Nel dialetto antico del mio paese la natura è il nome della vagina. Non conosco definizione più bella

LA GUERRA MONDIALE CONTRO LA NATURA

Abbiamo celebrato la giornata mondiale dell’Ambiente; istituzioni e media si sono devotamente inchinati al tema, quotidiani si sono perfino travestiti di verde per la liturgia ecologista. Ma perché si parla di ambiente anziché di natura? Perché la natura(1) è un nome antico che comprende col pianeta tutti i suoi abitanti, compresi noi umani; la natura è la realtà che noi non abbiamo creato ma che abbiamo trovato, che non dipende da noi. Natura evoca poi il diritto naturale, le creature come sono nate e magari un creatore o quantomeno una regina, detta Madre Natura. Natura è incontro fra differenze originarie, copula e procreazione.

Nel dialetto antico del mio paese la natura è il nome della vagina. Non conosco definizione più bella, essenziale e cosmica dell’organo genitale femminile. Natura come sito corporale in cui si nasce, prenderà corpo una persona, in quel futuro da cui verrà il nascituro: se la natura è alle origini, natura è anche nascita ventura. Se penso alla definizione di Natura del mio paese mi sovviene il celebre ritratto in primo piano della vagina nuda di Gustave Courbet chiamato non a caso “L’origine del mondo”. Perfetta è la corrispondenza tra il microcosmo del corpo femminile e il macrocosmo del mondo naturale.

«L’Origine du Monde». Gustave Courbet (1866). Museo d’Orsay di Parigi

Natura è anche l’alchimia della fecondazione, attraverso l’incontro tra il maschile e il femminile. Invece all’espressione natura si preferisce la definizione asettica, neutra, anonima, di ambiente; che può alludere anche a qualcosa di costruito, di modificato, può anche essere un capannone, un casermone o un laboratorio, magari con le pareti dipinte di verde. Non c’è distinzione tra ambiente naturale e ambiente artificiale.

Ma la ragione principale per cui esiste una retorica mondiale e ufficiale dedicata a salvare l’ambiente ma non esiste più una compagna per salvare la natura, è ideologica, filosofica e tecno-scientifica, e investe la concezione dell’uomo e della vita. Se dici natura non puoi prescindere dal riferimento alla natura umana, devi fare i conti con lei, a partire dalla nascita, come insegna l’antica saggezza popolare del lessico paesano. Non si può difendere la natura nelle piante, dell’aria, dell’acqua, degli animali, nel mondo vegetale e in quello minerale e non difendere la natura umana. E invece, noi oggi viviamo la guerra mondiale contro la natura; dico la natura umana. L’ambientalismo fanatico difende a spada tratta l’integrità genetica della carota dalle manipolazioni Ogm; ma accetta, anzi incoraggia, la modificazione genetica dell’uomo e la sua manipolazione radicale. L’identità della carota è più importante di quella umana. Nel senso che l’uomo, per l’ideologia transgender, è ciò che vuole essere e non ciò che la natura ha fatto.

Se ci fate caso, il tema dei nostri giorni, che riguarda in primo luogo la bioetica, quindi la biopolitica, e che investe l’umanità, il mondo, i rapporti tra gli uomini, parte proprio da qui: stiamo vivendo una guerra di liberazione dalla natura umana, per un’umanità mutante in tutti i sensi. L’uomo, anzi la persona, non si definisce in base alla sua natura ma in base alla sua volontà soggettiva, esso è ciò che vuole essere, ora; dico esso perché anche il lui e il lei sono variabili, non discendono più dalla natura ma sono il frutto di una scelta, anche provvisoria. Il desiderio è preminente sulla realtà e su ciò che viene dalla natura. Se percorrete in veloce rassegna i grandi temi dei nostri giorni che hanno sostituito le tematiche sociali e politiche, vi rendete conto che il convitato di pietra è la natura: il diritto di cambiare natura, sesso, il diritto alla maternità tramite decisione anche singola, più tecnologia e investimento (tramite fecondazione artificiale, utero in affitto, maternità surrogata), il diritto di abortire il frutto della natura, il figlio indesiderato, e ogni altro diritto che si contempla nel nostro tempo parte dal rigetto preventivo di ciò che la natura ci ha dato. La nostra libertà è concepita come un’emancipazione radicale e plurale dalla natura.

Il desiderio prevale sull’essere, la volontà sulla realtà, tutto può cambiar verso, natura, anatomia, relazioni. Natura evoca destino, e invece la nostra volontà soggettiva modifica il caso: il caso di essere nati maschi o femmine, da quei genitori, in quella famiglia, in quel luogo, in quel tempo, in quel popolo.

Lo stesso diritto si estende, al rapporto con i luoghi di nascita e di vita e investe i popoli e non solo i singoli. Ovvero nascere in un luogo è casuale, insignificante, come nascere da una coppia etero, padre e madre, perché quel che conta è dove decidi di andare a vivere. La natura non vale dunque nemmeno per il legame con i luoghi natii.

Ora il discorso da fare non è banalmente rovesciare l’imperativo presente e concepire la Natura come un Assoluto Immobile, pietrificato, non suscettibile di modifica e di mutamento. La natura stessa muta nei lunghi processi, non è inerte. Ma la vera battaglia è tra chi reputa la Natura, inclusa la Natura umana, come un bene da salvaguardare, un punto d’origine da cui partire e a cui tornare continuamente, pur nel corso dei necessari cambiamenti, e chi invece vede la Natura come un carcere e sogna di evadere e infine abbattere la prigione stessa. E nella natura è in gioco la difesa della realtà, dei nostri limiti, delle imperfezioni umane, rifiutando ogni delirio di onnipotenza, ogni pretesa del Soggetto di farsi Assoluto e mutante, come Proteo. In questo quadro è importante occuparsi della natura come ambiente e clima in pericolo, specie a rischio d’estinzione. Ma la natura, lo dicevano in epoche diverse e in ambiti diversi LucrezioLeibniz e Linneo, non fa salti ma procede per gradi; e non possiamo saltare il grado della natura umana nella salvaguardia del mondo.

 

 

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LA NATURA NELLA GRECIA CLASSICA

(1) I greci, concepivano la natura come quell’ordine immutabile, quell’orizzonte non oltrepassabile, quel limite insuperabile che nessuna azione umana poteva violare. Lo stesso Prometeo, l’inventore delle tecniche, non esita a riconoscere che «la tecnica è di gran lunga più debole della necessità che governa le leggi di natura». Quando la cultura greca incrocia la cultura giudaico-cristiana lo scenario muta perché la religione biblica, concependo la natura come creatura di Dio, la pensa come effetto di una volontà: la volontà di Dio che l’ha creata e la volontà dell’uomo a cui la natura è stata data in consegna per il suo dominio. Da quel momento il significato della natura non è più “cosmologico” ma “antropologico”. Essa, cioè, viene subordinata alle intenzioni della progettualità umana che, come vuole il programma della scienza moderna enunciato da Bacone scientia est potentia, conosce per dominare. Il problema che oggi si pone è la “misura” di questo dominio, che già Sofocle paventava quando nell’Antigone scriveva: «La natura ha forze tremende, eppure, più dell’uomo, nulla è tremendo». Il rapporto tra uomo e natura non è mai stato idilliaco come tanta letteratura romantica vuol farci credere.

Note dell’amministratore.

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