”Scrissi, or non è guari, un articoletto sulle presunte molestie riminesi…
LA COSCIENZA AD OROLOGERIA
DEI POLITICAMENTE CORRETTI
Scrissi, or non è guari, un articoletto sulle presunte molestie riminesi, perpetrate dai miei alpinacci in adunata: all’interno del medesimo, sottolineavo che fischiare a una ragazza, come se fosse un cocker spaniel, non sia precisamente indizio di buona educazione e rappresenti un brutto esempio di scarso rispetto della donna, da reprimere e censurare. Scrissi anche, però, che di lì a molestare, a termini di legge, intercorra una certa differenza.
Inopinatamente o, forse, opinatamente, conoscendo ipocrisia e malafede di una certa frangia del pensiero italico, le mie parole suscitarono un vespaio, montato ad arte, fino alla richiesta delle mie dimissioni da assessore alla cultura. Va da sé che l’unica risposta possibile fosse “fin de non recevoir”, ma il segnale è bello forte e bello chiaro: data la sconfitta, storica e politica, dei rivoluzionari da operetta e delle bassaridi da conventicola, la strada strategica da loro intrapresa è quella della “dizinformacija”: dell’aggressione dell’avversario per mezzo di proclami, insinuazioni, diffamazioni e tutto il vieto repertorio che, da Berja in qua, ha caratterizzato una certa idea di democrazia.
Lo stesso, per l’appunto, è accaduto, si parva licet, nei confronti del Corpo degli Alpini: si è voluta montare una polemica, infarcita delle solite accuse e del solito livore verso tutto ciò che rappresenti la Patria, i valori della gente perbene, la pulizia, l’onore eccetera eccetera. Polemica, va detto, tanto architettata nei penetrali rivoluzionari, quanto caduta nel nulla, giacché, di centinaia di segnalazioni, non rimangono che una sola denuncia e qualche esilarante dichiarazione da parte delle sedicenti molestate.
Il punto, però, non è né quello delle mie risibili richieste di dimissioni né della montatura creata a discredito dei fanti pennuti: il punto è che, quando le molestie avvengono davvero, e con contorni veramente inquietanti, le bassaridi e i rivoluzionari da operetta tacciono: da loro non arriva nemmeno un plissé. Mi riferisco allo sgradevole episodio verificatosi sul treno per Gardaland, con palpeggiamenti e inviti a scendere dalla vettura, in quanto italiani: naturalmente, fino all’accertamento dei fatti, sarebbe d’obbligo il condizionale, ma pare, comunque, acclarato che si sia trattato di una combo di quelle che dovrebbero fare saltare femministe e compagnucci dalla sedia. Molestie sessuali e razzismo: badalì!
I nostri dovrebbero sguazzarci: produrre infuocate denunce, trasudare indignazione da ogni poro, chiedere pene severissime e pubblica censura per i responsabili. Invece, nulla, neppure un criptorutto. Pare che, su quel treno, ci fossero dei signori appartenenti a una delle categorie immuni da qualsivoglia censura: di quei signori tanto cari a certa retorica vetero sessantottesca, che ci vorrebbe tutti colorati, nelle bandiere come nelle famiglie. Quando capita (e capita con una certa frequenza) che le molestie e, in qualche caso, le violenze, provengano dai nostri fratelli giunti qui dall’Africa, chissà perché, gli indignati in servizio permanente effettivo tacciono: fanno finta di nulla e rimettono la loro indignazione nella cassapanca, insieme alle bandiere, alle spranghe e a tutto il repertorio.
Intendiamoci: non è una novità. Da sempre fanno così: però, è bene ricordarlo agli smemorati e a chi non c’era. Questi hanno la coscienza a orologeria: invocano la legge, quando colpisce quelli che odiano. Quando, invece, dovrebbe colpire i loro protegés, va tutto bene, Madama la Marchesa. Ormai il giochino è talmente palese che, forse, non varrebbe neppure la pena di parlarne, ma questa faccenda delle dimissioni mi ha reso, come dire, un tantino più delicato. Dunque, anch’io invito questa gente a delle dimissioni: dimissioni dal consorzio civile.
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