La realtà è una semplice illusione, sebbene molto persistente. (Albert Einstein)

LA GRANDE ILLUSIONE

 

Premessa

Per comprendere i nostri comportamenti dovremmo conoscere i processi interiori che li guidano e che, a mio avviso, si possono riassumere in tre grandi categorie: illusione, pregiudizio e luogo comune. Questa tripartizione non esaurisce la nostra fenomenologia mentale, è vero. Ad esempio, il pensiero “la Terra è rotonda” non è né un’illusione né un pregiudizio né un luogo comune, se non in senso molto lato. Lo stesso si può dire di altre affermazioni di carattere scientifico. Ma questo che importanza può avere nelle scelte della vita? Geni, santi, eroi, galantuomini e briganti han vissuto pensando che la Terra fosse piatta. E se domani qualcuno dimostrasse che è un cubo, non mi accorgerei della differenza.

Illusione

Rappresentazione grafica del mito della caverna

L’illusione è la nostra condizione radicale e quindi più nascosta. Consiste nel vedere (in senso lato) quello che non c’è, non vedere quello che c’è, scambiare una cosa per un’altra. Presenta inoltre gradi diversi, superficiali o profondi, fugaci o costanti, e questo implica una maggior o minore possibilità di disilludersi. Alcune illusioni possono riguardare oggetti fisici, psichici, sentimentali etc. In genere scompaiono alla luce di una miglior conoscenza, come uscendo dalla caverna platonica. Altre coincidono con le nostre idee fondamentali di essere, tempo, spazio, conoscenza etc. Vengono tradizionalmente comprese nella dottrina della Maya e di loro è quasi impossibile liberarsi.

Alcuni pensano che tutta la realtà come noi normalmente la conosciamo sia mera apparenza. D’altro canto, se “la realtà è illusione” ne deriva che “l’illusione è realtà”. A questo punto però i due termini si elidono reciprocamente e perdono ogni significato. Più logico è supporre che vi sia una realtà distinta dall’illusione, come c’è uno stato di veglia diverso dal sogno, anche se per capirlo occorre svegliarsi.

Inoltre, non potrei dire d’essere illuso se tutto fosse illusione, perché per saperlo dovrei disilludermi e quindi contraddirmi. Tuttavia, le cose non sono così chiaramente distinte. Alcuni, infatti, mossi dal bisogno di credere e di sperare contro l’evidenza, cercano di illudersi rimuovendo la consapevolezza del loro autoinganno. Quest’illusione resta sospesa tra la coscienza e l’inconscio, ombra e luce, in un difficile gioco di equilibri e di simulazioni. Si crea così quella tensione tra fede e dubbio, spesso dissimulata o soffocata, che è tipica di certe esperienze religiose.

Altri pensano invece che la nostra mente – sensi, concetti etc. – sia strumento inadatto a comprendere la realtà. Per questo il mondo da noi conosciuto avrebbe natura illusoria. Anche qui sembra esserci una contraddizione. Come posso infatti affermare che la mente mi illude se non poggiando sui dati della mente, quindi senza illudermi nuovamente? Sembra che la ragione voglia superare sé stessa coi suoi ragionamenti, il che è impossibile. Per uscire dall’impasse dovrei supporre una facoltà sovramentale posta al di sopra della ragione.

Del resto, i dati dei sensi vengono spesso corretti dalla ragione. Una montagna vista da lontano sembra più piccola di un sasso posto davanti agli occhi, un aeroplano nel cielo sembra muoversi più lentamente di un uccello che svolazza nel mio giardino. In questi casi, la ragione ci rivela l’elemento fallace della nostra prospettiva fisica. Allo stesso modo, una capacità intuitiva potrebbe mostrarci i limiti e gli errori della ragione, anche se non possiamo affermarlo senza far uso di parole e concetti.

Credo cioè che il nostro essere abbia la possibilità di comprendersi e di cogliere in sé stesso un radicale limite cognitivo. Ha cioè un’intuizione di sé stesso come di una realtà misteriosa, inattingibile al pensiero razionale. L’illusione è la mia relazione con questo mistero. La natura essenzialmente vuota dell’essere si riempie di immagini. Se le riferisco al reale nella sua unicità sono irreali, ma in quanto causa del divenire e della molteplicità sono reali. L’illusione è dunque il potere che sostiene la mia creatività spirituale, i miei valori morali e intellettuali, le mie tendenze affettive e corporee. Offre fondamento metafisico al conoscere e insieme tesse la trama della mia esperienza. Non è un velo che nasconde la realtà ma che ne rivela le forme.

Pregiudizio

Un pregiudizio diffuso è che non si debbano aver pregiudizi. Questo è impossibile quanto il non aver illusioni. Il pregiudizio serve ad assorbire e incanalare l’energia magmatica dell’illusione in un sistema di segni convenzionali. Non potremmo infatti trovare alcuna spiegazione dei fatti se non ci basassimo su qualche pregiudizio. Questo dipende dalla nostra conoscenza del reale, che è di tipo congetturale e ipotetico. Non potremo mai raccogliere tutti gli elementi necessari alla comprensione piena di un fatto. Dobbiamo accontentarci di curve asintotiche che tendono verso un punto irraggiungibile. I pregiudizi non sono però semplici espressioni della nostra ignoranza. Sono piuttosto intelaiature su cui costruire teorie e discorsi sensati, strumenti utili per collocare i fatti in un ordine logico, assegnando loro significato e valore.

Il pregiudizio è fattore essenziale nella costruzione di un’identità, tanto individuale quanto collettiva. I pregiudizi sociali che condividiamo con il nostro prossimo creano forti vincoli di comunanza e solidarietà. Viceversa, dissentire sui pregiudizi altrui provoca conflitti a volte insanabili. V’è infatti nel pregiudizio una flessibilità limitata, com’è naturale per ogni struttura portante. Dal momento in cui nasce, ogni pregiudizio mostra un tenace, sordo istinto di sopravvivenza. È in grado di sopportare anche le condizioni più dure e resistere a ogni avversità, cioè alle evidenze che lo contraddicono. Questo accade soprattutto quando è il lascito di un’autorità, quando rimanda a un patrimonio di pregiudizi ereditati da una tradizione religiosa, scientifica, morale o filosofica, deposito di certezze cui attingere in caso di dubbi e controversie.

Il pregiudizio ha una fondamentale funzione nell’economia del pensiero. Ci risparmia la fatica di lunghe analisi e ricapitolazioni. Ci fornisce risposte già pronte. Ha dunque un’utilità pratica, ci orienta nella vita, evitandoci una paralisi scettica. Se per agire aspettassimo di possedere verità assolute resteremmo impotenti a lambiccarci il cervello. Fortunatamente, per decidersi un buon pregiudizio è più che sufficiente. Tuttavia, serve in questo un certo distacco. Dobbiamo guardare i nostri pregiudizi da lontano per potervi credere. Più ci avviciniamo, più diventano incerti. Ma nemmeno dobbiamo rimirarli da un’eccessiva distanza, perdendo ogni senso critico. Il pregiudizio onesto proietta sempre un’ombra di sé, ovvero un dubbio. Trovare qui la giusta misura è ciò che separa la fiducia in sé stessi e nelle proprie idee dall’ottuso fanatismo.

Luogo comune

Se illusioni e pregiudizi sono indispensabili all’attività della coscienza, i luoghi comuni ne provocano invece la sclerosi e l’insensibilità. Riducono il pensiero a un inerte ripetitore di stereotipi e frasi fatte. La gente memorizza luoghi comuni e se ne avvolge come di un profumo, per coprire l’odore sano e naturale dell’ignoranza. Ma quando vengono infettati dal luogo comune, discorsi e ragionamenti sanno di rancido, di pensieri andati a male.

Il luogo comune è il nutrimento intellettuale della massa, e questo potrebbe spiegare il rapido declino di una civiltà basata su modelli democratici. Infatti, le tendenze della maggioranza provocano sempre un appiattimento della coscienza, un suo cedimento verso il basso. Forse in altri tempi non era così, quando la società si nutriva di alti ideali. Ma oggi, per non esser trascinati nel pantano del mainstream, bisogna andare contro corrente, disubbidire alle regole. Ragioni di igiene mentale ci impongono luoghi solitari o condivisi con pochi altri. Gesù stesso dice: «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro». Il Logos non ama la folla.

Non bisogna confondere il luogo comune con proverbi e massime. In lui non si rispecchia alcuna saggezza o secolare esperienza. Al contrario, ha natura effimera, priva di vera sostanza intellettuale o morale. È una moda, oggi determinata in gran parte da slogan propagandistici e pubblicitari. È così che concetti un tempo impensabili – relativi alla sessualità, alla famiglia, alla religione etc. – possono diventare oggi luoghi comuni, fondamento del sentire e dell’agire comune.

Di fatto, ogni cosa riguardi l’uomo affonda ormai in un oceano di stereotipi, in quel che si dice ‘pensiero unico’, immenso luogo comune in cui stare tutti stipati, squallida periferia della ragione invasa dai rifiuti della banalità e della superficialità. In questo comunismo ideologico l’intelligenza si riduce a meccanismo di stimolo-reazione, complesso di associazioni automatiche simili a riflessi rotulei.  Questa desolante condizione viene coperta da un altro luogo comune, secondo cui la nostra società favorisce il pluralismo e il libero scambio delle idee. In realtà mai come oggi la mente umana è stata compressa e massificata, e le restrizioni alla libertà di pensiero sono oggi assai più drastiche di ogni dogma, inquisizione o censura del passato.

I principali organi di diffusione dei luoghi comuni sono senza dubbio la stampa, i programmi radiofonici e televisivi, la Rete. Informare oggi significa conformare. L’astinenza dai messaggi mediatici è quindi la prima e più essenziale forma di igiene mentale. Bisogna uscire dai recinti del mainstream, contraddire le opinioni correnti: se il pacifismo diventa un luogo comune, riscoprire il valore purificante dell’ira; se la scienza diventa un luogo comune, rifugiarsi nel non sapere etc. Dobbiamo sottrarci alla dittatura del luogo comune con la fierezza e la libertà di un’intelligenza che non si lascia addomesticare. Solo così è possibile non restar presi nella ragnatela che la società tende per catturare le coscienze, irretirle nel disimpegno intellettuale dell’uomo medio, nella sua ubbidiente mediocritas.

La Grande Illusione

Da ciò deriva oggi l’obbligo morale di combattere il Luogo Comune per eccellenza, ossia la Dottrina Pandemica e i suoi articoli di fede, anche se questo comporta scomuniche e persecuzioni. È insieme una lotta alla malvagità e alla stupidità. Tale dottrina è infatti l’emanazione di un Sistema basato sulla voluttà dell’avere e del potere. Questa doppia libido – possidendi e dominandi – è il vero male che ha infettato la nostra società. Un male che finanza, economia, scienza, politica, burocrazia, informazione, senso comune, manifestano attraverso gradi decrescenti di potere e di consapevolezza. E quando arriva alla sua propaggine più estrema – un’opinione pubblica che si trova a distanze astronomiche dal centro del sistema e neppure immagina quali leggi invisibili la tengono in orbita – la forza maligna del Principio ha ormai preso le forme della stupidità.

L’uomo medio si limita a credere nel Luogo Comune e nei suoi corollari, e ad agire di conseguenza. Rifiuta l’idea che apparati mediatici, burocratici, politici, scientifici, possano tramare per danneggiarlo. Ogni riferimento a ‘centri occulti di potere’ è per lui “teoria del complotto”. Ignora di essere non solo vittima ma lui stesso l’agente più esterno di una cospirazione che si esplica su diversi livelli. E gli stessi apparati che lo danneggiano spesso non sanno di reggersi su strati più profondi della cospirazione. Solo spingendoci sempre più verso gli anelli interni del sistema potremmo infine percepire le pulsazioni di quel cuore nero da cui tutto emana.

Il perno su cui ruota questo meccanismo illusorio è l’estrema facilità con cui è possibile programmare il cervello della gente, inducendo in una massa di persone apparentemente razionali pensieri e comportamenti sconcertanti. È la stessa suggestionabilità su cui si basano certi fanatismi religiosi. Nel caso della Dottrina Pandemica, è bastato qualche ben congegnato coup de théâtre dai toni macabri e angoscianti perché l’illusione mettesse radici profonde nel senso comune. Purtroppo, fare il percorso inverso, ossia ricondurre la mente alla realtà, liberandone gli strati subconsci dai condizionamenti subiti, è quasi impossibile. Ogni tentativo in tal senso provoca nel soggetto plagiato reazioni di totale chiusura e ostilità.

D’altro canto, la salute non è contagiosa. Vi può essere un’epidemia di credulità e follia, ma non di pensiero critico. La nostra guerra contro il Luogo Comune è dunque un’impresa disperata. Tuttavia, “ Polemos gli uni fa schiavi, gli altri liberi”, (Eraclito) e questa esperienza potrà forse rafforzare la nostra libertà interiore. Ci aiuterà a elevarci non solo dal luogo comune all’incomune, ma da questo a luoghi ancora sconosciuti e infine alla radicale libertà del non-luogo, dimora dell’anima. L’anima infatti non ha luogo. Non è qui o là, niente la può rinchiudere. Per questo lo sciocco, abituato a pensare in termini di spazio, pensa che non sia reale. Questo è oggi il peggiore dei luoghi comuni. La verità è che solo nell’assenza di luoghi, nel suo essere incontenibile, l’anima ritrova sé stessa.

Livio Cadè

 

 

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