Nel romanzo Ebdòmero, Giorgio de Chirico dissolve i confini tra realtà e immaginazione, esplorando la non dualità attraverso un linguaggio poetico e visionario. 

LA NON DUALITÀ IN DE CHIRICO: PURA MAGIA IN EBDÒMERO

il sacrificio e la rinascita, il sacro e il profano, l’umano e il divino, si dissolvono nell’unità

La non dualità emerge come filo conduttore nell’opera di Giorgio de Chirico, una dimensione metafisica che dissolve i confini tra realtà e immaginazione. Nel romanzo Ebdòmero, l’artista esplora un linguaggio poetico e visionario, immergendoci in un universo in cui tempo, spazio e identità si fondono in un’unica essenza magica. De Chirico ci invita a vedere oltre il visibile, sfidando ogni dualismo e riconoscendo l’unità fondamentale dell’essere. L’opera si configura così non solo come un’esperienza letteraria, ma come un viaggio filosofico nella magia dell’inesprimibile.


La non dualità in De Chirico. «Là in quella grande cassa di pietra sprovvista d’ogni ornamento ciò che del resto non guastava nulla Ebdòmero lo vide e si vide lui stesso, nudo ed inginocchiato, come Isacco che si offre al sacrificio:

«Dolci pecorelle, sorelle d’Isacco, Non dir quattro se non l’hai nel sacco.»

Curvi su lui, uomini taciturni e severi, con le maniche rimboccate sulle braccia erculee, lo tosavano accuratamente; si vedevano nella semioscurità della stalla i bagliori delle tosatrici d’acciaio. A destra, in un angolo, un raggio di luna che veniva da un abbaino del soffitto, faceva sulla paglia come chiazze d’argento e di mercurio; dall’altro lato, una lanterna posta per terra rischiarava una vacca col suo vitellino vicino, accovacciati tutt’e due nel concime; presso al gruppo degli animali, seduta sopra una panca, con le spalle appoggiate al muro e la testa cascante sul petto, una giovane contadina sonnecchiava circondando con le sue braccia un bambino coricato sulle sue cosce; Ebdòmero osservando i due gruppi della vacca e della contadina, pensò che se un pittore li avesse raffigurati in un quadro avrebbe intitolata la sua opera: “le due madri.»

La forza visionaria di De Chirico in Ebdòmero mi ha sempre colpito, ma questo passaggio in particolare mi tocca profondamente, soprattutto in questo periodo dell’anno in cui il tema della natività pervade i nostri pensieri, che siamo credenti o meno.

Ho scelto di condividere proprio questa scena perché racchiude, nella sua complessa semplicità, l’essenza della non dualità: il sacrificio e la rinascita, il sacro e il profano, l’umano e il divino si fondono in un’unica visione onirica ma tremendamente reale. Quello che mi affascina è come De Chirico riesca a sovrapporre diversi piani narrativi: Ebdòmero che vede se stesso come Isacco, pronto al sacrificio, mentre viene tosato come un agnello, in una scena che richiama sia il sacrificio biblico che la più umile quotidianità di una stalla.

La cinematografia della scena è magistrale: il raggio di luna che crea chiazze d’argento e mercurio sulla paglia, e là in quella grande cassa di pietra sprovvista d’ogni ornamento ciò che del resto non guastava nulla Ebdòmero lo vide e si vide lui stesso, nudo ed inginocchiato, come Isacco che si offre al sacrificio.

La semplice ma efficace metafora di Ebdòmero tosato della lana mi fa pensare alla dissoluzione dell’ego, al ‘neti neti’ vedantico, quel processo di sottrazione e spogliamento progressivo che rivela l’essenza ultima oltre le maschere illusorie dell’identità.

Immagine di proprietà di Crono.news.

Ma ciò che più mi emoziona è il parallelo tra “le due madri”: la vacca col vitello e la contadina col bambino. In questa immagine si dissolve ogni dualità tra umano e animale, tra natura e cultura. È un’immagine universale che trascende le differenze religiose e culturali, ricordandoci la nostra comune appartenenza al ciclo della vita.

In questo periodo dell’anno, mentre celebriamo la natività – sia come evento religioso che come simbolo universale di rinnovamento – questo brano ci ricorda che siamo tutti parte di un’unica grande narrazione. Il sacrificio di Isacco, la nascita di Gesù, il ciclo naturale della vita nelle stalle: tutto si fonde in un’unica verità che va oltre le apparenti divisioni.

Consiglio vivamente la lettura di Ebdòmero perché è un testo che sfida le nostre percezioni ordinarie, ci invita a vedere oltre le apparenze e ci ricorda che la realtà è molto più complessa e interconnessa di quanto spesso immaginiamo. È un libro che, come questo passaggio dimostra, ha la rara capacità di farci sentire simultaneamente spettatori e protagonisti del grande mistero dell’esistenza.

Cristiano Luchini

 

 

Approfondimenti del Blog

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Descrizione

Composto negli anni venti durante il suo soggiorno a Parigi, Ebdòmero è il romanzo-mondo di Giorgio de Chirico, espressione letteraria del suo immaginario visivo e artistico. De Chirico inventa un modo nuovo del narrare, che guarda alla libertà del surrealismo e alla potenza del montaggio cinematografico, attinge al mito e all’introspezione mentre racconta di “generali, ministri, pittori” che abitano un mondo in cui i sogni hanno i colori della realtà.
“ La favola di Ebdòmero si estende come un labirinto proliferante, un edificio capace di riprodursi, di progettare nuove ali, quartieri, aditi ed esiti; dunque sarebbe vano cercare un inizio e una conclusione, culmini privilegiati, scoperte modali: in un edificio, uno spazio, una città morta e compatta, un tempio accuratamente fastosamente sconsacrato, ogni punto è nodale, inaugura e sigilla.” – Giorgio Manganelli

 

APPROFONDIMENTI: «EBDÒMERO” TRA SACRIFICIO E METAFISICA»

La cassa di pietra e il simbolismo della morte

La “grande cassa di pietra” evocata nel passo rappresenta un simbolo potente, che può essere interpretato come un riferimento alla tomba o al contenitore eterno della condizione umana. Il fatto che sia “sprovvista d’ogni ornamento” suggerisce una semplicità spoglia, essenziale, in cui ogni elemento superfluo viene rimosso per rivelare l’essenza della vita e della morte.

In questa immagine, si riflette l’influenza del pensiero metafisico di de Chirico, che cercava di cogliere ciò che è oltre la realtà tangibile. La cassa, nella sua austerità, diventa il palcoscenico per un confronto diretto con l’eternità e l’oblio.

Ebdòmero: L’uomo e il sacrificio

Quando Ebdòmero si vede nudo ed inginocchiato, come Isacco che si offre al sacrificio, l’immagine richiama il celebre episodio biblico in cui Abramo è pronto a sacrificare il figlio per obbedire a Dio. In questo caso, però, non c’è un padre e nemmeno un dio evidente: Ebdòmero si offre volontariamente, indicando una riflessione più ampia sulla natura del sacrificio.

La nudità è simbolo di vulnerabilità, ma anche di purezza e verità. Essere nudi davanti a se stessi significa eliminare ogni maschera sociale, ogni costruzione culturale, e affrontare il proprio io essenziale. L’atto di inginocchiarsi è un segno di resa, non per forza al divino, ma forse al destino o al mistero stesso dell’esistenza. Questo gesto rappresenta anche una dissoluzione della dualità: l’umano e il divino si uniscono in un’unità metafisica.

La non dualità e la metafisica dell’identità

Il momento in cui Ebdòmero “si vide e si vide lui stesso” è emblematico di una crisi d’identità che si risolve nell’auto-riflessione. L’idea del doppio, così cara alla letteratura e alla filosofia, è centrale in questo passo: Ebdòmero è sia l’osservatore che l’osservato. Questo sdoppiamento metafisico rappresenta una delle grandi intuizioni di de Chirico, il quale spesso esplorava la tensione tra il soggetto e l’oggetto nella sua arte pittorica.

Attraverso questa scena, de Chirico sembra suggerire che la vera conoscenza di sé richiede un atto di distacco e osservazione. La cassa di pietra, allora, non è solo il simbolo della morte, ma anche della rinascita attraverso la consapevolezza di sé. Questo processo di dissoluzione delle opposizioni – vita e morte, sacro e profano – si inserisce nella metafisica della vita come unità superiore.

Arte e letteratura: il linguaggio di de Chirico

De Chirico, noto soprattutto per la sua pittura metafisica, trasferisce in Ebdòmero molte delle sue intuizioni artistiche. Le immagini letterarie del romanzo richiamano le sue tele più celebri: piazze deserte, statue enigmatiche, orologi senza tempo. Anche la “cassa di pietra” può essere letta come una metafora visiva, un oggetto che è al tempo stesso familiare e alieno.

Il linguaggio dell’opera è volutamente ambiguo, ricco di descrizioni poetiche e suggestioni oniriche. Questo stile spinge il lettore a interrogarsi sul significato profondo delle parole e delle immagini, rendendo Ebdòmero un’opera complessa ma straordinariamente evocativa.

L’eredità filosofica di “Ebdòmero

Il romanzo di de Chirico non è solo un’opera letteraria; è un viaggio filosofico attraverso il mistero dell’esistenza. La figura di Ebdòmero incarna l’uomo moderno, che si confronta con il vuoto e il senso di smarrimento, ma che trova nella riflessione un modo per ricollegarsi a qualcosa di più grande.

L’immagine del sacrificio e della nudità è un invito a guardare dentro noi stessi, a spogliarci delle nostre certezze per abbracciare l’ignoto. In questo senso, Ebdòmero parla non solo al lettore del Novecento, ma anche a chi, oggi, cerca risposte in un mondo sempre più complesso e frammentato.

La dissoluzione delle opposizioni – umano e divino, sacro e profano – riflette una visione della vita in cui ogni dualità si risolve nell’unità. Questo è forse il cuore della metafisica di de Chirico: un invito a riconoscere che tutto ciò che percepiamo come separato è, in realtà, parte di un unico disegno.

Leggere Ebdòmero non è solo un esercizio letterario, ma un atto di scoperta personale, un viaggio che ci porta a vedere noi stessi in una nuova luce, nudi e inginocchiati davanti al mistero della vita.
Redazione

 

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