Puoi cambiare il tuo volto, ma non il peso delle parole che ti porti dentro

IL VOLTO DI CYRANO

Redazione Inchiostronero

Nella penombra di un jazz club, tra lettere mai firmate e sogni di un volto nuovo, Cyrano scopre che il vero cambiamento non è nella pelle, ma nelle parole che finalmente decide di pronunciare.


Il club 

Il fumo si attorciglia sotto le lampade basse, striscia sui tavoli, si mescola al jazz che esce pigro dal palco. L’aria è densa, satura di whisky versato, profumo femminile e promesse vuote.

Sul palco, il sax piange note lente, quasi svogliate. Un lamento soffocato. Il pianoforte lo segue con accordi morbidi, un battito di spazzole sulla batteria completa il quadro.

Un ritmo che appartiene alla notte.

Il pavimento di legno è segnato da anni di passi distratti, tacchi nervosi, risate spezzate. Quanti amanti si sono rincorsi tra questi tavoli? Quanti brindisi si sono trasformati in addii?

Cyrano lo sa.

La notte è un bicchiere lasciato a metà. Come tutto, qui dentro.

È seduto al bancone, la cartelletta sotto il braccio, il bicchiere tra le dita. Gli angoli della copertina sono piegati, consumati, come le sue certezze.

Le sue dita tamburellano piano sulla copertina, una vecchia abitudine che non riesce a perdere.

Dentro, solo fogli bianchi.

Un vizio, un’ossessione. Un’illusione di controllo: finché ha carta e penna, ha una voce. Anche se non è mai la sua.

Sul palco, Rossana canta.

La sua voce è miele e veleno, un filo di fumo che entra nei polmoni e non esce più. Una di quelle voci che ti restano addosso, che senti ancora anche quando la musica finisce.

Canta con gli occhi chiusi, il viso appena inclinato, come se cercasse qualcosa che non c’è. O qualcuno.

Indossa un vestito nero con un taglio lungo sulla coscia. Il tessuto scivola sulla pelle come un sussurro.

L’ombra di un neo appena sopra le labbra.

Cyrano conosce quella canzone.

Parla di un amore lontano, di promesse mai mantenute.

La ascolta senza muoversi, senza lasciar trasparire nulla. Ma la sente addosso come una giacca pesante in piena estate.

I suoi occhi si spostano su Christian.

Il solito posto, la solita posa. Il bicchiere nella mano grossa, la cravatta allentata, lo sguardo vuoto.

Ha il viso di un uomo sicuro di sé.

Ma le mani di un uomo che non sa cosa fare.

Potrebbe essere bello, se solo sapesse parlare. Se solo sapesse pensare oltre il momento.

Ma lui non parla, lui beve.

E quando le parole gli servono, Cyrano gliele mette in bocca.

Qualcuno ride da un angolo del locale. Una risata roca, ubriaca.

Un uomo con un cappello calato sugli occhi sta sussurrando qualcosa a una donna bionda, che lo ascolta con un sorriso stanco.

Ogni tavolo ha la sua storia. Ogni sguardo è un segreto custodito male.

Un cameriere gli scivola accanto e lascia un biglietto accanto al whisky.

Un gesto rapido, silenzioso.

Cyrano lo riconosce subito.

Lo ha scritto lui, due ore fa, piegandolo con cura prima di darlo a Christian. Lo aveva lisciato con le dita, sistemato bene, come se potesse renderlo più importante.

Ora è tornato.

Sopra, una sigaretta spenta ha lasciato una macchia giallastra, proprio sul suo nome.

Non l’ha letto.

Cyrano sorride.

Un sorriso storto, senza gioia. Il sorriso di chi ha sempre saputo la verità.

Prende il biglietto, lo riapre. L’inchiostro è ancora nitido, le parole perfette.

Parole che non gli appartengono più. O che forse non gli sono mai appartenute.

Il barista si avvicina, pulendo un bicchiere con un panno. Lo guarda di sottecchi.

   — Sempre a scrivere, eh, Cyrano?

Cyrano solleva lo sguardo. Joe ha gli occhi di chi ha visto passare troppa gente con lo stesso bicchiere in mano.

   — Sempre a bere, eh, Joe?

Il barista ride piano.

E chi ti dice che non bevo per scrivere anch’io?

Cyrano scuote appena la testa, ma il sorriso gli resta sulle labbra.

Non perché sia divertito, ma perché Joe ha detto qualcosa di tremendamente vero.

Rossana chiude gli occhi sulle ultime note.

Trattiene per un attimo il silenzio.

Poi li riapre, e guarda Christian come se fosse l’unico uomo al mondo.

Cyrano abbassa lo sguardo. Perché sa che non è vero.

Prende il bicchiere, beve un sorso lungo. Il whisky brucia.

Si asciuga la bocca con il dorso della mano.

Poi pensa che, forse, sia arrivato il momento di cambiare faccia.

 

La prima lettera (Flashback)

Una notte calda, soffocante.

L’aria sapeva di pioggia rimasta incastrata nell’asfalto e di fumo stantio. Delle promesse infrante che il giorno dopo nessuno avrebbe ricordato.

Il jazz scivolava fuori dal locale come fumo dalle finestre aperte. Strisciava tra le strade vuote, si infilava nei vicoli, si attorcigliava attorno ai lampioni.

Il sax gemeva una melodia lenta, i tasti del pianoforte rispondevano con note leggere, quasi svogliate.

Un tempo, Cyrano avrebbe trovato conforto in quella musica. Ora, ogni nota sembrava parlare troppo forte.

Era seduto al bancone, la cartelletta sotto il braccio, un bicchiere pieno davanti. Il ghiaccio si scioglieva piano, lasciando scie trasparenti sulle pareti del bicchiere.

Nel riflesso dello specchio dietro il bancone, il locale era un dipinto sfocato. Sagome indistinte, ombre che si muovevano tra whisky e parole dette a metà.

Accanto a lui, Christian si agitava sulla sedia.

Era nervoso, con il colletto della camicia sudato e la cravatta già allentata, come se avesse appena finito di correre. O di scappare.

Dalle sue stesse parole.

Si passò una mano tra i capelli, poi afferrò il bicchiere e lo svuotò con un sorso lungo, rumoroso.

Non so cosa dirle. Cristo, non so nemmeno scrivere una frase decente.

Cyrano lo fissò per un attimo.

Poi abbassò lo sguardo sul bicchiere.

Christian era ubriaco, come sempre.

Ma stavolta il vino non c’entrava.

Era Rossana a confondergli la testa.

Dimmi almeno cosa vuoi dirle.

Christian sbuffò, lasciando cadere le spalle in un gesto di resa.

Si strinse nelle spalle, batté le dita sul bancone.

Che la sogno la notte.

Il jazz sembrò fermarsi per un attimo.

Che mi sveglio con il suo nome in testa.

La batteria diede un colpo secco.

Che la sua voce mi fa male al petto.

Cyrano si accese una sigaretta. Espirò il fumo lentamente.

Strano.

Per essere un idiota, hai le stesse cose che direi io.

Si girò leggermente.

E la vide.

Rossana era seduta a un tavolo d’angolo, con un bicchiere tra le dita. Non beveva, lo accarezzava con la punta delle unghie, tracciando piccoli cerchi sulla superficie del vetro.

Rideva piano con un’amica, ma il suo sguardo vagava.

Cercava qualcosa. O qualcuno.

Il vestito scuro la avvolgeva come la notte.

Ogni volta che muoveva le mani, il braccialetto d’oro le scintillava sul polso.

Cyrano la guardò un secondo di troppo.

La sua sigaretta bruciò fino al filtro.

Si voltò di scatto e aprì la cartelletta.

Non poteva fermarsi ora.

Tirò fuori un foglio bianco e lo posò sul bancone, accanto al bicchiere.

Dimmi una parola. Un solo aggettivo per lei.

Christian esitò.

Strinse gli occhi, cercando qualcosa nel fondo del bicchiere. Come se lì dentro potesse trovarci la risposta.

Poi disse:

Luminosa.

Cyrano annuì.

Prese la penna.

Scrisse poche righe.

L’inchiostro scivolò sulla carta senza esitazione.

Una frase sola.

Una condanna.

Piegherà il foglio con cura.

Lo infilò nella tasca di Christian.

Portaglielo.

Christian lo guardò, confuso.

Non la vuoi firmare?

Cyrano lo guardò per un lungo istante.

Poi gli posò una mano sulla spalla, un sorriso appena accennato sulle labbra.

Lasciala leggere, idiota.

Fu in quel momento che Cyrano sigillò il suo destino.

Quella notte Rossana si innamorò.

Ma non di Christian.

Christian e la richiesta di un’altra lettera 

La pioggia cade senza sosta, un battito costante contro l’asfalto, contro i tetti delle auto parcheggiate, contro le pareti scrostate del vicolo. La città sembra lavarsi via, ma il sudiciume resta sempre lo stesso.

L’odore di spazzatura fradicia, sigarette spente e alcol versato si mischia all’umidità. L’acqua raccoglie il fumo delle grondaie, lo spinge giù fino a fondersi con la terra, con la notte.

Cyrano cammina senza fretta. La cartelletta sotto il braccio, il cappotto scuro incollato addosso dall’umidità. Sa già cosa lo aspetta.

Christian è lì.

Appoggiato al muro come un pugile all’angolo del ring, la camicia aperta sul petto, la giacca sgualcita.

Una sigaretta pende dalle sue labbra. Le mani tremano appena mentre accende il fiammifero.

Lo vede, gli fa un cenno con il mento.

Ascolta, poeta, mi serve un’altra lettera.

La voce è più bassa del solito. Più ruvida.

Cyrano si ferma sotto la luce tremolante di un lampione. Inclina appena la testa.

Di nuovo?

Christian si stringe nelle spalle, tira una boccata lunga, poi lascia andare il fumo in un sospiro.

Sì, beh… — Si gratta la nuca, evita il suo sguardo. — Le cose ultimamente sono un po’… tese.

Cyrano alza un sopracciglio.

Tese?

Christian sospira, si passa una mano sul viso. Gli occhi scavati, il viso stanco.

Rossana dice che mi vuole bene, ma che vuole qualcosa di più.

Qualcosa di più.

Cyrano ripete mentalmente quelle parole.

Qualcosa che Christian non ha.

Qualcosa che non avrà mai.

Lo osserva bene. Dita che tamburellano sulla coscia. Il respiro pesante. Il nodo della cravatta slacciato come se stringesse troppo.

È un uomo che sta scivolando. E forse non se ne rende nemmeno conto.

Forse ha ragione.

Christian lo guarda, confuso. Non ha capito se era un consiglio o una condanna.

Che diavolo significa?

Cyrano non risponde. Non ne ha bisogno.

Silenzio. Solo pioggia.

Christian si fruga nelle tasche, estrae un biglietto stropicciato e lo porge a Cyrano.

Questo l’ha scritto lei.

Cyrano prende il foglio umido, lo apre.

Solo quattro parole.

“Dimmi una cosa vera.”

Il cuore gli batte più forte.

Rossana ha capito.

O sospetta.

Alza gli occhi su Christian. Lui non lo sa, ma è già fuori dalla partita.

Cyrano piega il foglio con lentezza. Poi, senza dire una parola, se lo infila nella cartelletta.

La pioggia cade lenta, insistente. Christian si stringe nelle spalle, tira un’altra boccata di fumo.

Me la scrivi, allora?

Cyrano lo guarda per un lungo istante.

Poi annuisce.

Te la porto domani.

Christian sorride. Un sorriso storto, sbiadito.

Gli dà una pacca sulla spalla.

Sapevo di poter contare su di te, amico.

Si allontana, il passo leggermente incerto. Come un uomo che cammina verso qualcosa che non sa di avere già perso.

Non sa che domani, per lui, non esiste.

Cyrano resta immobile sotto la pioggia.

Tiene la cartelletta stretta sotto il braccio, come se fosse un’arma.

Non gli serve sapere altro.

La lettera che Rossana aspetta, Christian non la leggerà mai.

L’incontro con il gangster 

La notte è un coltello smussato.

Non abbastanza affilato da tagliare, ma sufficiente per lasciare lividi.

Piove da ore, abbastanza per far galleggiare le cicche nei tombini e incollare i giornali al marciapiede. L’acqua sporca trascina con sé i resti della città, ma certe macchie non vengono via nemmeno con la pioggia.

Cyrano tiene la cartelletta sotto il braccio, la spalla contro il muro. Aspetta.

Dall’altra parte della strada, la luce fioca della tavola calda sbava sulla pioggia, illuminando appena i contorni delle auto parcheggiate. L’insegna lampeggia a intermittenza, come se la notte stessa fosse stanca di tenere il conto delle anime perse che passano di lì.

Sa già come andrà a finire.

Sa che Christian è entrato pochi minuti fa.

Sa che l’uomo che lo ha seguito non è lì per mangiare.

Il gangster.

Non serve conoscerlo.

Cyrano l’ha capito dal modo in cui è sceso dall’auto, un’Oldsmobile nera con i vetri fumé. Un passo lento, misurato, da chi ha tempo, perché il tempo lo possiede.

Dal cappotto di cashmere grigio, pesante ma perfetto sulle spalle. Dai guanti di pelle che non si è tolto nemmeno per chiudere la portiera.

Un uomo che non lascia impronte.

Cyrano attraversa la strada.

Si ferma davanti alla porta della tavola calda, passa un attimo la mano sulla cartelletta come per assicurarsi che sia ancora lì.

Spinge la porta.

Un campanello suona piano. Appena un sussurro di metallo.

L’odore di caffè bruciato e grasso fritto gli si appiccica addosso. L’aria è densa, immobile. Come in una fotografia.

Un vecchio sfoglia un giornale unto, la carta ingiallita che fruscia tra le dita. Il giornale è di giorni fa. Qui dentro il tempo non si muove più.

Una cameriera asciuga tazze dietro il bancone. Lo fa senza fretta, senza guardare nessuno.

Cyrano si tiene nell’ombra, vicino alla macchina del caffè.

Non serve avvicinarsi. Sa già cosa sta succedendo.

Christian è seduto in fondo.

Le mani intrecciate davanti alla bocca. Le nocche bianche.

Di fronte a lui, il gangster mescola il caffè con calma. Il cucchiaino batte contro la porcellana, un suono lento, metodico.

Un suono che dice più di mille parole.

Il gangster lo osserva per un attimo, poi inclina leggermente la testa.

Non dovresti farmi aspettare, Christian.

Voce bassa, quasi gentile. Più spaventosa proprio per questo.

Christian deglutisce. Le dita stringono il bordo del tavolo.

Non volevo—

No, non volevi. Lo so.

Il gangster gli sorride. Poi assaggia il caffè. Lo fa girare in bocca per un istante, come se fosse un sommelier. Poi annuisce.

Sai perché è buono?

Christian scuote la testa. La sua lingua sembra incollata al palato.

Perché ha la giusta dose di merda dentro. Senza quella, il caffè non ha sapore.

Il cucchiaino tintinna di nuovo nel piattino.

Poi il gangster si sporge in avanti, le mani giunte. La sua voce si abbassa di una nota.

Il problema è che tu hai preso troppo zucchero, Christian.

Un silenzio pesante.

Troppi favori. Troppa fortuna.

Si ferma un attimo. Lascia che le parole affondino.

E ora devi pagare.

Christian si muove sulla sedia. Si strofina le mani sulle cosce, come se avesse freddo.

Posso sistemare tutto.

Il gangster sorride ancora.

Un sorriso vuoto, senza anima.

No, ragazzo. Non puoi.

Il vecchio gira la pagina del giornale. La cameriera appoggia le tazze sullo scaffale. La città fuori continua a piovere, come se nulla importasse.

Cyrano vede Christian impallidire. Vede il sudore brillare sulla sua fronte.

Il gangster si china verso di lui. Gli dice qualcosa piano, quasi un sussurro.

Cyrano non sente le parole. Non servono.

Le legge negli occhi di Christian.

Il gangster si rialza, scrolla le maniche del cappotto. Finisce il caffè in un solo sorso.

Poi, mentre si infila i guanti con calma, gli dà una pacca leggera sulla guancia.

Vedi di goderti la serata.

E se ne va.

Christian resta fermo.

Le mani che tremano, il petto che si solleva e si abbassa troppo in fretta.

Cyrano guarda la pioggia scendere lungo il vetro della finestra.

L’aria nella tavola calda sembra essersi fatta più densa.

Fuori, la notte continua a colare sulle strade come inchiostro.

Si volta.

Esce di nuovo nella notte.

Per la prima volta, si chiede se valga la pena scrivere ancora una lettera.

Il sogno del volto rifatto

Silenzio.

Un silenzio spesso, ovattato, che schiaccia l’aria.

Non c’è suono.

Non c’è respiro.

Non c’è tempo.

Cyrano è in piedi in una stanza che non ha pareti, non ha soffitto. Solo un pavimento nero, infinito, che non fa rumore sotto i suoi piedi.

Davanti a lui, uno specchio enorme, incastrato nel vuoto.

Uno specchio che non riflette immediatamente.

Si guarda.

E finalmente vede.

Non è la sua faccia.

Il naso è sparito.

Il volto è nuovo, simmetrico, perfetto fino all’oscenità.

Liscio come porcellana.

Freddo. Innaturale.

La pelle tesa, i lineamenti perfetti, senza storia.

Senza vita.

Una maschera che non riconosce.

Scuote la testa. No.

Deve essere un errore.

Deglutisce.

Anche il suono del suo respiro è diverso.

Vuoto. Sintetico.

Si tocca le guance. La pelle è fredda.

Sente il contorno della sua bocca.

Sottile. Finta.

Le dita tremano. Scivolano sui suoi zigomi levigati, senza imperfezioni, senza ricordi.

Il profilo anonimo.

Sente il bisogno di dire qualcosa.

Ma la voce che esce non è la sua.

Un sussurro dietro di lui.

Si volta.

Rossana è seduta su una sedia bianca.

Bianca come il resto del nulla.

Bianca come un fantasma.

Indossa un vestito scuro, le gambe accavallate, le mani delicate che accarezzano il bordo di una lettera.

Una delle sue lettere.

Una che lui ha scritto.

Sorride, ma non a lui.

Cyrano fa un passo avanti.

Hai letto?

La sua voce è strana.

Troppo chiara. Troppo leggera.

Senza peso.

Non sembra la sua.

Rossana alza lo sguardo.

I suoi occhi sono limpidi.

Ma non lo vedono.

È bellissima.

Cyrano sente un brivido lungo la schiena.

E tu… tu sai chi…

Ma lei non lo ascolta.

Non lo sente.

Si alza, passa accanto a lui senza fermarsi.

Attraversandolo.

Come se fosse aria.

Va verso qualcuno nell’ombra.

Una sagoma che non esiste.

Un uomo senza volto.

Un uomo che non è Cyrano.

Ma che ha le sue parole.

Rossana gli porge la lettera.

Gli sorride.

Sono parole meravigliose.

Poi allunga la mano.

La sagoma la prende.

Le dita si intrecciano.

Un legame che non si spezza.

Cyrano guarda le loro mani unite.

Il cuore gli martella nel petto.

Si volta di scatto verso lo specchio.

Ma non c’è nessuno.

Non c’è riflesso.

Non c’è un volto.

Solo il vuoto.

Solo il nulla.

Un battito.

Poi un altro.

Un altro ancora.

Buio.

Il soffitto del suo appartamento.

Il suono lontano delle auto sulla strada bagnata.

Il respiro pesante.

Troppo pesante.

Solleva una mano.

La passa sulla faccia.

Sente ancora il naso sotto le dita.

Chiude gli occhi.

Il cuore martella.

E per la prima volta, ha paura di perderlo.

La Clinica

L’insegna fuori è spenta. Nessun nome. Nessuna indicazione. Solo un numero civico sbiadito sulla porta di ferro.

Cyrano preme il tasto del campanello con un dito fermo. Un ronzio metallico. Un clic. La serratura si sblocca.

L’atrio è piccolo, soffocante. Odore di disinfettante e pelle artificiale. Le pareti sono di un bianco opaco, il pavimento in linoleum giallastro. Niente finestre. Solo una luce al neon che pulsa con un ronzio basso, fastidioso.

La segretaria dietro il bancone non alza nemmeno lo sguardo. Mascella ossuta, capelli tirati indietro in uno chignon perfetto. Le dita lunghe scorrono su una macchina da scrivere grigia, i tasti battono secchi come il ticchettio di un orologio.

Prego, si accomodi. Il dottore la sta aspettando.

Cyrano annuisce e attraversa il corridoio. I suoi passi risuonano sordi sul pavimento.

Lo studio del dottore è più freddo dell’atrio.

Un lettino chirurgico al centro della stanza. Un carrello d’acciaio con strumenti sterili. Forbici. Bisturi. Garze impilate con precisione ossessiva.

Il dottore è in piedi accanto alla scrivania, camice sbottonato, una sigaretta accesa tra le labbra. Il fumo si mescola all’odore di anestetico.

Lo squadra come la prima volta.

Ci hai pensato?

Cyrano si sfila il cappotto. Lo appoggia sulla sedia. La cartelletta sotto il braccio. Le dita scorrono sul bordo della copertina, un gesto automatico.

Lo voglio dritto. Discreto.

Il dottore annuisce. Non ha bisogno di chiedere altro. Apre un cassetto e tira fuori una cartellina, la sfoglia. Fotografie di nasi perfetti. Profili simmetrici. Nessuna imperfezione.

Volti senza storia.

Scegli.

Cyrano prende le foto. Le osserva una a una. Uomini che non esistono. Attori, uomini d’affari, sconosciuti con un volto qualsiasi.

Tutti uguali.

Sente di nuovo la voce di Rossana nel sogno.

“Sono parole meravigliose.”

Alza lo sguardo sullo specchio appeso alla parete. Per un attimo, si immagina senza quel naso.

Un altro uomo. Un’altra ombra. Qualcuno che non è più lui.

Il cuore accelera. E se Rossana non lo riconoscesse?

Se la voce rimanesse la stessa, le parole identiche, ma nessuno lo vedesse più?

Un brivido gli corre lungo la schiena.

Il dottore lo osserva con aria paziente. Ha già visto tanti uomini cambiare faccia. Alcuni sorridere di soddisfazione, altri guardarsi allo specchio e non riconoscersi più.

Ti vedrai meglio, sai? Il mondo sarà più facile.

Cyrano chiude gli occhi. Sente il peso della cartelletta.

Rossana che passa oltre senza guardarlo.

L’inchiostro delle lettere che si scioglie sotto la pioggia.

Il silenzio di una voce cancellata.

Apre gli occhi. Le foto gli sembrano ora tutte uguali, insipide, vuote.

Nessuna gli appartiene.

Posa le immagini sul tavolo. Lentamente, prende la cartelletta, la apre. Fogli bianchi. L’odore della carta gli riempie il naso. Il suo naso.

La chiude con un gesto deciso.

Ho cambiato idea.

Il dottore non dice nulla. Espira fumo, lo osserva. Poi scrolla le spalle, con indifferenza.

Peccato. Ti avrei fatto un capolavoro.

Cyrano sorride. Un sorriso amaro, ma vero.

Afferra il cappotto. Se lo infila con un gesto sicuro.

Il capolavoro esiste già.

Si volta ed esce dalla stanza.

Dietro di lui, il dottore spegne la sigaretta e strappa il foglio della sua cartella.

La verità senza maschere

La lettera scivola dalle dita di Rossana.

Il foglio si piega piano, come se esalasse un ultimo respiro.

Si ferma accanto al bicchiere. L’inchiostro sfiorato da una goccia di whisky si dissolve leggermente ai bordi.

Rossana lo guarda senza prenderlo. Come se toccarlo potesse cambiare la realtà.

Poi si copre la bocca con una mano, le dita strette contro le labbra, per trattenere un respiro spezzato.

Scuote la testa.

Tutto questo tempo…

La voce le trema. È un soffio, un sussurro che sembra quasi non voler uscire.

Non sa se essere furiosa, se ridere, se piangere.

Si sente stupida.

Ingannata.

Ma anche qualcosa di più.

Qualcosa che non sa ancora nominare.

I suoi occhi si spostano su di lui.

Lo guardano davvero.

Per la prima volta, senza l’ombra di Christian in mezzo.

Cyrano non si muove.

Non abbassa lo sguardo.

Non scherza, non si nasconde.

Lascia che lei lo veda per quello che è.

Intero. Imperfetto.

Rossana inspira, si passa una mano tra i capelli.

Fa un passo indietro. Poi un altro.

Il respiro corto, irregolare.

Cyrano la segue con lo sguardo.

Non la ferma.

Non può.

E adesso? — chiede lei, quasi senza fiato.

Silenzio.

Cyrano si sfila il cappotto con un gesto lento, misurato.

Lo appoggia con cura sulla sedia.

Poi si siede.

Adesso mi conosci.

Rossana chiude gli occhi per un istante.

Un istante lunghissimo.

Non è una risposta facile.

Non è una risposta qualsiasi.

Apre gli occhi.

Guarda la lettera. Guarda lui.

Lo vede per davvero, senza il velo dell’illusione.

E qualcosa cambia.

Non tutto. Non subito.

Ma qualcosa.

Un battito di ciglia.

Un respiro più lento.

Un leggero spostarsi del peso da un piede all’altro.

Poi fa una cosa che non si sarebbe mai aspettata di fare.

Sorride.

Appena.

Un accenno.

Un frammento di qualcosa che potrebbe essere speranza.

Si alza.

Il locale è più silenzioso ora.

Il jazz è diventato un sussurro lontano, quasi impercettibile.

Rossana esita.

Poi tende una mano.

Vieni.

Cyrano la guarda.

Le sue dita sottili, la pelle chiara contro le ombre del club.

Se le prende, tutto cambia.

Se le lascia andare, tutto resta com’è.

Lui allunga la sua.

Le sfiora appena le dita.

E per la prima volta, sente il calore di un contatto senza bisogno di parole.

Non di carta, non di inchiostro.

Di pelle.

È nuovo.

È strano.

È reale.

E per la prima volta, non ha bisogno di una cartelletta piena di parole.

Fuori, la città continua a scorrere.

La pioggia cade.

Le luci si riflettono sulle pozzanghere.

Le auto sfrecciano veloci, i fari illuminano per un attimo le vetrine del club.

Tutto continua, come se nulla fosse successo.

Ma qualcosa è cambiato.

Perché Cyrano, finalmente, ha deciso di esistere.

Riccardo Alberto Quattrini

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