Un gioco pericoloso quello di Sofia, una burla quasi, che crede di condurre in solitaria. Ma un inganno è un gioco difficile da gestire se non si conosce a fondo il proprio nemico, una posta troppo alta da pilotare se ci si lascia sedurre solo dall’irrealtà delle stelle e dei sogni. Una parabola di trappole e malefici che porterà Sofia e i suoi due amici di sventura a rielaborare il senso opposto della vita dentro una malsana follia. 

 Inganni

racconto

di

Elisabetta Bordieri

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 Ancora con questa favola larvata dei sogni. Filosofi e poeti, saggi e scienziati, dei e schiavi, ognuno a profondere parole per i sogni. Ogni genere di arte e letteratura prodighe e suddite della vacua idea dei sogni. Dogmi, pensava Sofia, solo inutili dogmi. Se almeno avesse avuto la possibilità di interpretarne l’arte divinatoria, avrebbe spiegato che i sogni sono sistemi isostatici, vincolati strettamente tra loro per assicurarne la poca stabilità. Sono una superficie irregolare, asimmetrica, esposta ai venti che sferzano da ogni parte dell’anima. Sono un’osmosi inversa per tentare di depurare le impurità della vita. Sono un connubio perfetto tra sostanze organiche e inorganiche. In sintesi, sono una strada pericolosa e impervia da abbandonare al primo bivio. Le sarebbe bastato spiegarlo a Diego che era ancora in cammino, a seguire il suo sogno inquinato, ma non poteva. Il talento di Sofia in questa vita non era scritto, non era rendicontato. Non aveva diplomi o lauree che attestassero il suo sentire. Era solo considerata una pazza. E per quello le carte erano state scritte, eccome.

«Sei pronta?»

«No».

«È tardi e il medico ci aspetta».

«Può aspettare».

«Sei irrispettosa».

«E tu spietato».

«Troverà una cura, vedrai».

«Non esistono cure»»

«È la malattia che ti rende lucida e disincantata».

«È la salute che ti rende un visionario».

«Devi fidarti».

«Mi fido. Non di te. E ricordati la promessa di ieri. Andiamo».

Arrivarono all’appuntamento, invece, puntuali. Diego salì quel piano di scale con passo sicuro e cadenzato, pettinato, elegante quanto basta, battiti cardiaci regolari, pronto. Sofia lo seguiva deforme e malconcia, ciondolando come ubriaca, ma lui non si girò a guardarla e così si perse quel sorriso malefico appena celato dal suo falso arrancare.

«Salve, il dottore vi sta aspettando, vi accompagno».

«Sì, io e mia sorella siamo in lieve ritardo».

«Ma no, in orario, prego».

«Buongiorno, signori, accomodatevi».

«Buongiorno a lei dottore, grazie, siediti cara».

«Ho dato un’occhiata agli incartamenti che mi ha inviato ma in realtà io mi occupo poco delle carte, per così dire, preferisco parlare con i diretti interessati.

«Sì, capisco, ma gli incartamenti servono a dare un quadro della situazione, credo, no?

«Le domande le faccio io e, per quel poco che ho letto, mi pare di capire che la persona interessata non sia lei ma la signora».

«Esatto, mia sorella, che ritengo non adatta a…»

«La pregherei, pertanto, di lasciarci soli».

«Ma…»

«Un’ora circa direi, attenda pure nella sala d’attesa, la trova alla fine del corridoio, accanto all’ufficio della mia assistente, arrivederci».

Diego lasciò lo studio troppo minuscolo, indispettito, e Sofia poté gustarsi la sua prima piccola vittoria. Se lo immaginava ora,  pentito della scelta di quel medico poco incline alle smancerie, fuori dalla porta, a imprecare tutti gli dei a disposizione, seduto ad aspettare, lui che non aveva mai saputo aspettare il turno della vita. Lei si concentrò sul dottore. Meglio restare diffidenti per un po’.

«È tranquilla, Sofia?»

«E lei?»

«Io lo sono ora che possiamo parlare».

«Lei vuole parlare davvero o è solo costretto perché pagato da mio fratello?»

«È il mio lavoro».

«Il suo lavoro?»

«Non è come crede».

«E lei cosa crede che io creda?»

«Che mi ritiene un essere sconosciuto con la supponenza di essere in grado di capirla e quindi di curarla».

«E non è forse così?»

«Ho letto che…»

«Mi occupo poco delle carte, preferisco parlare con i diretti interessati o era una solo una frase a effetto?»

Il dottore, fino a quel momento fisso negli occhi di Sofia, abbassò lo sguardo con fare educato e timido. Poi si alzò lentamente e si avvicinò alla finestra accanto al tavolo aprendola appena. Tirò fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette, ne estrasse una, la posizionò tra le labbra e la accese dopo aver sfregato un fiammifero, genere di materiale che Sofia non credeva nemmeno esistesse più. Fece una tirata di gusto, reclinando lievemente la testa.

«Veramente non si potrebbe fumare dottore, anche se la finestra è aperta o, peggio, semi aperta, come in questo caso». 

Sembrava come fosse solo, come si fosse dimenticato di essere con una paziente. Continuava ad aspirare e inalare fumo, lo tratteneva qualche secondo in bocca, poi allontanava la sigaretta e lo soffiava fuori. Completamente assente.

«Dottore? Le sta cadendo la cenere in terra. Io che faccio, me ne vado?»

Al suo irritante mutismo, fece per alzarsi dando le spalle alla finestra, decisa a gustarsi la sua seconda vittoria, quando sentì un boato fracassarle le orecchie. Il pugno del dottore dato sul tavolo le arrivò diretto allo stomaco. Poi la sua voce come un sibilo di serpe perforante.

«Forse lei non ha capito, Sofia. Io fumo quello che mi pare e dove mi pare, faccio cadere tutta la cenere e i mozziconi che voglio e soprattutto le domande le faccio io, come ho già detto a suo fratello e, soprattutto, lei non va da nessuna parte. Si risieda immediatamente».

Ubbidì ammutolita.

«Ho letto, di-ce-vo, che lei si occupa di astrofisica».

«Non è corretto dire che mi occupo, sono solo appassionata di…»

«Quindi lei ha delle passioni?»

«Chi non ne ha?»

«Glielo dico per la seconda volta, le domande qui le faccio io».

«Altrimenti?»

Non fece in tempo ad accorgersene che si ritrovò appiccicata al muro sollevata venti centimetri da terra con le dita del dottore che le serravano la giugulare.

«Altrimenti continuiamo la seduta così, faccia lei».

La lasciò cadere di scatto rovinando il sedere di Sofia a terra che si portò le mani alla gola tossendo anche l’anima.

«Lei è uno psicopatico, chiamo la polizia».

«Curioso, perché è quello che qui si dice di lei, invece. Per l’esattezza: disturbo neurobiologico cognitivo e comportamentale associato a una disfunzione a livello cerebrale con delirio di potere e trait schizofrenico.Me ne vuole parlare,Sofia, oppure vuole prima chiamare tutto l’esercito?»

Il dottore dimenava in aria i fogli minacciosi. Sofia non si oppose e, superba, lo assecondò.

«Lei ha letto quello che ha scritto mio fratello».

«No, io ho letto quello che ha relazionato un collega. Uno psichiatra il cui parere non vi andava a genio, evidentemente, se ora è seduta qui davanti a me. Si alzi da lì in terra, piuttosto, e torni qui».

«Sì, certo, uno psichiatra pagato da mio fratello per scrivere quelle cose. Che poi ha pagato anche lei, le ricordo».

«A me ha pagato la parcella e le cose sono tutta la sua storia clinica, il suo quadro anamnestico e quindi la diagnosi finale».

«Falsi».

«Allora perché è qui?»

«Mi ci ha portato mio fratello».

«Poteva non venire».

«L’ho accontentato, come sto facendo con lei».

«Che rapporto ha con lui?»

«Pessimo».

«Che rapporto da piccoli?»

«Giocavamo».

«A cosa?»

«Ai supereroi».

«Torniamo alla sua passione per l’astrofisica».

«Mi piace studiare le dinamiche che regolano la nascita delle stelle».

«Da quanto tempo?»

«Da molto».

«Cosa sono le stelle?»

«L’opposto dei sogni».

«In che modo?»

«Le stelle sono una lampadina nel buio, i sogni sono le tenebre del sonno. Le stelle cedono il passo al sole, i sogni interrompono la notte. Le stelle sono intrise di verità, i sogni di bugie. Le stelle sono masse piene, i sogni dei gusci vuoti. Le stelle non tradiscono mai, i sogni sì».

«E questa è astrofisica? Questa è scienza?»

«È molto di più».

«Lei è mai stata tradita, Sofia?»

«Sì».

«E ha capito cosa?»

«Ho capito che dietro la mente, anche la migliore, la più comprensiva e altruista, si cela il senso turbolento del possesso camuffato da affetto o amore che sia».

«La mente di un uomo? Il tradimento di questi?»

«Di Diego».

«Cosa vuole da lei Diego?»

«La mia vita».

«Lui il cattivo, lei il buono, nei vostri giochi da bambini?»

«Forse».

«Come può ottenere la sua vita?»

«Con quei documenti falsi».

«Lei è pazza, Sofia?»

«No».

«E cos’è allora?»

«Sono un fotone gamma assorbito nello spazio, una particella di luce persa nel tempo, una donna qualsiasi che aspetta di misurare e raccogliere la luce delle stelle, come un vero astrofisico, per poter toccare e illuminare finalmente i suoi sogni».

«Qui la volevo Sofia, esattamente qui».

«Qui dove?»

«Aggiungerei una postilla al suo quadro clinico: disturbi della memoria. Le cure sono varie: omeopatia, medicina cinese, farmaci tradizionali. La mia la conosce, Sofia. Un tantino invasiva. E non vorrei rimetterla in atto. Le ricordo che le domande qui le faccio io».

Alzò la cornetta.

«Pronto, signorina, faccia entrare il fratello della signora. Lei può andare, grazie».

«Sì, il signore è qui, a domani allora, io vado».

«Dottore, eccomi, ha già concluso? Molto meno di un’ora direi. Allora cosa mi dice? È il caso che restiamo soli forse. Sofia cara, aspettami fuori».

«Le domande le faccio io. No, Sofia resta qui. Non ho finito con sua sorella, lei vada pure, definitivamente».

«Ma dottore…»

«La faccio avvisare più tardi. Arrivederci».

Sofia vide Diego azzardare nella sua mente un infruttuoso tentativo di replica, che morì prima di nascere. Bloccato in ogni azione e pensiero, trafisse con occhi di lama d’acciaio il dottore dal quale  non uscì sangue ma solo un accenno di saluto velenoso. Non rivolse sguardo a sua sorella e lasciò di nuovo la stanza più stizzito di prima. La terza vittoria.

«Allora, Sofia, siamo soli».

«Lo eravamo anche prima».

«No, prima c’era suo fratello qui fuori e la mia segretaria».

«Un po’ troppo piccolo il suo studio».

«Ma più accogliente».

«Nemmeno una pianta».

«Vanno curate e io curo solo persone. Ora chiuderò la finestra e spegnerò la luce e lei mi dirà cosa vede o cosa percepisce».

«Vedrò il buio».

«Il cielo notturno è buio ma pieno di stelle».

«Mi sta provocando».

«Forse».

«Mi spaventa così».

«Mi è sembrata molto determinata per tutta la sessione, Sofia, direi piuttosto provocatoria, irriverente, sfrontata, di cosa ha paura ora?»

«Di lei».

«Di me? Io sono qui per curarla».

«Io non sono pazza».

«Lo so».

«Che significa che lo sa?»

«Sofia… ennesima domanda. Ma quella giusta stavolta. Lo so perché è il mio lavoro discernere le menti umane. La sua è piacevolmente scomposta. Ha commesso un solo errore, Sofia. Lei dice di essere una donna che aspetta di misurare e raccogliere la luce delle stelle per poter toccare e illuminare finalmente i suoi sogni. Come vede, stelle e sogni coincidono dunque e non sono l’opposto. E una donna così non è pazza, ma fa solo finta. E messa sotto pressione si dimentica il filo del discorso prefissato e si lascia andare ai sentimenti. Lei è una banalissima sognatrice. La facevo più scaltra».

«E bravo dottore».

«E non credo sia d’accordo con quel poveraccio di suo fratello che mi pare succube dei suoi malefici. Mi dica solo perché, Sofia».

«La consideri una nemesi, dottore. Un atto di giustizia compensativa e punitrice. Lei ora mi rilascia un pezzo di carta dove dice che sono guarita oppure passo alla denuncia per tentato omicidio, prima per poco non mi strangolava».

«Non posso dichiarare che è guarita con una sola seduta, anche volendo».

«Si inventi qualcosa per non vedermi più».

«Non è stato suo fratello a voler cambiare parere di un medico, vero? Il mio collega ha solo fatto il suo dovere ma con lui non è riuscito il suo gioco perverso. Come ha convinto suo fratello a venire da me?»

«Sapevo dei suoi metodi poco ortodossi verso i pazienti, ciò di cui avevo bisogno per ricattarla. Diego in realtà mi aveva già fatto il suo nome, convincerlo non è stato difficile».

«Lei è pazza».

«Si decida dottore. Lo sono o non lo sono?»

E scoppiò in una risata malvagia, irrefrenabile, lacerante da rabbrividire. Non riusciva a smettere Sofia. Continuava a ridere. E a ridere e a ridere. Chissà da quanto tempo stava ridendo. Tanto quanto basta da non accorgersi che il medico era uscito dalla stanza già da un po’. Da non accorgersi della bombola. Da non accorgersi che la stanza era satura di gas esilarante inodore e incolore. Da non accorgersi che il suo ossigeno non si legava più con l’emoglobina. Né le stelle, né i sogni potevano nulla contro il protossido di azoto che poteva riempire in breve una stanza di piccole dimensioni. Sentiva Sofia il riso tramutarsi in tosse convulsa, poi in asfissia. La vista iniziò ad annebbiarsi. Nello stordimento le parve di scorgere una figura. Un giullare con la faccia bianca. Labbra scarlatte. Denti enormi. Un gigantesco smisurato sorriso inquietante, da squilibrato. Capelli verdi. Naso aquilino. Un vestito viola scuro. Occhi spiritati. Un personaggio dei fumetti che conosceva ma non ricordava quale. Poi una voce.

«È tranquilla, Sofia? Non ha ancora risposto alla mia prima domanda. Dalla smorfia spasmodica sul suo volto direi di no. La vuole la mia diagnosi? Lei è affossata dalle paranoie dell’argomentare sempre sulla difensiva. È quello che ha fatto per tutta la visita. Dovrebbe imparare ad ascoltare di più. Io ho trascorso un terzo della mia vita sui libri per sanare e quindi plasmare le menti lontane dalla verità. In ogni paziente metto anima e sangue per liberarlo dai suoi demoni. Nessuno riconoscente. Nessuno devoto. Come invece dovrebbe. Lei una fra tanti»

«Dottore… si è mascherato…»

«Come un fesso truccato da fenomeno vivente».

«Mi sta… uccidendo…»

«Non uccido la gente a caso. Uccido la gente quando è divertente».

«Muoio…»

«Nessuno esce vivo dalla vita».

«È… un folle…»

«La follia è l’uscita di sicurezza. Permette di farsi da parte e di richiudere la porta su tutte quelle cose terribili che sono successe. Di richiuderle per sempre».

«Cosa… sta facendo…»

«Io faccio arte fino a che qualcuno muore. Sono il primo artista dell’omicidio».

«Ora ricordo…Joker…sono le parole di…Joker…»

«Sofia, lei mi sorprende. Nei vostri giochi da mocciosi, Batman doveva essere suo fratello. Ma ora mi scusi, devo andare, è troppo tardi, tornerò tra poco a ripulire tutto con meticolosa cura e cautela. La mia esposizione prolungata agli acidi, la continua assuefazione a ogni tipo di sostanza non mi garantisce una immunità ai veleni ma solo una resistenza più duratura. Converrà con me che l’arma principale di Joker non è il gas ma la sua mente geniale e manipolatrice. Io sono solo un umile allievo. La saluto».

Il dottore lasciò rapidamente la stanza, se solo avesse aspettato pochi attimi avrebbe ascoltato il gemito di Sofia recitare le parole di Joker io credo semplicemente che quello che non ti uccide ti rende più strano e allora avrebbe capito… poi Sofia cadde nel buio più buio del buio.

«Cara, come stai? Mi senti? Sofia?»

«Diego…»

«Non dire niente, ora. È passato tutto. Hanno arrestato quel pazzo in tempo. Sono tornato subito indietro come mi avevi chiesto ieri sera, ho mantenuto la promessa e ti ho trovata a terra svenuta. Appena in tempo. Sapevi che era un balordo e non mi hai detto nulla. Hai rischiato tanto. Dai, parleremo meglio più tardi, riposa ancora un po’, sei troppo debilitata. Vedrai che troveremo un medico vero che ti guarirà».

Un medico vero che ti guarirà, troppo stanca per rispondergli, socchiuse gli occhi sogghignando alle parole di lui, povero scemo, godendosi l’imminente arrivo del sonno. Distratta da quel ridicolo pensiero, non sentì la mano fastidiosa di suo fratello che la carezzava, non vide quel sadico sorriso isterico né quella malvagia aria divertita disegnati sul viso di lui. Sofia si addormentò, o almeno questo credette di fare, ignara della necessità di imparare a conoscere a fondo il proprio nemico nascosto dietro l’inconsistenza di quelle stelle che avevano compiuto un imprevisto destino. Lo sapeva invece bene Diego. Questa città merita un criminale di maggior classe e io sono pronto a darglielo, sussurrò e lasciò cadere una carta da gioco che scivolò indisturbata accanto al corpo esanime di sua sorella in attesa del risveglio. Un solo marchio. Un solo simbolo. Un inequivocabile jolly. Se te ne devi andare, va con un sorriso. Eseguì gli ordini del principe pagliaccio del crimine e scoppiò in una macabra risata tonante e cattiva che risuonò grottesca nell’aria, ovattata solo dal quel sapore acre della fine. Si dà il caso che io sia un pazzo, non uno stupido! E così dicendo lasciò Sofia confezionandola in una lucida e plateale follia intrecciata di perfidia e inganni.

 

Elisabette Bordieri ha pubblicato anche un altro racconto: Laggiù non è poi così lontano. https://wp.me/p8sOeY-1Ji

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11 Commenti

  1. Maurizio

    24 Dicembre 2018 a 12:48

    Un altra perla si aggiunge alla tua collana letteraria, impreziosita da gemme che vengono da lontano, come questi riferimenti ai “vilains”mmortali della DC Comics. Ti rinnovi a ogni storia, e riesci sempre a sorprendere! Brava, davvero!

    rispondere

  2. Connubio170904

    22 Dicembre 2018 a 8:48

    Stelle, realtà materiali del passato che brillano di luce propria.
    Sogni, la realtà dell’intelletto.
    Stelle e sogni, realtà così distanti, eppure così vicine, nella mente di chi aspetta di poter misurare e cogliere la luce delle stelle per materializzare i sogni e dare un senso alla vita.
    Quando la follia prende il sopravvento, stelle e sogni diventano irreali e generano illusioni.
    Elisabetta, un altro racconto bellissimo da leggere e rileggere, sei davvero brava.

    rispondere

  3. Paola

    22 Dicembre 2018 a 8:31

    Mamma mia…..avrei voluto che continuasse per “vedere” come si evolveva la situazione e se alla fine non è lei che delira nei suoi voli stellari. Brava

    rispondere

  4. Fargo

    22 Dicembre 2018 a 7:59

    Ehi, ma fossi un bel genio del male… Stai certa che non mi farò mai accompagnare dal medico da te! Molto bello. E, sarà pe il Joker, molto cinematografico.

    rispondere

  5. Elisabetta Bordieri

    22 Dicembre 2018 a 7:40

    Grazie a ognuno di voi

    rispondere

  6. Bugia

    21 Dicembre 2018 a 19:27

    Una successione di colpi di scena e di stravolgimenti della razionalità appena composta che pare non finire mai…. Ma finisce davvero così, o dopo due righe ritorna sulla scena il medico pazzo??

    rispondere

  7. Andrea

    21 Dicembre 2018 a 9:19

    Ciao bella bionda,
    che fantasia, sarà un po’ pazzia? E’ la crudeltà a volte stramba della vita.
    Dovresti dedicarti a un bel romanzo. Ne hai la capacità e la fantasia giuste per riuscire.
    Un abbraccio stretto

    rispondere

  8. Daniela

    20 Dicembre 2018 a 21:18

    Una metafora costruita attraverso un thriller che racconta quelle gabbie vere o immaginarie che a volte oscurano la vita… Ma quanto sei brava!

    rispondere

  9. Fabiano

    20 Dicembre 2018 a 20:35

    “Why So Serious?”

    rispondere

  10. ilaria

    20 Dicembre 2018 a 18:35

    crudele e machiavellico…. tecnicamente perfetto per far venire la pelle d’oca.

    rispondere

  11. tomlostriato

    20 Dicembre 2018 a 18:13

    Disarmante, veloce, coinvolgente,inaspettato!
    Buon Natale ??

    rispondere

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