La storia vera (e rimossa) della prima ginecologa documentata dell’antichità
LA CURA TRAVESTITA
Agnodice, la donna che sfidò Atene per guarire le donne
Redazione Inchiostronero
È il racconto storico e simbolico di una figura straordinaria, semidimenticata dalla memoria ufficiale: la prima ginecologa documentata nell’antichità. In un’Atene del IV secolo a.C. che vietava alle donne di studiare ed esercitare la medicina, Agnodice si travestì da uomo per poter accedere alla formazione e prendersi cura delle sue simili. Attraverso una narrazione documentata ma coinvolgente, il saggio ripercorre la sua vicenda: il travestimento, lo studio, la pratica clandestina, l’accusa, il processo e la sorprendente difesa collettiva da parte delle donne di Atene. Una storia che mette in luce non solo la ribellione individuale, ma anche la forza trasformativa della solidarietà femminile. Il saggio si interroga anche sul perché Agnodice sia stata dimenticata: troppo pericolosa, troppo autonoma, troppo simbolicamente potente per essere accolta nella narrazione dominante. Eppure la sua eco resiste. Oggi, restituirle spazio significa riconoscere la lunga genealogia di donne che hanno disobbedito per guarire, e che hanno fatto della cura un gesto politico.
Una donna, una bugia, una rivoluzione silenziosa
Atene, IV secolo a.C. La città della democrazia, della filosofia, dei grandi pensatori. Eppure, in quel tempo e in quel luogo, una donna non poteva studiare medicina, né esercitare la cura, soprattutto non sui corpi delle altre donne. Era proibito. Punito. Impensabile.
«Ad Atene, a quel tempo, alle donne non era permesso studiare medicina.»
Così comincia il racconto che ci ha lasciato Igino. E da questa frase, breve e tagliente, prende avvio una delle storie più straordinarie — e dimenticate — della medicina antica.
E così Agnodice, giovane ateniese, prende una decisione estrema: si traveste da uomo e si iscrive alla scuola di medicina. Vuole imparare, vuole curare, vuole restituire dignità al corpo femminile, spesso affidato a mani incompetenti o alla superstizione.
Quella che può sembrare una semplice disobbedienza personale diventa presto un gesto politico radicale. Quando la verità viene scoperta, Agnodice non si arrende. Affronta un processo pubblico, si espone al giudizio degli uomini. E lì, tra le pietre dell’Areopago, accade qualcosa di raro: la voce delle donne si alza, forte, a difendere una delle loro.
La storia di Agnodice non è solo quella della prima ginecologa documentata, ma anche la testimonianza di come la cura, il sapere e la ribellione possano condividere lo stesso volto.
Raccontare la storia – Il travestimento, lo studio, il processo
La storia di Agnodice ci arriva attraverso Higino, scrittore latino che la racconta nel suo Fabularum Liber (fabula 274). Pochi paragrafi, eppure densissimi. Secondo il racconto, Agnodice era una giovane ateniese appartenente a una famiglia agiata. Desiderava ardentemente studiare medicina, ma la legge ateniese proibiva a ogni donna di farlo, pena la morte.
«Ubi multae feminae moriebantur, eo quod pudore ad medicos viros ire recusabant, Agnodice iis subvenit.» (“Poiché molte donne morivano, rifiutandosi per pudore di andare dai medici uomini, Agnodice venne in loro aiuto.”)
Fu allora che si tagliò i capelli, indossò abiti maschili e si fece chiamare con un nome da uomo. Così travestita, si trasferì ad Alessandria — secondo alcune versioni — o restò ad Atene, e cominciò a seguire le lezioni del celebre medico Erofilo, uno dei padri dell’anatomia. Fu un’allieva brillante, attenta, determinata. E quando ebbe imparato abbastanza, cominciò a praticare la medicina sotto mentite spoglie.
«Quando Agnodice lo venne a sapere, indossò abiti maschili e si dedicò allo studio della medicina.»
Le sue pazienti erano donne. Donne ateniesi, spesso riluttanti a farsi curare da medici uomini, soprattutto per malattie intime o durante il parto. Con delicatezza, empatia e competenza, Agnodice conquistò la loro fiducia. La sua fama crebbe, e ben presto attirò l’invidia dei colleghi, che la accusarono di corrompere le donne con secondi fini.
«Poiché molte donne morivano, rifiutandosi per pudore di andare da medici uomini, Agnodice venne in loro aiuto.»
Durante il processo, Agnodice si trovò davanti al tribunale degli ephetai. Quando gli accusatori sostennero che approfittava delle sue pazienti, lei si scoprì il corpo, rivelando di essere una donna.
«Così, togliendosi la veste, dimostrò di essere una donna.»

Il gesto fu uno scandalo: non solo aveva praticato la medicina in segreto, ma aveva violato la legge, la norma sociale, l’identità assegnatale.
A questo punto, la fonte antica tace. Ma alcuni racconti moderni amplificano il momento drammatico del processo. Secondo queste versioni rielaborate, l’Areopago, pur assolvendola dall’accusa di seduzione, la condannò per il solo fatto di essere una donna. Il verdetto era simbolico ma violento: la colpevole non era il gesto, ma l’identità.
Ed è qui che la storia cambia tono. Secondo questa variante narrativa, le donne di Atene si sollevarono in massa, indignate dalla sentenza:
«Le matrone di Atene si riunirono e dissero che avrebbero ucciso i loro mariti se Agnodice non fosse stata assolta.»
Un gesto collettivo, disperato, potente. Una forma di rivolta femminile che nessun tribunale avrebbe potuto ignorare. Così, l’Areopago cedette. Agnodice fu liberata. E con lei, fu modificata la legge: alle donne fu concesso di esercitare la medicina, almeno per curare altre donne.
«Agnodice fu assolta perché la sua colpa era stata il suo coraggio.»
Questa è la parabola di una ribelle che, per poter guarire, dovette fingere di non essere sé stessa.
Una figura dimenticata nei manuali, ma incisa nel cuore della medicina al femminile.

Vita, identità, gesto politico – Il corpo come messaggio
Di Agnodice sappiamo pochissimo: non abbiamo date certe, né genealogie, né luoghi precisi. Ma sappiamo abbastanza per capire che la sua vicenda non è solo storia, è archetipo.
Era giovane, determinata, ateniese — quindi soggetta a un sistema che la escludeva in quanto donna. Eppure scelse di ribellarsi non con la spada, ma con l’arma più temuta di tutte: il sapere.
Il travestimento non fu una fuga dall’identità, ma una strategia per attraversare una soglia proibita. Fu un corpo che si camuffa per poter agire, e poi si svela perché l’identità nascosta diventi accusa e insieme rivendicazione. Agnodice non voleva solo curare: voleva curare come donna, in un mondo che proibiva alle donne di esistere fuori dal privato.
Non è stata salvata dalla legge, ma dalla forza collettiva di quelle che avevano riconosciuto il valore della sua azione. In quel gesto — intimo, teatrale, devastante — Agnodice non rivendica solo il diritto di curare. Rivendica il diritto di esistere pubblicamente come donna che sa, che agisce, che salva. La sua identità non è flessibile per paura, ma per resistenza.
La sua identità non è più colpa, ma legittimazione.
Così Agnodice, senza volerlo, diventa figura politica. Trasforma il proprio corpo in strumento di rottura, la propria esistenza in argomento. È una delle prime testimonianze, anche se sfumata nella leggenda, di quanto il sapere femminile possa essere temuto, perché capace di cambiare la legge non solo scritta, ma sociale.
Non ci sono riferimenti ad amori, né mariti, né figli. Forse non perché non ci furono, ma perché non furono rilevanti per definire chi era. Agnodice è uno dei rari casi nella letteratura classica in cui una donna viene ricordata per ciò che ha fatto, non per chi ha amato.
La sua esistenza è un paradosso vivente:
- Donna ma medico, in una città che proibiva la medicina alle donne.
- Ateniese ma disobbediente, in una polis che faceva della legge il suo pilastro.
- Processata ma acclamata, da quelle stesse donne che la società costringeva al silenzio.
Il gesto delle donne ateniesi che minacciano i mariti se Agnodice non verrà assolta ricorda da vicino un’altra scena ben nota della cultura greca:
la Lisistrata di Aristofane, in cui le donne decidono di negarsi sessualmente agli uomini finché non porranno fine alla guerra.
Anche lì, come qui, il corpo femminile diventa strumento di pressione collettiva, e la solidarietà fra donne rovescia i meccanismi del potere maschile.
In entrambi i casi, la minaccia non è violenta, ma simbolica e strategica: non nasce per distruggere, ma per ricostruire un ordine più giusto.
La differenza è che Agnodice è reale (o creduta tale), Lisistrata è un personaggio teatrale. Ma l’efficacia del gesto è la stessa:
quando le donne agiscono insieme, la città è costretta ad ascoltare.
Questo la rende non solo una pioniera della medicina, ma una figura politica nel senso più profondo: trasformò la sua identità in strumento di cambiamento collettivo.
La cura come ribellione, la memoria come minaccia
Agnodice fu una pioniera, un’eroina nascosta, una trasgressora che non brandì armi né discorsi, ma un bisturi e un sapere proibito. Eppure, il suo nome non è scolpito nelle statue, né riecheggia nei trattati di medicina. È sopravvissuta in un’unica fonte latina, marginale, tardi imperiale. Come mai?
Il motivo non sta nel disinteresse, ma nella minaccia che la sua figura rappresentava per l’ordine simbolico. Una donna che:
- apprende il sapere maschile,
- ne fa strumento di emancipazione,
- viene salvata dalla mobilitazione delle altre donne…
…è un paradigma pericoloso.
Agnodice non era assimilabile né come moglie né come madre, né come martire né come musa. Non rientrava in nessuna delle categorie accettabili della memoria femminile nell’antichità. Era troppo autonoma, troppo consapevole, troppo sovversiva.
In una società in cui il corpo della donna era dominio maschile, il fatto che una donna lo conoscesse, lo curasse, lo proteggesse meglio degli uomini, significava capovolgere la gerarchia.
«Agnodice fu assolta perché la sua colpa era stata il suo coraggio.»
Ed è proprio quel coraggio ad aver segnato la sua cancellazione. La sua storia era un esempio troppo potente per essere tramandato nei canoni ufficiali. E allora fu silenziata. O meglio: lasciata nella zona grigia del mito, come se la sua esistenza non potesse essere pienamente reale.
Eppure oggi, ogni volta che una donna studia medicina, cura, opera, ascolta, sfida, Agnodice ritorna. Invisibile, ma presente.
Raccontarla significa riattivare una memoria alternativa, in cui la disobbedienza è guarigione, e la cura diventa il primo atto politico di una donna libera.
Cosa ci insegna questa vicenda
La storia di Agnodice ci insegna che non basta essere brave, bisogna anche avere il coraggio di esserlo dove non è concesso.
Ci insegna che il sapere, se è negato, può diventare uno strumento di ribellione, e che la cura può essere un atto politico quando nasce dal desiderio di emancipazione.
Agnodice non è stata dimenticata perché irrilevante. È stata dimenticata perché troppo significativa. Troppo dissonante rispetto all’immaginario di una donna silenziosa, decorativa, marginale.
Era una donna che agiva in un mondo che le chiedeva solo di esistere ai margini. E lo ha fatto travestita, sì — ma per potersi mostrare, un giorno, in piena luce.
La sua vicenda ci dice anche un’altra cosa, forse la più importante: che le rivoluzioni possono cominciare con piccoli gesti, intimi, silenziosi. Ma se sono giuste, trovano voce. E se trovano voce, fanno storia.
Sono passati 2400 anni, ma ancora oggi la questione dell’identità femminile nel linguaggio e nella società non è risolta. Ruoli come “avvocata”, “medica”, “magistrata”, “architetta” continuano a far discutere, e spesso le donne che li ricoprono devono ancora scegliere se adattarsi a una forma maschile per essere prese sul serio.
Anche nel presente, ci sono abiti professionali che sembrano cuciti su misura per un genere soltanto, e chi li indossa diversamente deve ancora giustificarsi, spiegarsi, resistere.
Forse non viviamo ancora in un’epoca in cui tutti — e tutte — possano “svestirsi” dei ruoli imposti e sentirsi semplicemente liberi di esercitare il proprio sapere.
La strada verso la parità è lunga, ma la storia di Agnodice ci ricorda che il cambiamento comincia proprio da quei gesti individuali che infrangono la norma — e aprono spiragli per chi verrà dopo.
E oggi che quella storia la riscriviamo, anche solo per qualche pagina, le restituiamo non solo memoria, ma dignità.


Fonti, approfondimenti e bibliografia
📜 Fonti antiche
- Igino, Fabularum Liber, 274
L’unica fonte antica conosciuta sulla vicenda di Agnodice. Si tratta di una raccolta di racconti mitologici e leggendari di età imperiale romana.
«Quando Agnodice lo venne a sapere, indossò abiti maschili e si dedicò allo studio della medicina.»
📚 Saggi e approfondimenti storici
- Eva Cantarella, L’ambiguo malanno. Condizione e immagine della donna nell’antichità greca e romana (Feltrinelli)
Un saggio fondamentale per comprendere il contesto giuridico, sociale e simbolico in cui vissero le donne greche. Indispensabile per contestualizzare Agnodice. - Helen King, Hippocrates’ Woman: Reading the Female Body in Ancient Greece (Routledge)
Analisi del corpo femminile nella medicina antica e nella cultura greca, con riferimenti alla figura di Agnodice e alle levatrici. - Mary Harlow & Ray Laurence, Growing Up and Growing Old in Ancient Rome (Routledge)
Utile per comprendere i ruoli di genere, educazione e salute nel mondo antico, anche in contesto romano, a confronto con il greco.
🔍 Risorse online
- Enciclopedia Treccani – Voce “Agnodice”
Una sintesi storica affidabile: https://www.treccani.it - Theoi.com – Agnodice (Agnodike)
Scheda su personaggi mitici e semi-leggendari del mondo antico, con riferimenti filologici: https://www.theoi.com - Perseus Digital Library
Per consultare i testi classici online (in greco e latino, con traduzioni): http://www.perseus.tufts.edu
🧵 Contesto tematico
- Chiara Frugoni, Donne medievali. Sole, indomite, avventurose
Anche se posteriore cronologicamente, utile per tracciare una genealogia della cancellazione storica delle donne libere e istruite. - Silvia Federici, Il punto zero della rivoluzione
Per un inquadramento politico e filosofico sul controllo del corpo femminile attraverso le epoche, dalla medicina alla legge.