”La “verità” e la “curiosità” sono strettamente legate
LA NECESSITÀ DELLA CURIOSITÀ
La “verità” e la “curiosità” sono strettamente legate: perdendo la consapevolezza di una si rischia di perdere anche l’altra. Ecco il perché. (Vladimir Kush, “Diary of Discoveries”)
Un aneddoto simpatico riguarda un uomo, di nome Fred, che voleva volare. Egli affermava a gran voce a tutti che, se fosse riuscito a prendere abbastanza rincorsa e fare un forte balzo dalla cima di un monte, avrebbe sicuramente preso il volo. Ebbene, un giorno, il protagonista radunò una gran folla attorno a sé ed incominciò a predicare la sua incommensurabile potenza e destrezza. Ad un certo punto, quando ogni singola persona era stata catturata dalla sublime dialettica di Fred, questi decise di incominciare a prendere respiri profondi e iniziare a correre. Saltò. Come si può immaginare, questo povero sventurato, non tentò la seconda volta e la folla non rimase neanche troppo sorpresa. L’impresa fu raggiunta, probabilmente, da alcuni suoi pronipoti diversi millenni dopo e non grazie al solo utilizzo del proprio corpo, ma per mezzo di tecnologie ed invenzioni.
Due sono le costanti di questa vicenda che ancora oggi si presentano: la verità e la curiosità. Si andrà ora ad analizzare il perché.
Oggi si sa che la forza di gravità è mediata da particelle bosoniche – i gravitoni – che fungono da collante tra le particelle (K.W. Ford, Il mondo dei quanti). Questa forza si esprime in modo diretto alla massa delle particelle che compongono i corpi e indiretto alla loro distanza, con una accelerazione pari a 9,81m/s^2 nel campo fisico terrestre. Questa forza, fra l’altro, è debolissima nel mondo quantico, ma può essere così forte nell’universo da attrarre anche la luce. Tale incredibile differenza arriva a modificare la dimensione del tempo (per ulteriori approfondimenti si legga L’ordine del tempo, di Carlo Rovelli). Si conoscono questi e tanti altri motivi per il quale il nostro Fred si schiantò a terra.
Sicuramente Fred, pur non conoscendo ogni singola determinazione della forza di gravità, non poteva ignorare la sua esistenza, o, perlomeno, l’esistenza d’essa non poteva di certo ignorare lui.
Con ciò si vuole intendere che la verità può essere intesa analogicamente come la forza di gravità: anche qualora la si ignorasse, essa agirebbe comunque su tutti. Agisce sull’intero universo. Non solo: il lettore, per esempio, potrebbe ignorare che ora stia leggendo un articolo sul giornale Gazzetta filosofica, come potrebbe ignorare la persona che in questo momento gli sta accanto, iniziando a dimenarsi e lanciare pugni in aria. Potrebbe verosimilmente farlo, ma il fatto che sta accadendo, e a cui deve render conto, è che queste parole lui le sta leggendo, essendone consapevole, e vicino a sé c’è una persona che indubbiamente reagirà in una qualche maniera vedendolo dimenarsi, magari chiamando il 112 o il 118, a seconda che riceva un pugno oppure no.
Ovviamente si è banalizzato, riconducendo alla fisica o a delle faccende più empiriche, l’esistenza della verità nel pensiero dell’uomo. Tuttavia, si potrebbe forse negare la sua esistenza in altri ambiti del pensiero? Si potrebbe forse negare la verità che ogni cosa è in relazione con tutto? Qualcuno potrebbe di certo affermare: “Io non ho nessuna relazione con il mio vicino di casa antipatico, mi è totalmente indifferente!” Non si può essere indifferenti tout court a chi passa per strada, o al vicino di casa che non saluta, o all’emozione che prova chi è in sala d’aspetto dal dottore e infine al canguro che ora sta saltando in Australia. Si potrebbe effettivamente rispondere che l’interesse per quel vicino di casa antipatico è appunto quello di tenerlo a debita distanza per non avere un “ulteriore interesse” dalla relazione costituitasi di “vicini”.
Con lo stesso ragionamento si può affermare che c’è una relazione con tutto l’universo, non solo in senso fisico – si legga bene: relazione non è tutto ciò che si tocca –, ma anche come fatto concettuale, come “l’essere vicini di casa”. Queste relazioni universali sono frutto di un ragionamento, un pensiero, sono relazioni “spirituali”. Quello Spirito, il pensiero appunto, è ciò che permette di essere in relazione: dalla gravità – che una volta non si chiamava né era concettualmente conosciuta, come oggi, ma già “era” nello Spirito – al concetto di dignità e valore della vita umana. Anche la conoscenza di quest’ultima è cambiata nel tempo, ma non si può certamente dire che, ad esempio, nel XVI secolo un individuo di pelle scura, fustigato dalla mattina alla sera per lavorare il cotone, non subisse un atto crudele, razziale e contro la dignità umana. Sì, quell’atto, anche quando lo si considerava normale, era già razzismo, ovvero una forma di violenza contro l’essere umano. Quindi la verità è che all’epoca la considerazione di quell’uomo era quella, e andava indubbiamente contro, generando malesseri vari – come lo “schiantamento” a terra di Fred – a ciò che oggi si è certi di sapere riguardo al funzionamento delle relazioni umane.
Si torna alla seconda parte della costante che è presente nell’esperienza di Fred: la curiosità.
Come si è detto l’universo – o Spirito – è il tutto che si concretizza nel pensiero. Ad esempio, mentre io sto digitando sul mio PC i tasti, ogni lettera è in funzione dell’universo. Che significa? Che è una scelta su tutte le altre cose che posso scegliere. Quando digito la parola “scelta”, scelgo di digitare prima la lettera “s” poi la lettera “c”. Non scelgo, ad esempio, di mettere la lettera “i” dopo la “c”, come non scelgo di spegnere il PC o andare a bere un caffè, proprio perché si considera non giusta quella cosa, ma solo la lettera “c”. Quella scelta è fatta all’interno di un universo di possibilità che si presentano all’individuo. La scelta, la cosa da dire, pensare e agire, su tutto l’universo si pone quindi come il giusto “e” tutto ciò che in quella scelta è il non-giusto. La parte cruciale è che all’interno dell’insieme “non-giusto” ci sono anche tutte le cose che non si sanno, che si ignorano, come l’accelerazione gravitazionale per Fred.
Si potrebbe non scegliere? Certamente si potrebbe aspettare, rimanere neutrali, imparziali o, come va di moda, essere “politicamente corretti”, ma anche questa sarebbe una scelta che il soggetto reputa giusta rispetto a tutte le altre. Una scelta solo minimamente curiosa.
Con ciò, oltre a dimostrare l’esistenza del giusto e dello sbagliato, si vuole dimostrare con forza l’impossibilità del non-movimento dello Spirito. Scegliere è una azione attiva della conoscenza sulle cose, proprio perché la verità è che lo Spirito – il pensiero – è attivo nelle cose di tutto l’universo e non si può far finta che non lo sia. Il movimento, che risulta quindi necessario, mette in luce come sia anche necessaria la curiosità, interpretata come quel momento in cui lo Spirito cerca dentro se stesso – nell’universo – cosa sia più giusto scegliere. Non conviene quindi, per fare una scelta coerente e sana, conoscere il più possibile su questo universo che – anche qualora si ignorasse una sua parte – si presenta ed influisce sul soggetto? Certamente sì! Le scelte si fanno con e sullo Spirito. E se si considerassero le scelte come la parte corpuscolare più piccola del pensiero, allora l’insieme dell’Io, il sé più ampio e profondo, è proprio dato da una non-indifferenza verso l’universo e come vi è una non-indifferenza dell’universo verso l’Io. Da un insieme di atti e movimenti che permettono sempre più di conoscere e conoscersi.
Giovanni Gentile scrisse queste verissime parole:
«L’unità dell’Io è infinita, universale, intrascendibile, assoluta. Per pensare che l’Io faccia ad altri, questi altri si rannodano a lui, e sono dentro di lui, che non può più uscire da se stesso. E quello che egli è (pensare, sentire, o come che si denomini il suo operare, in cui il suo essere consiste) non si restringe mai nei limiti del particolare: perché egli non può né pensare, né sentire, né altrimenti realizzarsi, che in modo universale. E pensando, il tutto pensa con lui e in lui, e nel suo sentire si raccoglie e concentra il sentire dell’universo.» (Genesi e struttura della società).
Fonte: GazzettaFilosofica del 22 novembre 2017