Tel Aviv colpisce, Washington spalleggia, e i civili pagano il prezzo: dietro l’attacco all’Iran si cela una strategia narrativa e geopolitica che punta a ben altri obiettivi
ISRAELE E USA ALL’ATTACCO DELL’IRAN
Il Simplicissimus
L’attacco israeliano contro l’Iran, descritto dai media come un’azione mirata al programma nucleare di Teheran, rivela in realtà una strategia ben più complessa e ambigua. I missili hanno colpito prevalentemente aree residenziali, sollevando interrogativi sull’effettivo obiettivo dell’operazione. Dietro l’apparente fallimento tattico si intravedono due finalità principali: alimentare una narrativa di vittimismo utile a distrarre l’opinione pubblica internazionale dal massacro in corso a Gaza e provocare una reazione iraniana che giustifichi l’intervento diretto degli Stati Uniti. In questo contesto, la guerra delle immagini e delle parole si rivela potente quanto — se non più — delle bombe stesse. L’articolo smonta la narrazione dominante, mette in luce il ruolo dei media occidentali e analizza la continuità di un modello comunicativo già visto nel conflitto in Ucraina. Un pezzo che non fa sconti, scritto per chi vuole guardare oltre la superficie delle versioni ufficiali. (Nota Redazionale)
Come vedete dalla foto di apertura si direbbe che il programma nucleare iraniano venga svolto dentro comuni condomini, visto che l’attacco israeliano contro ha colpito soprattutto palazzi di civile abitazione e solo marginalmente il sito nucleare di Natanz, un’assuefazione alle stragi di civili che Tel Aviv condivide con i suoi servi – padroni. Questo tenendo conto del fatto che i missili colpiti dalla contraerea si frammentano in mille pezzi che colpiscono in ogni dove e dunque allo stato attuale delle cose è impossibile dire quanti missili siano stati lanciati e quanti sono stati distrutti. Sono anche morti alcuni scienziati, ma non dei più importanti e in ogni caso la realizzazione di bombe nucleari è ormai una tecnica ampiamente conosciuta, ciò che conta sono gli impianti. Come abbiamo appreso dalle precedenti salve missilistiche tra Iran e Israele, Tel Aviv non è in grado di colpire significativamente i siti che contano e si limita a sparacchiare dove può, spalleggiata dai media occidentali che amplificano regolarmente i danni del nemico e minimizzano le perdite degli amici: la guerra in Ucraina è un mirabile esempio di questo modus operandi. Del resto, i danni reali non sono affatto importanti perché gli scopi dell’azione sono solo due, una di ordine narrativo, per così dire, e uno bellico. Il primo consiste nell’attirare su di sé la vendetta dell’Iran e cominciare a lamentarsi della povera Israele colpita dai suoi nemici proprio in un momento in cui l’opinione pubblica mondiale sta diventando più apertamente ostile alla pulizia etnica nella striscia di Gaza. La seconda è quella sempiterna di attirare gli Stati Uniti in una guerra con l’Iran, sperando così di abbattere l’avversario della Grande Israele.
E questa volta hanno probabilità di riuscirci, visto che Washington ha ordinato l’evacuazione del personale non essenziale dalla base aerea statunitense di Al Udeid in Qatar. È in corso, inoltre, il ritiro del delle famiglie dei militari dai Kuwait e dalle altre località del Medio Oriente. Certo questo potrebbe essere uno strumento di pressione su Teheran e ottenere che l’Iran cessi del tutto l’arricchimento dell’uranio, come pretendono gli americani e un’amministrazione che Tel Aviv tiene per le palle. Ma sinceramente non credo che una qualunque amministrazione americana sia in grado di gestire una situazione del genere senza il pericolo di una esplosione generale. Del resto, il fatto che Trump neghi qualsiasi partecipazione a questa azione (ma lo aveva fatto con gli attacchi alla triade nucleare russa) sa di menzogna anche a distanza astronomica: agli esperti pare evidente che via stato un sostengo quanto meno logistico all’azione israeliana sia per il rifornimento degli aerei in volo e l’assistenza satellitare. Basta balle.
Perciò dovremo probabilmente a Putin e XI che certamente stanno consigliando Teheran di limitare la propria vendetta ai soli siti militari, se questa miccia accesa da Tel Aviv non farà esplodere tutta la santabarbara di un pianeta devastato dai conflitti interni ed esterni dell’impero. Tuttavia, siamo dentro una trappola logica: Teheran non può restarsene con le mani in mano, deve reagire e anche vigorosamente, altrimenti il suo comportamento sarà interpretato come debolezza con il risultato di accrescere la tensione e gli attacchi stessi. D’altro canto, se l’Iran in conformità con il diritto internazionale, replicherà, l’intero mainstream occidentale esploderà in indignazione, sostenendo che Teheran ha attaccato Israele e che Israele deve essere difeso dall’aggressione iraniana a tutti i costi. Potete scommettere che questa narrazione è già pronta e in attesa di essere tirata fuori dai cassetti. Allora niente più manifestazioni per Gaza, niente più sfacciati sionisti che parlano in piazza, niente più ex tenutari di bocciofile col berrettino della vergogna in testa. Ma Netanyahu è riuscito anche a giocare Trump: trascinandolo sia pure in modo non ancora ben visibile in una guerra che gli americani non vogliono, che sarà comunque difficile, dagli esiti imprevedibili e che per prima cosa metterà in crisi il reperimento delle risorse energetiche: il che significa che ne sta mettendo a forte rischio la presidenza. Riuscirà a capirlo? Mah, si è circondato di fessi e guerrafondai mentre la pressione dello stato profondo è diventata enorme. La vedo dura.
