”“È stato il gennaio più bello della mia vita”…
LA GIOIA DI PENSARE CON GAIA SCIENZA
Dedico questa riflessione su Nietzsche a Sossio Giametta,(1) scomparso ieri, grande traduttore e interprete di Nietzsche e di Schopenhauer, autore di mirabili saggi e carissimo amico di antica data
“È stato il gennaio più bello della mia vita”. Così scrive da Genova Friedrich Nietzsche al suo amico Peter Gast. È il 1882, Nietzsche non ha ancora trentott’anni ed è nel momento più bello della sua vita, ha
appena partorito Aurora(2) e si accinge a scrivere La Gaia scienza (o Gaya). Sarà pure l’anno in cui frequenterà Lou Salome, la salute gli dà tregua. Datata Genova, gennaio 1882 è la quarta parte della sua nuova opera che dedica a Sanctus Januarius, con alcuni versi, che terminano così: “Libera in questa necessità più colma d’amore, essa celebra le tue meraviglie, Bellissimo Januarius!”
Non è solo per ricordare un gennaio splendido di due secoli fa e l’euforia di Nietzsche innamorato dell’Italia e dei mari del sud, che ve ne parlo. Ma perché una ragazza che studia filosofia, dopo una conferenza mi ha chiesto: qual è secondo lei il libro più bello di filosofia?. Più bello, diceva, non il più importante; quello che più entusiasma nella lettura, dà piacere alla mente, ti fa venire il gusto della filosofia. Beh, il libro più bello di filosofia è proprio la Gaia Scienza. Di Nietzsche forse verrebbe più spontaneo indicare Così parlò Zarathustra(3) ma non è opera filosofica semmai profetica, se non religiosa, e letteraria, nutrita di toni biblici in versione ironica, talvolta parodistica.
«Vi scongiuro, fratelli, restate fedeli alla terra e non credete a coloro i quali vi parlano di sovraterrene speranze! Essi sono degli avvelenatori, che lo sappiano o no. Sono spregiatori della vita, moribondi ed essi stessi avvelenati, dei quali la terra è stanca: se ne vadano pure!» (Friedrich Nietzsche Così parlò Zarathustra)
La gaia scienza, invece, è vera filosofia, ma quella filosofia che abbraccia il mondo, quella scienza che pensa alla luce del sole, che sa trasmettere non solo passione di conoscenza e stupore di ricerca ma anche euforia, piacere di vita e di pensiero, passione estetica di lettura e di mondo. Nietzsche inverte Cartesio, sum ergo cogito, scrive nella gaia scienza: vivo, dunque penso. L’essere precede il pensare, e l’essere al mondo, vivendo. Un’opera che fa impallidire vagoni di tristi trattati e noiose dissertazioni; ma nella sua leggerezza, nel suo frizzare e ondeggiare, la gaia scienza è salutare filosofia che sgranchisce la mente da ogni torpore dogmatico o accademico. I Kant, gli Hegel, con le loro vite noiose, ripetitive… Ma se è per questo, anche alcuni libri di filosofia scritti da esuberanti viveur sono noiosi: leggete i testi filosofici di Giacomo Casanova e ve ne renderete conto. A una vita così ricca e saporita corrisponde un pensiero povero, barboso. Nietzsche invece trasmette la gioia di pensare davanti al mare e ai secoli, sotto il sole e sotto le religioni e le filosofie, passeggiando e incontrando la vita a braccetto col pensiero. E insegna che si può essere felici e filosofi, le due cose non stridono affatto; si può essere coscienti della mortalità e perfino dell’essenza tragica della vita, consapevoli dei pericoli, delle pene e dell’ignoto, come lui lo era, e pure accingersi gagliardamente a far scintillare i pensieri.
E non solo; non c’è altra opera di Nietzsche in cui sia racchiuso tutto il suo pensiero, incluso quello che sarebbe poi arrivato nei fecondissimi anni seguenti, quel decennio degli anni Ottanta che in un altro, tristissimo gennaio italiano di sette anni dopo, sfociò nella pazzia finale e nell’irreversibile ottenebrarsi della sua mente, a Torino.
In queste pagine c’è l’Amor fati – “sia questo d’or innanzi il mio amore” – e c’è l’Eterno ritorno, c’è il profilarsi della morte di Dio, la prima apparizione di Zarathustra e il preannuncio dell’oltreuomo (o superuomo, per chi traduce così), c’è il “Divieni ciò che sei” e c’è il “vivi pericolosamente”, il pensiero eroico e il pensiero magico che – come la fede – precede la scienza e la tecnica; c’è il germe della volontà di potenza e c’è lo spingersi nell’infinito, al di là del bene e del male, il veleggiare nell’ignoto. C’è la convinzione precisa che lui sarà incompreso fino al 1900, come se sapesse che proprio quello sarà l’anno della sua morte. C’è la professione di inattualità e la percezione dei malintesi venturi intorno al suo pensiero. E c’è l’epilogo della sua opera con una sigla di chiusura, “una canzone mattutina così assolata, così lieve, così aerea”. È l’unico saggio di filosofia che termina con un canto e una danza, e istiga ad essere lieti, giocosi, dopo il tanto riflettere sul mondo e sui saperi.
Ma soprattutto in queste pagine Nietzsche è godibile e comprensibile più del solito senza mai essere banale, scontato o superficiale; una chiarezza di pensieri affilati, uno sguardo teso e acuto sulla realtà, sul mondo, sugli uomini. Un libro che induce al gusto di pensare, indagare nella psiche, esercitare lo spirito critico, senza mai farsi prendere da pensieri prefabbricati.
La gaia scienza, spiega Nietzsche, sono i saturnali dello spirito che vive l’ebbrezza della convalescenza e la speranza di salute, in cui annuncia un po’ di pazzia e di sfrenatezza ma senza i cupi deliri di Dioniso contro il Crocifisso che verranno pochi anni dopo. È ancora una sana pazzia, una creativa sfrenatezza, non ci sono le ombre nere della demenza e del sospetto universale che nel giro di pochi anni si allungheranno sul suo pensiero fino a ucciderlo.
Nietzsche in queste pagine prende le distanze dalle posizioni politiche e dalle ideologie del suo tempo: “non conserviamo nulla, non vogliamo regredire in alcun passato, non siamo assolutamente liberali, non lavoriamo per il “progresso” né”, aggiunge, “per il mercato o per l’uguaglianza dei diritti”; auspica anzi nuove schiavitù e dichiara di amare il pericolo, la guerra, l’avventura. In poche righe Nietzsche semina tutti i suoi contemporanei, si fa beffe delle loro ideologie e dichiara apertamente di sentirsi a disagio nell’epoca “umanitaria”. “Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle”, “abbiamo tagliato la terra dietro di noi”. Ma al tempo stesso occorre liberarsi dal proprio ego e dell’individualismo, occorre “sentire in modo cosmico”.
Ma della gaia scienza resta soprattutto la gioia di pensare all’aperto. Non siamo di quelli abituati a pensare in mezzo ai libri – scrive Nietzsche – siamo quelli che pensano all’aria aperta, camminando, saltando, salendo, danzando, sui monti o sulla riva del mare. E si sente il vento, la risacca, il passo e il fiato nelle sue pagine. Leggetelo e scoprirete che la filosofia non è il regno della noia e dei tromboni d’accademia.
Approfondimenti del Blog
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Descrizione
Aurora è l’opera con cui Nietzsche si avvia verso quella «guarigione», che viene a coincidere con la sua perfetta maturità, ed è anche l’opera in cui diventa centrale la «passione della conoscenza», a cui Nietzsche si abbandonerà fino all’ultimo. Lo stile aforistico raggiunge qui uno dei suoi apici: con le sue antenne ipersensibili Nietzsche si avvicina ai temi più vari: dal cristianesimo ai valori morali moderni, dalla décadence alla «cattiva coscienza», dalla civiltà greca al romanticismo tedesco. E ce li presenta col gesto più fermo e insieme delicato, in un libro dove – egli stesso ci consiglia – si può «metter la testa dentro e sempre di nuovo fuori, senza trovare intorno a sé nulla di consueto».