No, non è un nuovo Vietnam
LA BELLA DEMOCRAZIA DELL’OCCIDENTE COLLETTIVO:
REPRESSIONE INTERNA E GUERRA FUORI
No, non è un nuovo Vietnam. Ma rischia di essere un nuovo ’68. La protesta dilaga nelle università statunitensi e il governo “democratico e progressista” ricorre a manganelli, pallottole di gomma, gas lacrimogeni (quelli che il medesimo governo ritiene illegittimi se utilizzati dai russi) e arresti di migliaia di giovani. Certo non una novità: la repressione è una prassi consolidata per i democratici tanto buoni e sempre dalla parte dei giusti.
Però qualche problema c’è. I manifestanti sono parte integrante della medesima sinistra yankee che contestano e che li reprime. Anche se la polizia sostiene che il 30% dei contestatori non è composto da iscritti alle università. Una percentuale che, miracolosamente, lievita ad oltre il 50% nei servizi televisivi delle emittenti italiane al servizio di Tel Aviv.
Comunque i manifestanti rappresentano la futura classe dirigente degli USA. Così come Washington ha dovuto fare i conti con la protesta universitaria degli Anni ’60 che ha formato la classe dirigente successiva.
E i giovani che protestano oggi contro la macelleria israeliana a Gaza, contro lo sterminio di oltre 35mila palestinesi e 15mila bambini.(1) non cedono neppure al ricatto morale e psicologico introdotto da Biden e dagli organi di informazione palesemente schierati con Israele. Anche in questo caso è la sinistra a dover fare i conti con le proprie menzogne. Perché le accuse di antisemitismo sono ridicole ed indecenti, dal momento che i palestinesi sono semiti esattamente come gli ebrei e come gli altri arabi. Inoltre, a protestare ci sono anche studenti e professori ebrei: difficile definirli “antisemiti”. Senza dimenticare che la sinistra in redazione afferma, da anni, che le razze non esistono e, dunque, diventa difficile fare dei distinguo sui semiti se i semiti, in quanto razza, non esistono.
Ma la coerenza non entra mai in quelle redazioni.
Ovviamente Trump gode per queste divisioni nel fronte opposto. Divisioni che, tuttavia, non spostano consensi verso il suo campo. È come per la cacciata di Lama dall’università di Roma: uno scontro interno alla sinistra che non aiutava la destra. In realtà negli Usa ci sarebbe Kennedy a poter approfittare della situazione per ragioni di proposta politica. L’erede della storica famiglia è schierato con Israele ma in cambio della creazione di uno stato palestinese. Ma nella sedicente democrazia statunitense le idee ed i programmi non contano assolutamente nulla. Contano i denari messi in campo dalle lobby; conta il controllo delle TV, dei giornali, dei social. Per questo il confronto resta limitato a Biden e Trump mentre gli indipendenti come Kennedy non hanno chances di emergere.
È la loro democrazia, bellezza, e tu non ci puoi fare niente. Per questo piace tanto ai maggiordomi europei che, tutt’al più, cambiano le regole elettorali per evitare che si affaccino nuovi personaggi portatori di idee nuove e non corrette politicamente. E il guerrafondaio Macron, che vuole la guerra contro Mosca in nome della libertà, è in prima linea per impedire le manifestazioni degli studenti universitari francesi contro i crimini di Netanyahu.
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