Tra l’illusione del potere mediatico e la geometria della realtà, l’Iran resiste mentre il mondo preferisce non vedere.

IRAN, I LUPI CHE ULULANO ALLA LUNA

Il Simplicissimus

Se vivessimo in un universo a due dimensioni, ci illuderemmo che il mondo sia piatto e ordinato. Allo stesso modo, la narrazione occidentale semplifica il conflitto tra Israele e Iran in una comoda bidimensionalità che cancella la storia, le contraddizioni e le responsabilità. Dopo la cosiddetta guerra dei dodici giorni, si fa strada l’idea che Teheran sia più resiliente di Tel Aviv, nonostante l’appoggio massiccio dell’Occidente a Israele, che nel frattempo porta avanti un genocidio a Gaza ignorato da chi si affretta a invocare cambi di regime a Teheran in nome della libertà. Ma dietro le tensioni di oggi si muovono ombre antiche, dagli interessi petroliferi ai delitti politici, che hanno plasmato il rapporto tra Persia e potenze occidentali. Questa storia, che continua a ululare alla luna come un branco di lupi inascoltati, ci riguarda più di quanto vogliamo ammettere. (Fonte Redazionale)


Se fossimo esseri a due dimensioni non riusciremmo nemmeno a concepire l’esistenza di una terza dimensione e la terra ci apparirebbe come un piano infinito con alcune ricorrenze topologiche sulla cui base potremmo anche teorizzare l’esistenza di altre possibili grandezze. Del resto noi che viviamo in uno spazio fatto di lunghezza, altezza e larghezza ipotizziamo l’esistenza dello spazio – tempo, ma senza la possibilità di percepirlo. Ciò che non può essere fatto sul piano, diciamo così fisico, può invece essere realizzato sul piano culturale: si possono aggiungere o togliere dimensioni a piacimento. E siccome ogni grandezza aumenta la complessità, si preferisce vivere in un universo piatto, dove l’altezza e il tempo vengono cancellati a forza.

Ora, dopo quella che viene chiamata la guerra dei 12 giorni fra Israele e l’Iran, si fa strada con la lentezza e la sinuosità di un verme, l’idea che Teheran sia più forte di Tel Aviv e che anche i massicci aiuti degli Usa e dell’Occidente complessivo, non siano riusciti ad elidere questa differenza, dico nella realtà, non nella fantasia mediatica. A questo punto però sorge un bel problema: Israele sta effettuando un vero e proprio genocidio a Gaza, le cui dimensioni sono senz’altro assai superiori alle cifre ufficiali. Dunque, come si fa a stare con Israele? Ed ecco la triangolazione bidimensionale che sorge spontanea dalla sinistra da ridere: l’Iran è uno stato teocratico, le donne portano l’hijab e dunque bisogna arrivare a un cambio di regime. Le due cose non hanno alcuna relazione fra di loro e non sono paragonabili, ma rispondono alla strategia occidentale che fin dal ’79 cerca di rovesciare i governi di Teheran che, al contrario di quelli di un intero secolo precedente, non sono filo britannici o filoamericani. Per qualcuno è giorno di paga.

Una pompa di benzina Sinclair degli anni ’30
Scandalo dei petroli (1924)

Detto per inciso, la questione persiana e dei governi filoccidentali succhiapetrolio riguarda da vicino anche la nostra storia: una nota tesi fa risalire il delitto Matteotti alla necessità di impedire che egli rivelasse a tutto il Paese l’opera di corruzione esercitata dalla statunitense Sinclair Oil su Mussolini e sui principali gerarchi. Questa Sinclair operava principalmente in Persia, come braccio della più potente Standard Oil dei Rockefeller dietro cui c’era tutta Wall Street. L’esile storiografia italiana fatica a seguire questa tesi perché più interessata al mero scontro ideologico che tuttavia risulta forzato: perché uccidere, dopo le elezioni, il capo del Psu che aveva preso il 5,9% dei voti? E poi quale scontro ideologico migliore tra un socialista e i percettori di tangenti da parte delle centrali del capitalismo?

Simbolismo massonico sul dollaro americano. Retro della banconota da un dollaro statunitense col motto Novus Ordo Seclorum

Vabbè, chiusa parentesi. Cosa non funziona nella tesi dello stato teocratico? Beh, il fatto innanzitutto che anche Israele lo è, proprio in senso istituzionale e per qualche verso anche più dell’Iran. Però se lo dici non arrivano lo stipendio o la carriera o la visibilità o le laute buste di presenza nei talk show. Ma poi siamo così sicuri di non essere anche noi in fondo degli stati teocratici? Apparentemente tutto l’Occidente si ritiene laico, ma poi si va a prendere qualsiasi taglio di banconota in dollari, ovvero la divisa fondamentale, per leggere sul retro “in god we trust”. Che relazione ha un titolo di scambio con un qualche Dio? E che senso può avere dichiarare di confidare in Dio sui biglietti di banca? Forse esso si rivela attraverso il denaro? Per Lutero più ne hai e più sei vicino al signore di tutte le cose. Insomma tutto sta a capire di che dio si parla. Spinoza avrebbe detto Deus sive dollarium.

Il problema in tutto questo è che le azioni israeliane e americane non hanno affatto avvicinato l’obiettivo di un cambio di regime: si è pensato di esserci andati vicino con l’assassinio di Ebrahim Raisi e la fortunosa elezione a presidente di Massud Pezeshkian, ma in realtà il consenso popolare al regime è molto più ampio di quanto non dicano ormai da quasi 50 anni i reportage di routine. Inoltre gli omicidi mirati di Israele all’inizio del conflitto hanno permesso di scoprire molte reti di spionaggio messe in piedi nel tempo e le quinte colonne approntate fin dai tempi dello Scià. Abbiamo assistito a una scaramuccia in cui è andato in fumo il residuo di credibilità occidentale e dei suoi strumenti, tipo l’Aiea, e più che mai i lupi sono costretti a ululare alla luna. A cottimo naturalmente.

Redazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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