei filosofi, di Gesù Cristo, della Madonna e dei Santi, della gloria di Roma e della sua millenaria civiltà. “La bellezza divina è la sua patria celeste” scrisse di lui Edoardo Schurè nei Profeti del Rinascimento. Raffaello fu l’apice, punto d’incontro e d’equilibrio irripetibile tra il mito, l’arte e il pensiero, tra le divinità olimpiche e i filosofi dell’antichità, tra la romanità e la cristianità; il cattolicesimo apostolico e romano, la religione della luce, dell’eternità si fa storia e natura, corpo e figura. Non c’è conflitto in Raffaello tra paganesimo e cristianesimo, né antagonismo tra fede e ragione o dualismo tra la carne e lo spirito, tra il naturale e il soprannaturale. Raffaello dipinge quel punto eterno e sfuggente in cui culmina una civiltà. Dopo di lui sarà conflitto, sarà Maniera, sarà scissione o ripetizione. La sua Scuola d’Atene è il più grande e succinto sommario di filosofia mai realizzato: negli sguardi e nelle mani del vecchio Platone e del giovane Aristotele è condensata tutta la filosofia, tra l’ideale e il reale, tra il cielo e la terra, tra le idee e la natura. E con loro trascorrono i sapienti e i filosofi, alcuni riconoscibili, altri misteriosamente velati. Tutti riuniti nel paradiso sovratemporale dei filosofi. Quasi a rappresentare in figura quel che Dante aveva significato in una mirabile terzina nel IV canto dell’Inferno:” Genti v’eran con occhi tardi e gravi, di grande autorità ne’ lor sembianti; parlavan rado, con occhi soavi”. Raffaello li riscatta dall’inferno, li riporta in un luogo beato e glorioso, tra i portici, le arcate e le balaustre di un nobile tempio. Nella scuola d’Atene l’idealismo si fa pittura, il concetto si fa figura. L’impresa di Raffaello: la fede, il pensiero e la poesia fusi nella bellezza.
