”Austriacanti in ritardo di 100 anni e accordi Svp governo giallo rosso? Una provincia appartenente, sino a prova contraria allo Stato chiamato Repubblica italiana, ha deciso di cambiare nome: l’Alto Adige non si chiamerà più così.
L’ ALTO ADIGE È ANCORA ITALIA?
In Italia la situazione è grave, ma non seria. Una provincia, appartenente, sino a prova contraria, allo Stato chiamato Repubblica italiana, ha deciso di cambiare nome. L’Alto Adige, in base al disegno
di legge provinciale n. 30/19, non si chiamerà più così. Resta la denominazione storica in lingua tedesca, Suedtirol, e, bontà loro, i simpatici cittadini italiani di lingua tedesca manterranno la dizione “provincia di Bolzano” nella nostra lingua.
Personalmente, ne ho abbastanza. Dopo la mia Liguria, l’Alto Adige è la terra che amo di più. La frequento sin da adolescente, conosco ognuna delle sue valli, credo di averne visitato tutti i 115 comuni. Ricordo l’emozione vivissima della prima volta che vidi l’Alpe di Siusi, in una radiosa mattina di primavera. Mi commuovo fino alle lacrime davanti alle maestose cime della Val Gardena; sento ogni volta una scossa spirituale davanti all’austera abbazia di Novacella, tra i vigneti e i frutteti dell’Isarco, quasi all’ingresso della splendida val Pusteria. Rispetto profondamente, anzi ammiro, l’amore dei tirolesi per la loro piccola patria (heimat), la difesa intransigente dell’identità, della lingua tedesca, dell’eredità storica. Una parte della mia
famiglia materna era di origine austriaca: non ho altro che affetto per l’Alto Adige e la sua gente. Adesso, tuttavia, basta.
La politica di denazionalizzazione perseguita dal fascismo fu un errore, ma durò meno di vent’anni. Da oltre settanta l’Alto Adige è un pezzo di Italia in cui si rispetta la cultura maggioritaria della popolazione. Non abbiamo bisogno di revanscismo, di mettere i cittadini l’uno contro l’altro, suscitare problemi superati nella coscienza dei più, ancor meno di negare storia e verità. In attesa che il governo italiano impugni, per elementare dovere di dignità, l’incredibile norma bolzanina, come ha fatto capire il ministro Boccia, facciamo paziente opera di conoscenza e verità a beneficio degli immemori, larga maggioranza in Italia, specie sui temi storici e “nazionali”. Il presidente della provincia autonoma Kompatscher, o Landeshauptmann, afferma che l’Italia ufficiale non impugnerà la legge locale; chissà che non abbia fatto parte della negoziazione riservata per il voto favorevole del suo partito, la SVP, partito popolare sudtirolese, al governo giallo rosso.
È vergognosa l’astensione di cinque consiglieri provinciali appartenenti a partiti “italiani”, compresa la Lega, la quale, evidentemente deve compiere ancora molto cammino per assumere sentimenti nazionali, voto in spregio al decoro nazionale e alla Costituzione, il cui articolo 116, riformulato a seguito di un’improvvida modifica “federale”, designa il territorio come Alto Adige/Suedtirol. Punto e a capo. Peraltro, l’indicazione del nome tedesco è una forma di privilegio non giustificato, condiviso con un’altra regione di confine, la Valle d’Aosta ribattezzata anche Vallée d’Aoste, nonostante la lingua francese non sia utilizzata dagli abitanti, italiani di sentimenti da secoli.
La nostra indifferenza per i temi identitari consente spese ingenti per finanziare un apparato di scuole pubbliche, pubblicazioni ed entità varie di lingua slovena in Friuli Venezia Giulia, nonostante l’esiguità numerica della minoranza. Significativamente, gli sloveni italiani non vogliono essere contati in sede di censimento, il loro partito di raccolta, Slovensko Skupnost, ottiene percentuali risibili, ma ricordo la sorpresa con cui lessi, in un comune goriziano, il cartello stradale indicante la caserma dei carabinieri scritto al modo slavo: karabinjerji. Questa è l’Italia dopo settant’anni di predominio di forze politiche e culturali ostili alla nazione.
Il toponimo Alto Adige ha ormai un secolo di vita. È stato introdotto da Ettore Tolomei, storico e linguista roveretano, dopo l’assegnazione delle terre a sud del Brennero all’Italia a seguito della vittoria militare del 1918 e la conseguente dissoluzione dell’Impero Austro Ungarico. A rigore, anche Trentino è un nome recente. Le popolazioni di cultura italiana delle vallate a nord del Veneto, dopo la lunga stagione dei principi vescovi, diventarono sudditi dell’Impero, la parte meridionale del Tirolo storico. Di qui la denominazione Welschtirol, Tirolo straniero, italiano, per il territorio dell’attuale provincia di Trento.
Per molti secoli, le genti, italiane, tedesche e ladine di quella parte delle Alpi hanno convissuto senza confini politici. In particolare, con buona pace degli austriacanti in ritardo di cent’anni, nella vallata dell’Adige a sud di Bolzano (Bassa Atesina), dove tutti i censimenti imperiali anteriori al 1918 hanno attestato la presenza minoritaria di genti italiane sino a lambire il territorio municipale di Bolzano. Va rammentato che, dopo la grande guerra, il consiglio comunale di Salorno, il paese più meridionale della valle, non si dichiarò contrario al passaggio all’Italia. Era a maggioranza linguistica italiana allora, lo è oggi e basta osservare i villaggi vicini sulle due sponde atesine, Salorno e il trentino Roverè della Luna, per capire che non vi fu mai né confine, né estraneità.
L’attuale Alto Adige è il frutto degli accordi tra il primo ministro italiano, Degasperi, trentino, e quello austriaco, Gruber. Fu gradualmente realizzato il cosiddetto “pacchetto”, le misure a favore della popolazione tirolese di lingua tedesca, larghissima autonomia politico amministrativa, trasferimenti di risorse pubbliche, bilinguismo, scuole di ogni ordine e grado in lingua tedesca e venne stabilito il principio, assurdo, della cosiddetta proporzionale etnica nella pubblica amministrazione. Due terzi degli impiegati pubblici devono appartenere al gruppo tedesco, un terzo a quello italiano, un singolare apartheid linguistico in nome del quale un conoscente, cardiologo, trasferitosi in zona, non poté svolgere la professione negli ospedali pubblici altoatesini in quanto la quota “italiana” era completa. Il lettore giudichi se i medici i pubblici funzionari debbano essere reclutati in base alla lingua madre e non alle attitudini.
Il meccanismo è bene oliato: ai cittadini della provincia autonoma di Bolzano viene chiesto, in sede di censimento decennale, di dichiarare l’appartenenza al gruppo tedesco, a quello italiano o a quello ladino, presente nelle valli Badia e Gardena. Sulla base delle risposte, l’amministrazione organizza il sistema scolastico e avanza richieste allo Stato centrale. Da oltre trent’anni, la minoranza di lingua italiana retrocede in numero: colpa della natalità, più elevata nel gruppo tedesco, del progressivo ritiro delle truppe dalle zone di confine e dall’alleggerimento degli uffici, militari e civili, legati al controllo della frontiera.
Aumenta, nell’ostilità del potere locale, concentrato nelle mani della SVP, il numero di chi si rifiuta di dichiarare l’appartenenza linguistica, per motivi di principio e per il gran numero di famiglie mistilingui e bilingui. La minoranza italiana è il 30 per cento del mezzo milione di abitanti. Questi cittadini vivono sempre più da stranieri in patria, specie chi risiede nei piccoli comuni. Non tutti gli italiani, che pure frequentano in gran numero l’Alto Adige, sanno che la città di Bolzano, di centomila abitanti, è in gran parte di lingua italiana, circa il 75 per cento. Nella seconda città, Merano, lo è metà dei cittadini, nella quarta, Laives, popoloso centro a sud di Bolzano, oltre due terzi. Non è accettabile che tanti connazionali (concittadini sono tutti, anche il Landeshauptmann Herr Kompatscher) siano abbandonati dalla madrepatria e persino dai partiti cui danno il voto.
La verità è che la SVP, dominatrice per quasi settant’anni della politica con la maggioranza assoluta dei voti, da oltre un decennio è assediata da destra e da sinistra. Per un verso, si sono rafforzati i movimenti della destra filo austriaca, Freheitlichen e Suedtiroler Freiheit (il partito che ha avviato l’iniziativa volta a cancellare il toponimo Alto Adige), avversi ad accordi con i detestati italiani, dall’altro i partiti di sinistra e il M5S hanno accolto militanti, dirigenti ed elettori “tedeschi”, poco interessati ai temi identitari. Per la prima volta, alle elezioni locali, il partito della Stella Alpina ha perso la maggioranza assoluta e ha scelto il patto con la Lega – affine ideologicamente, poiché la SVP è un movimento conservatore – anziché con il PD, erede dei vecchi patti con la debole DC bolzanina.
È chiaro che Kompatscher cavalca temi identitari e amplifica sentimenti anti italiani esistenti sì, ma non diffusi quanto nel passato, per recuperare consensi a destra. Restiamo scandalizzati da quanti gridano a squarciagola “prima gli italiani”, ma non sentono l’obbligo di chiudere i rapporti con chi mortifica connazionali le cui famiglie sono in Alto Adige da un secolo – in Bassa Atesina da sempre – e vedono i loro diritti calpestati.
Non va dimenticata la stagione del terrorismo, che si protrasse per molti anni, con sostanziale acquiescenza austriaca e un tributo di sangue assai rilevante. Il nome di Cima Vallona(1) è sconosciuto ai giovani, ma in quella località del Comelico bellunese morirono diversi militari italiani di pattuglia il 25 giugno 1967. Il tribunale condannò all’ergastolo Norbert Burger, politico austriaco considerato l’ideologo del terrorismo sud tirolese, Peter Kienesberger, capo della cellula che eseguì materialmente l’attentato ed altri due membri del gruppo. Riparati in Austria, sono morti tranquillamente nel loro letto. A Kienesberger, ex ufficiale dell’esercito nazista, è dedicato un monumento ad Appiano, in cui lo si ringrazia per il contributo alla causa.
Appare ridicolo l’antifascismo professato dagli ispiratori odierni della legge toponomastica, tenuto conto che non pochi esponenti dell’irredentismo armato tirolese furono, in gioventù, volontari di guerra nell’esercito tedesco. Silvius Magnago – di padre roveretano – per lunghi anni capo indiscusso della SVP e presidente della provincia, fu ferito con la divisa tedesca sul fronte italiano. Magnago fu il capofila della battaglia che impedì la formazione della regione Trentino Alto Adige, in cui i germanofoni sarebbero stati minoranza. Al grido di Los von Trient, via da Trento, gemello dal vecchio Los von Roma, via da Roma, tradizionale slogan della Svp, Magnago ottenne concessioni di ogni tipo dai governi democristiani, che ebbero sempre i voti dei deputati e senatori sudtirolesi.
Oggi, l’IVA e le accise riscosse nella provincia autonoma entrano direttamente nelle casse provinciali, e un italiano di Ancona o Catanzaro può contare su fondi delle istituzioni territoriali enormemente inferiori a un meranese, con una serie di vantaggi e privilegi che hanno reso l’Alto Adige un modello, ma per merito del denaro di tutti gli italiani. Del resto, l’Austria non ha interesse alcuno a rivendicare la sovranità sull’Alto Adige, al di là di iniziative propagandistiche come quella del cancelliere Kurz, intesa a concedere il passaporto austriaco non a tutti gli altoatesini, ma solo a quelli di lingua tedesca. Gli stessi tirolesi, se con il cuore vorrebbero tornare austriaci, con il cervello e soprattutto il portafoglio, tengono ben stretta la carta d’identità italiana e i privilegi conseguiti anche spargendo il sangue dei nostri soldati.
Questa è la verità, tali i fatti, a cui potremmo aggiungere che nei paesi in cui vi sono scuole in entrambe le lingue – con provveditorati e strutture separate – spesso sono utilizzati edifici diversi. Un odioso apartheid infantile per creare sentimenti di estraneità che la vita quotidiana, per fortuna, smentisce. Mi trovavo a Bolzano in occasione della vittoria italiana al campionato mondiale di calcio del 2006. La festa fu grandissima, come in ogni città dello stivale. Il giorno dopo, il quotidiano Dolomiten titolò: gazzarra italiana a Bolzano e Merano, relegando la cronaca della finale nelle ultime pagine. A costoro abbiamo regalato denaro a pioggia, privilegi e offerto un grande affetto degli italiani per la loro terra. Questa è la moneta con cui ci ripagano, a cento anni dall’incorporazione territoriale, nell’Europa che dicono unita, diffondendo disprezzo per una parte considerevole dei loro stessi concittadini.
Chissà che non impongano per legge il cambio di denominazione al quotidiano locale in italiano, che, per rabbia e disdoro degli schutzen, i pittoreschi “difensori” tirolesi in pantaloni di cuoio e cappello piumato, si chiama Alto Adige. Un giornalaccio forse fascista. Magari lo chiameranno, per gentile concessione del landeshauptmann, La Provincia di Bolzano, in attesa di modificare il corso del fiume Adige, che, ahimè, scorre verso sud. Date loro un po’ di tempo: cambieranno anche la geografia e l’Adige, anzi die Etsch, andrà per legge oltre il Brennero.
Roberto Pecchioli
NOTE
(1) La strage di Cima Vallona fu un attentato terroristico perpetrato il 25 giugno 1967 contro una pattuglia di militari italiani che indagavano su un precedente attentato. In un processo a Firenze il cittadino austriaco Norbert Burger, presunto ideatore dell’attentato, ed i cittadini tedeschi Peter Kienesberger, Erhard Hartung e Egon Kufner, presunti esecutori, furono condannati in contumacia all’ergastolo. Dopo forti pressioni diplomatiche italiane anche l’Austria processò Kienesberger, Hartung e Kufner, che furono però assolti per mancanza di prove.
Fonte: Wikipedia.
vlad
28 Novembre 2019 a 17:09
Mi sembra giusto possano fare come vogliono. Come Regione a Statuto Speciale hanno un nome, cambiandolo diventano altra cosa. Bene. Gli si tolgano i benefici dello Statuto Speciale oramai non più coerente coi relativi Decreti legislativi della R.I..