Un’indagine narrativa e storica sul ritratto più celebre del mondo. Chi era Monna Lisa? Cosa nasconde il suo sorriso? La Gioconda, tra arte, enigma e verità svelate.
LA GIOCONDA (MONNA LISA): TRA STORIA, ENIGMA E LEGGENDA
Monna Lisa o Gioconda? Due nomi per un solo volto
Redazione Inchiostronero
Un viaggio affascinante attraverso i secoli, tra arte, scienza e leggenda. Chi era davvero la donna che Leonardo da Vinci immortalò nel più enigmatico dei ritratti? Monna Lisa, o La Gioconda, non è solo un volto: è un mistero che attraversa le epoche. Questo saggio esplora la genesi storica e artistica del dipinto, la vita nella bottega leonardiana, i segreti nascosti nei dettagli, fino alle più recenti scoperte scientifiche. Dalla Firenze del Rinascimento alle sale del Louvre, dalla mano dell’artista alla cultura pop, la Gioconda continua a parlarci. E a guardarci. Ma cosa ci sta davvero dicendo?
Il dipinto è conosciuto in tutto il mondo come La Gioconda, ma il suo nome autentico è Monna Lisa, abbreviazione di “Madonna Lisa”, ovvero “Signora Lisa”.
Secondo il biografo Giorgio Vasari, si tratterebbe della fiorentina Lisa Gherardini, moglie del mercante Francesco del Giocondo, da cui deriva appunto il celebre soprannome.
In Francia il dipinto è noto come La Joconde.
Due nomi, due strade: uno più storico e personale, l’altro più mitico e universale. In questo saggio li useremo entrambi con consapevolezza: “Monna Lisa” per il ritratto della donna reale, “Gioconda” quando parliamo del mito.
Firenze, 1503 – il mondo cambia volto
All’inizio del Cinquecento, Firenze è un crocevia di potere, cultura e rivoluzione.
La famiglia Medici, estromessa da pochi anni, lascia il posto a una fragile Repubblica, mentre l’Europa è attraversata da tensioni politiche, guerre e rinascite artistiche.
In questo contesto, Leonardo da Vinci, già celebre come pittore e inventore, rientra temporaneamente nella sua città natale dopo aver lavorato a Milano presso la corte degli Sforza.
Ha cinquant’anni. È un uomo di mezza età, enigmatico, isolato, profondamente ossessionato dalla conoscenza. In quel periodo, oltre a progettare macchine da guerra, scrivere appunti speculari e dissezionare cadaveri, inizia un ritratto che cambierà per sempre la storia dell’arte.
Un volto, mille identità
La commissione della Gioconda è avvolta da incertezze quasi quanto il sorriso della donna ritratta. La fonte principale è Giorgio Vasari, biografo rinascimentale, che nel 1550 scrive:
«Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di Mona Lisa, sua moglie»
Ma Vasari scrive quasi cinquant’anni dopo i fatti, e le sue affermazioni, pur preziose, sono spesso romanzate.
Chi era dunque questa donna?
L’identificazione tradizionale con Lisa Gherardini, moglie del mercante fiorentino Francesco del Giocondo, è oggi generalmente accettata, ma non priva di dubbi. Altre ipotesi suggeriscono:
- Isabella d’Este, nobile mantovana;
- Costanza d’Avalos, duchessa di Francavilla;
- Leonardo stesso, in un gioco di autoritratto travestito.
Alcuni storici dell’arte propongono che non ci fosse alcun committente reale, e che Leonardo stesse semplicemente dipingendo un ideale, un archetipo della bellezza e dell’armonia femminile. Un volto eterno.
La bottega di Leonardo: laboratorio di meraviglie
Immagina una stanza ampia, illuminata da una luce obliqua che entra da finestre alte, con vetri sottili e irregolari. Le pareti non sono ornate, ma costellate di schizzi, appunti, disegni appesi con spilli, alcuni incompleti, altri precisi come incisioni anatomiche.
Il pavimento è ingombro: tavole di legno, strumenti ottici, recipienti con pigmenti macinati, calchi in cera, ossa animali, pezzi di meccanismi smontati. L’odore è un misto di olio di lino, colla di coniglio, carta ammuffita, erbe secche e metallo ossidato.
Leonardo non è sempre presente, ma quando c’è, domina la scena: alto, con la barba lunga e lo sguardo febbrile, disegna senza sosta, passando dal foglio a un modello in creta, poi a un esperimento idraulico che cola acqua su un piccolo canale ricavato nel legno.
Non è una bottega come le altre.
Mentre in quelle dei suoi contemporanei – Botticelli, Perugino, Ghirlandaio – si eseguono copie, pale d’altare e ritratti su commissione, nella bottega di Leonardo si studia l’anatomia umana, si progettano macchine volanti, si scrivono appunti a specchio, si osservano luci, ombre, fiumi, volti, cavalli, uccelli, tutto con lo stesso fervore.
Leonardo scriveva i suoi appunti specularmente, da destra a sinistra, come riflessi in uno specchio.
Per molti è un mistero, per altri una forma di protezione. Ma la spiegazione più semplice è anche la più rivelatrice:
era mancino, e scrivere in quel modo gli evitava di sporcare l’inchiostro fresco con la mano.
Un gesto pratico, quotidiano. Eppure, anche in questo, c’era il segno del suo genio: la sua scrittura era un’estensione del pensiero visivo, un modo per vedere e pensare al contrario, per osservare le cose da angolazioni inconsuete.
Come la Gioconda, anche i suoi appunti non si mostrano mai subito per ciò che sono.
Bisogna guardarli con un piccolo atto di attenzione: come con uno specchio.
«La pittura è cosa mentale», scrive.E la sua bottega non è un’officina di pittori, ma una scuola di pensiero visuale.
Dove si trovava, davvero, la bottega di Leonardo
Nel periodo in cui Leonardo inizia a dipingere la Gioconda – intorno al 1503 – si trova a Firenze, dopo il lungo soggiorno milanese presso la corte degli Sforza (1482–1499). In quegli anni, non ha una bottega fissa nel senso tradizionale, come quelle del suo maestro Verrocchio o dei suoi rivali fiorentini.
Preferisce laboratori temporanei, spesso ospitato da conventi o mecenati. Lavorò presso il monastero di San Salvi, ma soprattutto nei locali concessi dalla Repubblica fiorentina nel convento di Santa Maria Novella, dove lavora al cartone della Battaglia di Anghiari.
È in questo contesto dinamico che, forse in un’altra dimora privata, o in uno studio raccolto, Leonardo inizia anche il ritratto della Monna Lisa.
Non c’è un solo luogo, ma un sistema orbitale di spazi, tavoli, carte e tele.
Un centro di gravità in continuo movimento.
Un mondo in miniatura
Sugli scaffali si trovano scatole di polvere di lapislazzuli, pestelli e mortai, vetrini da lente, modelli anatomici in cera, studi di prospettiva in legno, calcoli sul moto dell’acqua. A volte Leonardo riceve anatomisti, ingegneri, musicisti, con cui discute di ottica, musica, idraulica, filosofia.
Un giorno si lavora su una Madonna col Bambino, il giorno dopo su un progetto per deviare l’Arno, poi su un elicottero a pale.
E nel mezzo, una tavola sottile, dove si intravede l’ombra del sorriso più enigmatico del mondo.
Accanto alla tela della Gioconda, ci sono disegni anatomici del cranio umano. Leonardo li studia, poi torna a stendere un velo di ombra sopra la guancia. Il volto non è una semplice somiglianza. È una tensione tra l’apparenza e l’invisibile.
Gli allievi del pensiero visivo
Accanto a lui si muovono i suoi apprendisti più fedeli:
Francesco Melzi, nobile, colto, silenzioso, che diventerà il custode dei suoi manoscritti.
Gian Giacomo Caprotti, detto il Salaì, irrequieto, impulsivo, dal talento incostante ma dallo sguardo brillante.
Non imparano solo a dipingere, ma anche a guardare, misurare, pensare.
Dove nasce la Gioconda
La luce filtra obliqua sulle superfici della bottega. Ogni oggetto, ogni volto, ogni linea sembra vibrare di un’intelligenza febbrile. Qui, la Gioconda nasce lentamente, tra interruzioni, esperimenti, ripensamenti.
È un’opera che respira con la bottega, si nutre del suo disordine fecondo, della curiosità inesauribile del suo autore, dell’instabilità stessa del Rinascimento.
Leonardo scriverà:
«Chi poco pensa, molto erra.»
E nella sua bottega, tutto è pensiero: materia, luce, sorriso.
L’opera infinita
Leonardo lavorò alla Gioconda per almeno tre anni. Ma forse la toccò anche dieci anni dopo.
I suoi taccuini parlano di esperimenti sulla luce, sulla percezione, sulla fisiognomica.
La Gioconda non è un semplice ritratto: è una costruzione mentale, una riflessione filosofica dipinta.
La tecnica dello sfumato – un passaggio graduale da luce a ombra – rende impossibile cogliere contorni netti, trasformando il volto in un campo magnetico di percezioni mobili.
Il paesaggio alle spalle è sospeso tra realtà e fantasia: montagne, corsi d’acqua, ponti, nessuno dei quali identificabile con certezza. Un mondo immaginato, simbolico, forse addirittura speculare tra lato destro e sinistro, come se la mente di chi guarda ne fosse parte.
L’abbandono della Gioconda
Nel 1516, Leonardo accetta l’invito di Francesco I di Francia e si trasferisce ad Amboise, portando con sé alcuni quadri, tra cui la Gioconda.
Non consegna mai il ritratto a Francesco del Giocondo. Perché?
Forse il pagamento non fu mai completato.
Forse Leonardo non ritenne mai il quadro terminato.
O, più probabilmente, lo considerava troppo personale, un’opera simbolica più che un ritratto su commissione.
Dopo la sua morte nel 1519, l’opera rimane tra le proprietà reali francesi, conservata prima a Fontainebleau, poi al castello di Versailles, e infine al Louvre dopo la Rivoluzione Francese.
Dall’oblio al furto: la nascita del mito
Per tre secoli, la Gioconda è un dipinto apprezzato ma non iconico. Non compare tra le opere più note di Leonardo.
Poi, nel 1911, accade qualcosa che cambia tutto.
Un muratore italiano, Vincenzo Peruggia, ruba il dipinto dal Louvre, nascondendolo sotto il cappotto. Lo tiene nascosto per due anni, convinto di dover “restituire” l’opera all’Italia.
Il furto genera clamore mediatico mondiale. Le prime pagine dei giornali parlano solo di lei. Picasso viene interrogato. Il Louvre viene ridicolizzato.
Quando finalmente l’opera viene recuperata e riportata a Parigi, il mito è nato.
La Gioconda è ormai un simbolo culturale globale.
Un’icona pop e immortale
Dal Novecento in poi, la Gioconda invade ogni angolo dell’immaginario:
- Duchamp le disegna i baffi: «L.H.O.O.Q.»
- Warhol la moltiplica in colori acidi.
- È parodiata, imitata, remixata in meme, cartoni, pubblicità, canzoni.


Ma al tempo stesso, è studiata come mai prima: ogni secolo vede una nuova ondata di analisi scientifiche, storiche, psicologiche.
La scoperta del 2023: una madre celata
Nel 2023, l’équipe del Centre de Recherche et de Restauration des Musées de France usa la tecnologia Macro XRF per penetrare negli strati interni della pittura.
Scoprono elementi prima invisibili: veli, pieghe dell’abito, disposizione della mano, e altri dettagli che portano a un’ipotesi sconvolgente:
La Monna Lisa era incinta.
Il gesto della mano sull’addome – comune nei ritratti di maternità rinascimentali – la composizione del vestito, la calma espressiva… tutto sembra compatibile con una gravidanza.
Leonardo potrebbe aver voluto immortalare non solo la donna, ma la madre.
Se confermata, questa lettura stravolgerebbe parte dell’interpretazione canonica: la Gioconda non sarebbe più solo un enigma estetico, ma un ritratto intimo, domestico, simbolico della vita che nasce.
Un giudizio finale
Nessun altro quadro ha avuto un impatto così profondo, duraturo e trasversale.
La Gioconda ha influenzato l’arte rinascimentale, l’estetica moderna, la filosofia dell’immagine e la cultura di massa.
È una soglia tra scienza e mistero, tra visibile e invisibile.
In un solo volto, Leonardo ha riassunto la tensione dell’uomo rinascimentale verso l’assoluto.
Un sorriso che non è né ironico né felice, ma conoscitivo, come se sapesse qualcosa che noi ignoriamo.
«Il dipinto è finito, ma il suo significato non lo sarà mai.»

Bibliografia
- Pietro C. Marani, Leonardo da Vinci. Il genio e le opere, Electa, 2019
- Walter Isaacson, Leonardo da Vinci, Mondadori, 2018
- Martin Kemp, Leonardo, Oxford University Press, 2004
- Daniel Arasse, Il dettaglio. Per una storia pittorica alternativa, Einaudi, 2007
- Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, 1550
- Pascal Cotte et al., The Secrets of Mona Lisa, Lumiere Technology, 2015
- Centre de Recherche et de Restauration des Musées de France (C2RMF), XRF Mapping of the Mona Lisa, 2023
- Kenneth Clark, Leonardo da Vinci, Penguin Classics, 1988
- Dianne Hales, Mona Lisa: A Life Discovered, Simon & Schuster, 2014