”La settimana che si è appena conclusa ha girato intorno a una pesca
LA PESCA DI BENEFICENZA
La settimana che si è appena conclusa ha girato intorno a una pesca; il frutto che la bambina offre con un’angelica bugia a suo padre separato, dicendogli che gliela manda la mamma, allo scopo di riavvicinarli. Quando ho visto per la prima volta quello spot, non era ancora scoppiata la polemica, e in un primo tempo ho pensato, o forse sperato, che fosse uno di quei messaggi ministeriali, tipo pubblicità progresso, per promuovere la famiglia nonostante i divorzi e gli strappi e farlo dal punto di vista dei bambini.
E invece, l’unico vero messaggio d’amore famigliare che la tv ha lanciato non proveniva dal governo, ma era uno spot pubblicitario di Esselunga. Però, se permettete, è una piccola, promettente rivoluzione che nasce dalla società, dal costume, dalla percezione delle vere sensibilità della gente; non dalle istituzioni, dalla politica, e dai suoi assetti mutati. Dopo gli anni della famiglia felice del Mulino Bianco e affini, da anni domina nella pubblicità il messaggio woke(1), a cui ha dedicato un’analisi l’australiano Carl Rhodes (Il capitalismo woke, edito da Fazi)(2), denunciando “come la moralità aziendale minaccia la democrazia”. In pochi secondi di spot devi sorbirti le solite allusioni al mondo migliore, alla società multietnica, alla fluidità, al globalismo; ci dev’essere come ingrediente d’obbligo tra i protagonisti dello spot un amore gay o lesbico, un nero o una nera, a volte pure un giallo asiatico, e magari un disabile e un riferimento verde, ecosostenibile. Ma la pubblicità prevalente è incentrata sul culto di sé stessi, star bene con sé stessi, la mitizzazione di sé stessi, grazie ai prodotti miracolosi, creme, auto, pillole e integratori.
Poi, d’improvviso, ti imbatti in uno spot diverso; che non torna indietro al mondo dorato dei mulini finti della nonna, alle valli degli orti e alla stucchevole italianità o alla famiglia di una volta. Ma fotografa una famiglia reale d’oggi, con i genitori separati, la bambina un po’ triste ma reattiva, che vuol riannodare i ponti tra il papà e la mamma e lo fa servendosi di una pesca. La benedetta pesca ha la funzione inversa della mela del peccato; riporta in paradiso, nel piccolo paradiso della vita familiare quotidiana, almeno vista con gli occhi di una bambina.
Tenero, toccante spot, ha ragione Giorgia Meloni che elogiando lo spot e il suo messaggio, ha scatenato la reazione opposta dei cani pavloviani: appena dice una cosa la Meloni loro abbaiano e azzannano il bersaglio. Ma anche gli esegeti ufficiali dei giornali ufficiali hanno fatto i pesci in barile, parlando bene e male dello spot ed eludendo il messaggio più forte. Ma se fosse questo modo di pensare positivo, questo amore piccolo per la realtà, questo impulso all’unione, un punto di svolta mentre imperversa il catechismo woke e i suoi santuari?
Intendiamoci: chi fa una pubblicità non è mosso da ideali o spinte etiche, morali: sia i seguaci del woke sia gli artefici dello spot di Esselunga vogliono vendere i loro prodotti. Ma venderli in un modo anziché in un altro è una scelta significativa. E poi, c’è una specie di eterogenesi dei fini, per cui le intenzioni del committente o degli stessi autori a volte sono deviate, intercettano altri percorsi e raggiungono esiti involontari e impensati in partenza.
La bambina dice una bugia a fin di bene; quella che in chiesa si chiamava pia fraus, pia frode, o che Platone definiva salutari menzogne. Lei non lo sa, lo fa d’istinto, ma quella naturale propensione al bene, quella pesca d’amore e di beneficenza, è un messaggio finalmente positivo, nella sua disarmante naturalezza. È un continuo, martellante elogio della liberazione e della ritrovata libertà di singoli, i figli sono spariti dal racconto pubblico nel loro legame affettivo, se non come aspirazione di chi non può averli, soprattutto coppie omosessuali o chi pensa a uteri in affitto, fecondazioni artificiali. Qui siamo di fronte a una bambina nata dall’unione di un uomo e di una donna, che ha nostalgia della sua famiglia unita; vorrebbe ritrovare insieme le persone che più ama e che più amano lei; non sarebbero questi i messaggi migliori da lanciare dai video e da tutte le agenzia pubbliche, dalle scuole al web, passando per gli altri media, le associazioni, le istituzioni?
È proprio stomachevole, insopportabile fare coming out dei sentimenti più intimi, più veri, più inermi e più teneri, come quelli di una bambina verso i suoi genitori e viceversa? Ma dobbiamo aspettare un supermercato, una campagna promozionale del suo marketing, per veder circolare questi racconti e veder rappresentare questi sentimenti peraltro diffusi? Conosco famiglie giovani che pur con le loro imperfezioni, senza quadretti idilliaci o edulcorati, vivono bene la loro unità famigliare, l’amore ricambiato con i figli. E conosco famiglie di separati che potenzialmente potrebbero trovare in una pesca della provvidenza l’occasione per ripensare alla loro separazione e per riannodare rapporti lacerati. Perché invece la rappresentazione pubblica, cinematografica, pubblicitaria e mediatica ci racconta solo le famiglie in cui avvengono abusi, delitti, litigi e violenze o ci mostra solo modelli opposti a quelli della famiglia naturale e tradizionale? Esistono, e nessuno può negarli, anche altri tipi di unione ma perché devono diventare queste il paradigma delle famiglie e delle coppie?
Mi piace pensare che nel mutato clima, altri frutti spontanei di questo ripensamento della realtà possano sorgere qui e là e raggiungere ambiti finora refrattari, come il cinema, la fiction, il teatro, l’arte. Non si può escludere che in questo riposizionamento dei messaggi, vi sia anche la considerazione astuta, opportunistica, di cavalcare il mutamento politico, l’ondata destrorsa, di solito semplificata con la triade Dio, patria e famiglia. L’astuzia della storia, la mano della provvidenza, il cortocircuito di certe ideologie e il loro contraccolpo; pensatela come volete, ma è lecito pensare che il finale della storia non sia stato già scritto e nel modo che voi dite. I miracoli di una pesca fuori stagione.
Approfondimenti del Blog
(1)
Brillante e avvincente, il libro di Rhodes è un testo fondamentale per comprendere uno dei trend politici ed economici più rilevanti dei nostri tempi.
«È tempo di abbandonare l’idea che le imprese, in quanto attori principalmente economici, possano in qualche modo aprire la strada politica per un mondo più giusto, equo e sostenibile. Il capitalismo woke è una strategia per mantenere lo status quo economico e politico e per sedare ogni critica. Questo libro è un invito a opporgli resistenza e a non farsi ingannare». – Carl Rhodes
«Gran bel libro; forte capacità critica, pacata ma radicale; lettura scorrevole e piacevole; testo ricco, informato; argomentazioni acute e ragionevoli, impeccabili, del tutto condivisibili». – Carlo Galli, professore dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
«Mai prima d’ora l’ambiente di lavoro è stato così politicizzato e le aziende faticano per adattarsi alle richieste dei consumatori e dei dipendenti più giovani… [Capitalismo woke] esamina la storia di questo fenomeno, le cause politiche che ha abbracciato e le implicazioni per tutti noi». – Financial Times
Dagli spot di Gillette contro la mascolinità tossica ai miliardi di dollari donati da Jeff Bezos, CEO di Amazon, per la lotta al cambiamento climatico, fino alla sponsorizzazione di movimenti di massa come Me Too e Black Lives Matter. Sono sempre di più le grandi aziende che decidono di abbracciare cause politiche tradizionalmente progressiste (diritti civili, sostenibilità ambientale, antirazzismo, giustizia sociale), una tendenza che è stata definita capitalismo “woke”, ovvero sveglio, consapevole. Carl Rhodes ricostruisce la storia di questo importante fenomeno nato alla fine del XX secolo ed esploso nel XXI – dalla responsabilità sociale d’impresa degli anni Cinquanta al neoliberismo degli anni Ottanta, passando per l’appropriazione del termine woke, in origine usato dalla cultura afroamericana, fino ai dibattiti odierni – e discute criticamente che cosa esso significhi per il futuro della democrazia. Esaminando numerosi esempi di strategie aziendali politicamente corrette, Rhodes evidenzia come l’ascesa del capitalismo woke nella vita economica e politica contemporanea abbia conseguenze pericolose. Lungi dal risolvere i problemi della società, l’attivismo di multinazionali che dominano molti aspetti della nostra vita ha effetti antiprogressisti: trasformando la moralità in profitto, esso non solo legittima e consolida un’economia globale in cui miliardari e corporation si accaparrano quote sempre maggiori di ricchezza, ma espande il potere delle imprese a scapito delle istituzioni della democrazia. Come nota Carlo Galli nella prefazione, «il capitalismo woke qui è criticato non perché le campagne che sponsorizza sono sbagliate, o perché fa politica invece che profitti, né perché è poco coerente, ma perché è una funesta degenerazione delle forme politiche occidentale […] manifesta, dandola per ovvia e irreversibile, la fine della distinzione tra politica, società e terzo settore […] L’economia non si limita a invadere l’intera società, ma si sostituisce direttamente allo Stato».
La Verità – 1 ottobre 2023