Brutti tempi per chi è normale…
LA NORMOFOBIA
Brutti tempi per chi è normale, uomo, figlio, marito, padre. La privazione del padre è particolarmente disastrosa per i bambini, perché questi imparano a diventare uomini buoni imitando un uomo buono. Vale anche – ovviamente – per il ruolo materno, che non è assolutamente intercambiabile con quello paterno, una menzogna diffusa per alimentare la crisi dell’istituzione familiare e attaccare il dimorfismo sessuale.
La crisi dei bambini contribuisce alla crisi dell’Occidente, guidata dall’individualismo che ha lasciato uomini e donne disconnessi dalle relazioni, dalla natura umana e dalla verità oggettiva. Non va meglio alle bambine e alle madri: la crisi, devastante per l’universo maschile, non risparmia l’altra metà del cielo. Stiamo dissipando gli ultimi spiccioli di una gigantesca eredità culturale. Insieme con l’odio per la verità e la realtà, avanza una patologia nuova, la normofobia, (La paura dell’essere normali ha colpito tutto il mondo e tutte le persone, a tal punto che la società stessa si ritrova mutata e pronta a seguire nuove regole per rendere tutti diversi e unici) l’odio per la normalità. Ne parla Mary Harrington, autrice di Feminism against progress (Il femminismo contro il progresso, 2023). La normofobia è l’opinione – dominante nella cultura e nell’immaginario progressista – secondo cui nemico da odiare è tutto ciò che non è scelta soggettiva, il normale, il dato di natura. “La normofobia inquadra tutto ciò che è convenzionale, medio, dato, presupposto, tradizionale e normativo – sia di origine fisiologica che culturale – come costruito arbitrariamente e coercitivamente per sostenere interessi acquisiti, in particolare quelli degli uomini bianchi, cristiani ed eterosessuali. I normofobi radicali descrivono esplicitamente il loro obiettivo di sradicamento totale di questo dominio, secondo loro artificiale – del naturale, a favore del desiderio individuale libero e senza restrizioni.”
La famiglia è la più indifesa dalla normofobia. Il consenso normofobico nega ogni argomento legato alla normatività o alla natura associandolo al fascismo. Un chiaro debito nei confronti della “personalità autorità” teorizzata da Theodor W. Adorno. Vale per la morale sessuale e familiare, ma anche per la liceità di ogni eccentrica condotta rivendicata come diritto, elemento di una normalità capovolta. Si illude chi attende la reazione della maggioranza “sana”. Vano sperare in una miracolosa ri-cristianizzazione dell’Occidente nichilista. Troppo avanzato è il processo della bizzarra metafisica materialista, la teologia della menzogna che si è impadronita della narrazione e aggredisce le coscienze svuotate di principi. L’estensione della bugia dominante non modifica la realtà: l’uomo ha una natura e una normalità. Ciò che abbiamo perduto è la cornice comune, il contesto – evidente alle precedenti generazioni – che forniva nome e concretezza alla normalità “naturale”, ai dati invarianti della biologia, trasformandoli in sostrato comune.
Uno dei primi “normofobi” fu Wilhelm Reich, sostenitore di un pansessualismo malato, teorico di un’inesistente “energia orgonica” legata alla tensione erotica. Emblematico è un suo brano. “Dal punto di vista dello sviluppo sociale, la famiglia non può essere considerata la base dello Stato autoritario, ma solo una delle istituzioni più importanti che lo sostengono. Ma la sua cellula germinale reazionaria centrale è il luogo più importante di riproduzione dell’individuo reazionario e conservatore. Essendo essa stessa causata dal sistema autoritario, la famiglia diventa l’istituzione più importante per la sua conservazione.” La devastazione della famiglia, la tremenda inversione rappresentata dal matrimonio omosessuale è l’atto di più potente normofobia cui assistiamo. Nel 2024 gli Stati Uniti, proprio nel giorno di Pasqua – la resurrezione che fonda la nostra civiltà – hanno proclamato il giorno della “visibilità transessuale”, un atto di violento odio per la normalità e di promozione di una condizione psicofisica ed esistenziale appartenente al campo delle devianze, alla quale accostarsi con rispetto, cura e accoglienza, ma non come modello o “normalità”.
Vengono negate anche le implicazioni etiche delle tecnologie della “fertilità “umana, sganciate dalla normalità dell’incontro tra uomo e donna. Dietro a tutti queste problematiche c’è la questione della natura umana. Pensando alla famiglia ci ritroviamo a inciampare nella domanda su che cosa sia una famiglia, quali siano i suoi modelli normativi e perché. Che cos’è, chi è una persona? Abbiamo una natura? Esiste la normalità? Agli albori della modernità, Francis Bacon si proponeva di mettere in discussione la natura. La rivoluzione scientifica ha consentito un’esplosione di innovazione e commercio, insieme alla crescente sensazione di non essere più vincolati dai dati della creazione (o dell’evoluzione) ma di avere la missione di dominarla.
La fede nel progresso deriva dal rapporto malsano con la natura fatto di sfruttamento e dominio. Questa relazione è stata elaborata nel rigetto di ogni limite non scelto dall’uomo, in nome della libertà. Un’ elaborazione giustificata dalla convinzione che abbiamo il diritto di utilizzare qualsiasi mezzo per trascendere la natura, raddrizzare “il legno storto” (I. Kant) correggere i difetti del mondo (l’antica tentazione gnostica). Dalla metà del XX secolo la spinta a modificare la realtà si è rivolta all’ interno, verso i corpi, le culture e i legami umani, suscitando un’ulteriore esplosione di innovazione e nuove opportunità di commercio. Si è diffusa la sensazione che i dati del nostro corpo e delle nostre relazioni non dovevano più legarci. Oppure che tali dati non esistono affatto, matrici di modelli contingenti, costruiti culturalmente. Questa narrazione considera l’oggi, la sua distruzione creativa, programmaticamente migliore di ieri, fonte di scarsità, autoritarismo, primitivismo. Sostenere che abbiamo una natura, una normalità, significa opporsi al progresso, essere dalla parte sbagliata della storia.
Questa visione è tipica della cultura anglofona, la cui colonizzazione rende il fenomeno difficile da contrastare. Tuttavia, le strutture centrali della famiglia, luogo della nascita e della formazione dei figli, si fondano sulla non-scelta, come ha mostrato l’antropologo-icona Claude Lévy-Strauss. Allorché dichiariamo guerra alla normalità e alla natura, diventiamo incapaci di pensare in termini di famiglia, comunità, rispetto per la biologia. È l’ideologia perniciosa – la gabbia in cui rinchiudiamo la realtà – che rende nemico ciò che non è stato scelto, che è così per natura; un bigottismo che ha paura e odio per la normalità e la “datità” finendo per negare entrambe: normofobia.
La “datità” dei modelli familiari, delle identità personali, comunitarie, sessuali diventa limitazione del desiderio, delle possibilità, quindi- nel paradigma del progresso come libertà- autoritarismo nella forma più insopportabile per il normofobo, quella della natura biologica, della non-scelta, del solido anziché del fluido, del movimento continuo anziché dell’omeostasi, condizione di stabilità, conservazione e autoregolazione dei viventi. Ci si imbatte nella normofobia specialmente nel campo dell’identità sessuale. I modelli diventano l’androgino, il trans, l’omosessuale, le Drag Queen, lo stile di vita queer (bizzarro, estraneo alla normalità). Vivere in modo queer è definito dall’accademico americano Harper Keenan “una resistenza politica incarnata ai costrutti limitanti di genere e sessualità così come sono prodotti dalle istituzioni e dalle relazioni sociali che governano le nostre vite”. Lo scopo è una pedagogia indirizzata a inculcare il disgusto per le norme fisiologiche, sociali, morali e istituzionali. In altre parole, la creazione di una generazione di normofobi (e di spostati).
L’avanguardia normofobica marcia di pari passo con un’insidiosa variante, predominante tra la classe intellettuale, presente anche tra certi “conservatori”. Un deputato Tory britannico, Matt Hancock, ripreso dal video in una relazione extraconiugale con l’assistente, sposata e madre di tre figli, rispondendo alla difesa della “famiglia normativa” di un collega di partito, ne ha denunciato le argomentazioni “offensive” e “sbagliate”, e stigmatizzato la volontà politica di dare priorità ai matrimoni eterosessuali stabili. (se la relazione extraconiugale fosse stata con il marito dell’assistente non ci sarebbe stato nessun scandalo f.d.b.). Il presupposto è chiaro: non esiste un modello di famiglia. Questo è semplicemente falso. Se i governi fossero davvero interessati a una politica basata sull’evidenza, farebbero ogni sforzo per sostenere i matrimoni eterosessuali stabili. Numerosi studi hanno dimostrato che l’assenza del padre è collegata a un rischio maggiore che i figli crescano in povertà, sperimentino ansia e depressione, abbiano scarso rendimento scolastico, si uniscano a bande criminali, abusino di droghe e subiscano abusi sessuali. Perché questi dati inoppugnabili vengono ignorati? La risposta è che la normofobia è la tendenza fondamentale delle élite occidentali perché soddisfa i loro interessi e i loro comodi.
A partire dall’ opera del teorico liberale del secolo XIX John Stuart Mill, le preoccupazioni morali del popolo sono state oggetto di una continua rivoluzione dall’alto. I modelli vincenti, alla lunga, sono i comportamenti delle classi dominanti: la normofobia diventa fenomeno di massa. Ciò è chiaro nel campo “societale” (le norme di vita introiettate) e nel delicato ambito della libertà sessuale, in cui la dissoluzione di principi “forti” ha prodotto vantaggi soprattutto ai ricchi e potenti. Le donne delle classi medie e alte hanno guidato la battaglia contro le vecchie norme riguardanti la continenza sessuale e le aspettative comportamentali in una trasformazione morale che ha cambiato status e opportunità per il loro sesso ma innanzitutto per la loro classe sociale. Il maggiore consenso alla normofobia proviene dal mondo progressista, ma anche i conservatori hanno grandi responsabilità, poiché il loro unico credo riguarda l’aspetto economico, la ricchezza, la volontà di fare mercato di ogni follia o capriccio, se genera profitti.
L’abolizione della normalità produce dividendi asimmetrici: libertà per le élite, caos per il resto della società. I popoli, le persone comuni rischiano di affondare, private di chiari confini tra normalità e capriccio, giusto e sbagliato, coscienza dei limiti. Donne incarcerate si ritrovano a condividere le celle con uomini trans-identificati perché non esiste la normalità sessuale e l’autopercezione non è soggetta al tribunale della realtà. Dipendenze che portano al disagio sociale o alla morte diventano consumi di massa perché non è più normale astenersi da abitudini pericolose. Le famiglie e i singoli sono distrutti dalle dipendenze (droga, gioco, alcool, sesso, farmaci) perché non è consentito distinguere il bene dal male. In Germania è divenuto legale l’uso della cannabis, nonostante l’opposizione di medici e operatori specializzati. A fare le spese della normofobia dilagante sono soprattutto le ultime generazioni. Finisce la trasmissione dei valori, dei costumi, dei modi di essere delle comunità spappolate, rendendo la vita senza direzione. Innaturale, normofobica al massimo è l’inversione della relazione di accudimento tra adulti e bambini, a cui è imposto di vivere in modo innaturale in nome dei desideri degli adulti.
Il punto zero di questo rapporto invertito è il privilegio legale del desiderio di libertà della donna sulla vita dell’essere non ancora nato. Un altro esempio è l’assistenza all’infanzia da parte di estranei, che richiede ai bambini e talvolta ai neonati di sacrificare il loro bisogno di presenza materna per necessità economica, ma spesso per l’autorealizzazione della madre. Un caso futuristico è la “riproduzione assistita” mediante la maternità surrogata, una pratica dai risvolti morali normofobici, poiché indirizza i trattamenti non solo agli eterosessuali, ma a coppie omosessuali o a singoli in nome di un concetto inventato, l’“infertilità situazionale”. Sebbene sanitari e psicologi sottolineino l’importanza del legame prenatale per la salute psichica dei bambini e delle madri, gli appelli vengono ignorati in nome dell’“uguaglianza della fertilità”. Obbligano ogni bambino nato surrogato a sacrificare la continuità del suo legame materno, dalla gestazione alla prima infanzia, per soddisfare la volontà degli adulti committenti.
Khloé Kardashian, sorella della più nota Kim, ha riconosciuto questo costo esistenziale dopo aver acquistato un bambino attraverso la maternità surrogata. Ha descritto il fatto di aver preso possesso del piccolo dopo la sua nascita come “un’esperienza transazionale” che “non riguardava lui” e ha ammesso di aver lottato per creare un legame. Per fiacchezza morale ha evitato di trarne conseguenze. “Ciò non significa che sia buono o cattivo. È semplicemente molto diverso.” Commissionare un bambino su ordinazione non è solo “diverso”. La nostra natura è flessibile ma non infinitamente malleabile. Il sesso rimane dimorfico; ogni bambino ha una madre, un padre, un percorso di sviluppo normale.
La normofobia è un parassita della natura umana; abolisce i dati di fatto in nome del desiderio individuale. Troppi rimangono neutrali, indifferenti, permettendo all’odio per la normalità di diventare base culturale della società. Ben poco, nell’Occidente terminale, vi si può opporre, tranne la figura più resistente all’abolizione: il bambino, i cui bisogni “normali” non sono cambiati solo perché i desideri degli adulti sono diventati folli. Forse per questo la normofobia è arrivata al punto di considerare l’aborto- il rifiuto della trasmissione della vita – diritto universale, pegno della “salute riproduttiva”, espressione del linguaggio – e del mondo- invertito.
Roberto PECCHIOLI