Il solito, lagnoso vittimismo

 

IL VITTIMISMO È L’IDEOLOGIA DOMINANTE


Quando non è accusata di fascismo, Giorgia Meloni e il suo mondo sono accusati di vittimismo. Appena denuncia un attacco, una manovra, una campagna contro di lei o sua sorella, contro Fratelli d’Italia o il governo, scatta l’accusa di atteggiarsi a vittima. Il sottinteso è la sindrome del complotto, con la sua dietrologia; o in chiave puerile, la sindrome di Calimero: ce l’hanno tutti con me solo perché sono piccolo e nero, diceva il pulcino di una pubblicità ignota ai minori di cinquant’anni, che oggi sarebbe vietata per apologia di fascismo…

Per i più navigati nella storia della destra e della sua cultura la Meloni non usa solo un repertorio propagandistico per mantenere i consensi e giustificare le difficoltà ma il vittimismo sarebbe una malattia endemica nel mondo politico e culturale della destra nazionale, sociale e radicale nostrana. Il solito, lagnoso vittimismo, che denuncia da decenni discriminazioni, ghettizzazioni, esclusioni e censure nei confronti di chi “non è allineato” o è fuori dalla cerchia e dal Palazzo.

Riconosco che questa tendenza al vittimismo è in effetti presente nella mentalità politica e culturale della “destra” (lasciate che metta tra virgolette una definizione sempre più irreale); arrivo a dire che forse è quella l’unica, vera indole che accomuna politici e intellettuali della cosiddetta “destra”.

Ma appena si allarga lo sguardo al mondo circostante, si fanno i paragoni e si osserva la realtà in cui viviamo, il responso assume un’altra, sorprendente valenza. A ben pensarci, il vittimismo è l’ideologia implicita e sottostante del nostro tempo; sorregge le più importanti giustificazioni culturali e morali, nonché il senso di superiorità della cultura egemone e fonda l’antifascismo.

Da dove nascono l’ideologia woke, il politically correct e la cancel culture se non dalla tutela dei diritti e dal risarcimento dei popoli, generi, minoranze, culture, scelte, reputate vittime di discriminazioni, fobie, intolleranze, violenze? Tutelare le minoranze omosessuali o transgender, vittime dell’omofobia; tutelare i migranti dalla xenofobia o dall’islamofobia; tutelare i neri, vittime del razzismo; tutelare i rom, vittime della zingarofobia. La stessa battaglia per la parità delle donne sorge perché vittime del maschilismo, del patriarcato, delle violenze misogine e dalle discriminazioni sessuali.

Il vittimismo trova la sua legittimazione storica e ideale in rapporto al Male Assoluto, il nazismo e i suoi parenti: la prima Vittima per antonomasia, è l’Ebreo. Tutto il giudizio storico contemporaneo parte dall’ossequio alla Vittima della Shoah. La destra ne fece il verso con i martiri delle foibe.

Sul piano storico la memoria, le strade, le rievocazioni riguardano solo le vittime; ogni evento, ogni protagonista, ogni eroe, re e conquistatore, cede il posto alla vittima, anche nella toponomastica. E l’anticolonialismo cos’è se non un’apoteosi del vittimismo?

Ma anche la vita sociale e civile esige una speciale protezione della vittima; la scuola deve prima di tutto tutelare chi non ce la fa, vittima del sistema meritocratico e dell’impietoso darwinismo sociale; nello sport le pararlimpiadi assumono pari rilevanza delle olimpiadi, per la speciale tutela che si deve alle vittime della sorte (peraltro ammirevoli). E persino nelle gare olimpioniche, la stupida, demagogica idea di premiare i quarti, rispetto alla terna che sale sul podio – un’idea che mortifica e sovverte lo spirito dello sport e il suo legittimo e leale agonismo (vinca il migliore) – è un ulteriore frutto del vittimismo.

Risalendo alle origini del vittimismo c’è una distorsione della morale cristiana, la difesa dei martiri, dei deboli, dei poveri, degli umili, degli oppressi. L’impianto vittimario e sacrificale della storia, notava René Girard, ha una derivazione cristiana, in parte giudeo-cristiana.

Ma la carica di rivalsa che accompagna il vittimismo, in realtà, è una derivazione della lotta di classe di matrice comunista: vittime di tutto il mondo unitevi, sovvertite l’ordine che finora vi ha relegato fuori, sotto, in basso nella scala sociale; gli ultimi saranno i primi, diceva il Vangelo, ma il marxismo corregge, la dittatura degli ultimi (o meglio di coloro che parlano in loro vece) sarà necessaria per rovesciare le leggi infami della realtà, della natura e del mondo. Il vittimismo è l’ideologia dominante del nostro tempo, anzi, meglio, è l’ideologia su cui si fonda la dominazione del nostro tempo. Non è certo appannaggio esclusivo della Meloni.

Ma torniamo al mondo da cui proviene la Meloni. Il vittimismo della “destra” è una ritorsione, una reazione, al dominio vittimista che s’impone dappertutto. In realtà la vera indole della destra, più che il vittimismo è il “vintimismo”, ossia la passione per i vinti, la propensione scandalosa per tutti coloro che persero, con onore, nella storia: dagli esuli di Coblenza al tempo della Rivoluzione francese ai nostalgici dei Borbone e degli Asburgo, dai sudisti agli indiani d’America ai fascisti che combatterono sapendo di perdere. L’archetipo, per così dire, è Ettore nel canto di Omero, o Leonida alle Termopili coi suoi trecento spartani. O i samurai, i tibetani, coloro che difesero città assediate e civiltà perdute.

Leonida nella Battaglia delle Termopili, dal film 300 del 2007 diretto da Zack Snyder

L’adozione delle vittime al posto dei vinti segna un cambio di passo: dagli eroi ai martiri, così la destra risponde allo spirito del nostro tempo. Poi, nella prassi quotidiana, diventa a volte alibi furbo per mascherare le proprie sconfitte o le proprie incapacità e insufficienze. Il vittimismo viene usato per generare solidarietà e dissimulare i propri insuccessi.

Ma dopo aver compiuto una lunga navigazione nel vittimismo, nelle sue matrici, declinazioni ed espressioni odierne, torniamo alla realtà. Resta il fatto che davvero la destra è stata per decenni il mondo escluso, definito non a caso il ghetto; la sua cultura è stata ed è ancora interdetta e malvista, esclusa o mal sopportata dal potere culturale dominante. Ed è innegabile che certe cose consentite agli altri, e soprattutto alla sinistra, sono vietate alla destra; se prova a farlo, si grida allo scandalo. Lo si vede nelle leggi, nelle nomine, nei criteri usati. Per non dire delle campagne e delle manovre mediatiche e giudiziarie per far cadere il governo di destra o per impedire in tutti i modi che altrove vada al potere.

Alla fine ci troviamo davanti a un duplice paradosso: il vittimismo non è la consolazione di chi sta sotto ma è l’ideologia di chi sta sopra: è usata dai ceti dominanti per affermare e consolidare la loro supremazia.

Altro che religione degli oppressi… La stessa cosa succede a rovescio al governo: Meloni si dice vittima eppure sta al governo. Evidentemente il governo è una cosa e il potere è un’altra… Quel doppio esito è il paradosso cornuto del vittimismo.

La Verità – 14 giugno 2024
La Verità – 28 agosto 2024

 

 

 

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