Ad un anno dell’attacco di Hamas ad Israele

ISRAELE UN ANNO DOPO
Ad un anno dell’attacco di Hamas ad Israele. Alla strage di israeliani, più che altro ragazzi che stavano partecipando ad un rave party, e un certo numero di residenti nei kibbutz di confine con Gaza.
Le commemorazioni, in Israele e in (quasi) tutti i paesi dell’Europa occidentale sono, ovviamente, di prammatica. Per altro dovute e doverose. E tuttavia non risolvono la questione, che resta ardua e spinosa.
La questione, intendo, di come risolvere la tensione (e si tratta, ovviamente, di mero eufemismo) che esiste tra Israele e non solo i palestinesi, ma tutto il mondo arabo circostante. Di cui i fatti di Gaza e il perdurante conflitto in Cisgiordania non sono che una, pericolosissima, spia rivelatrice.
Perché il problema sta proprio in questo. Nel fatto che Israele, così com’è, non viene accettata dal, vasto, mondo arabo che la circonda. E non per una, degenere, forma di antisemitismo, come vorrebbe certa propaganda, soprattutto di ambienti prossimi a Netanyahu e al suo governo. Che è, poi, una “spiegazione” assolutamente assurda, stupidamente propagandistica, visto che gli arabi sono semiti, di lingua e di cultura. Esattamente come dovrebbero esserlo gli ebrei.
E qui, però, il condizionale è d’obbligo. Perché Israele, al di là dell’adozione ufficiale della lingua ebraica, non presenta in maggioranza alcun carattere medio orientale. Nulla, proprio nulla che la faccia sentire come “affine” al limitrofo, circostante e numericamente soverchiante, mondo arabo.
Ovvio, visto che gli israeliani sono in stragrande maggioranza di origine centro europea. Oltre l’80%. E che, soprattutto, hanno stili e modi di vita prettamente occidentali. Nulla, proprio nulla in comune con gli arabi che li circondano. Venendo così avvertiti come un, sostanziale, corpo estraneo. Una intromissione dell’Occidente, più esattamente dell’America in senso lato, nel corpo del Medio Oriente.

La storia, per quello che può valere come maestra, ci mostra con chiarezza una cosa. Che mai gli ebrei da sempre residenti in Medio Oriente e Palestina erano stati sentiti come alieni dal mondo medio orientale. Diversi per fede, certo, ed anche per alcuni usi. Ma, sostanzialmente, affini. Partecipi della stessa cultura di fondo. Questo non evita, certo, tensioni. Ma erano tensioni tra affini. In buona sostanza, questioni interne.
Ma gli israeliani sono tutt’altra cosa. Per gli arabi rappresentano la volontà coloniale del mondo occidentale nei loro confronti. Sono, in sostanza, una estensione, se vogliamo il tallone pressante di un Occidente sfruttatore ed alieno.
Ora, la realtà di Israele è, certo, molto più complessa. Ed anche diversa. Ma resta il fatto che così viene percepita per lo più dal mondo arabo circostante.
E continuare a propagandare, fare cassa da risonanza alla fola del razzismo antisemita (Sic!) degli arabi non serve. Anzi, rende più difficile comprendere la situazione. E, di conseguenza, cercare una soluzione positiva.
Che, certo, non è cosa facile. E, sinceramente, mi sarebbe arduo ipotizzarne i tratti.
Tuttavia di una cosa sono certo. Un conflitto senza limiti, una guerra volta a neutralizzare le forze arabe in campo, come quella che sta portando avanti l’attuale governo di Tel Aviv, potrà avere anche, nell’immediato dei risultati positivi.
Tuttavia nel tempo è una soluzione sbagliata. E foriera di disastri. Prima di tutto proprio per Israele.
