Labatut ci invita a riflettere su come il desiderio di conoscenza possa spingere l’umanità verso i confini dell’ignoto

Hieronymus Bosch, L’estrazione della pietra della follia (o La cura della follia), 1484 ca., Madrid, Museo del Prado.

LA PIETRA DELLA FOLLIA DI BENJAMÍN LABATUT

di Riccardo Alberto Quattrini


Il titolo stesso, La pietra della follia,(1) richiama un dipinto di Hieronymus Bosch, “Cura della follia” o “Estrazione della pietra della follia”, che raffigura una superstizione medievale secondo cui la pazzia era causata da una pietra nel cervello, rimossa chirurgicamente. Questo riferimento sottolinea l’idea di una ricerca ossessiva della verità che può condurre alla follia. Inoltre, l’opera si collega al precedente libro di Labatut, “Quando abbiamo smesso di capire il mondo”(2), che esplora le vite di scienziati le cui scoperte hanno avuto conseguenze profonde e spesso inquietanti.

È un’opera che intreccia narrativa e saggio, esplorando i confini tra razionalità e follia attraverso figure emblematiche della scienza e della letteratura. Pubblicato in Italia da Adelphi nel 2021, il libro si inserisce nella collana “Microgrammi” e offre una riflessione profonda sulla conoscenza e i suoi limiti.

L’opera di Labatut è un’opera che si muove con grazia tra narrazione e riflessione, portando il lettore in un viaggio inquietante nelle vite e nelle ossessioni di tre figure straordinarie: un visionario del terrore cosmico, un matematico che sfidò l’infinito e uno scrittore che mise in discussione la realtà stessa. Ogni capitolo è una finestra su una mente che ha toccato i confini dell’umano, rischiando di perdersi.

Tentacoli, simboli arcani e geometrie oscure,  Un’immersione nell’immaginazione dell’autore, capace di evocare l’insondabile e il terrificante.

Lovecraft: il cartografo dell’ignoto

Il primo incontro è con H.P. Lovecraft, l’uomo che trasformò l’indicibile in storie che ancora oggi ci perseguitano. Labatut ci conduce nei meandri della mente del creatore dei miti di Cthulhu, un autore che non si limitò a raccontare l’orrore, ma che cercò di rappresentare il caos primordiale che giace oltre i limiti della comprensione umana. L’universo di Lovecraft è una mappa senza confini, popolata da divinità indifferenti e geometrie impossibili, specchio di una mente che tentava di dare forma all’informe. Leggere Lovecraft, secondo Labatut, è come scrutare l’abisso, sapendo che esso potrebbe guardarci a sua volta.

Hilbert: l’architetto dell’assoluto

Dal regno dell’immaginazione ci spostiamo alla precisione della matematica con David Hilbert, un uomo determinato a svelare i segreti dell’universo con formule e postulati. Labatut lo descrive come un architetto che cercava di costruire un ponte verso l’assoluto, affrontando problemi che avrebbero definito il secolo. Ma in questo tentativo di ingabbiare l’infinito, emerge una crepa: cosa succede quando ciò che vogliamo comprendere sfugge a ogni definizione? Hilbert ci appare non solo come un genio, ma come un uomo alle prese con l’angoscia del limite, costretto a confrontarsi con il paradosso che l’infinito non può essere contenuto.

La mente visionaria di Philip K. Dick, con paesaggi futuristici frammentati, figure androidi malfunzionanti e strati di realtà che si sovrappongono e collassano.

Philip K. Dick: il viaggiatore tra i mondi

Infine, Labatut ci introduce a Philip K. Dick, il profeta di un futuro che si piega e si frantuma sotto il peso delle sue stesse illusioni. Con Dick, il confine tra realtà e finzione diventa labile, quasi evanescente. Labatut ci porta attraverso i deliri di un uomo ossessionato dalla verità, incapace di fidarsi persino dei suoi stessi ricordi. Nei suoi romanzi e nelle sue visioni, Dick costruisce mondi che collassano su se stessi, specchiando una mente che vacilla tra intuizioni geniali e frammentazione psicotica.

Ho attribuito la follia al nastro di Möbius che metaforicamente è attinente al tema della follia. Il nastro di Möbius è un oggetto geometrico che ha una sola superficie e un solo bordo, pur apparendo come un nastro bidimensionale con due lati. Questo paradosso richiama la natura della follia, spesso descritta come un ciclo senza fine, in cui realtà e irrealtà si mescolano in modo inestricabile.

Il nastro di Möbius e i volti distorti simbolici del pensiero frammentato, in un paesaggio surreale e misterioso.

Nella follia, come nel nastro di Möbius, non c’è una chiara distinzione tra interno ed esterno, tra il razionale e l’irrazionale. La mente può rimanere intrappolata in un loop infinito, simile al movimento che si può fare lungo il nastro senza mai trovare un inizio o una fine.

La follia, così come il nastro di Möbius, sfida la nostra percezione ordinaria di ciò che è lineare e continuo. In ambito psicologico, la follia può essere vista come un continuo stato di distorsione, in cui i confini tra realtà e immaginazione si piegano su se stessi, creando una realtà ambigua.

Il nastro di Möbius è stato spesso utilizzato come metafora per descrivere concetti filosofici complessi, come l’unità degli opposti insegna che la polarità non è una divisione assoluta, ma un aspetto necessario della realtà. Attraverso la comprensione e l’accettazione degli opposti, si possono superare conflitti e raggiungere una visione più ampia e armoniosa del mondo. Eraclito sosteneva che “la guerra è madre di tutte le cose” non celebra la distruzione, ma sottolinea come il conflitto e la tensione siano necessari per il rinnovamento, il cambiamento e la creazione. È un invito a vedere nell’apparente caos un principio di ordine e trasformazione.e che gli opposti (come giorno e notte, vita e morte) sono necessari per l’equilibrio e il cambiamento dell’universo.

Questo può applicarsi anche alla follia:

Razionalità e follia sono due poli che, nel nastro della mente umana, possono intrecciarsi e confondersi. Nel contesto del libro di Labatut, la follia dei protagonisti è spesso una conseguenza del tentativo di superare i limiti della conoscenza razionale, portandoli a una spirale che richiama la continuità del nastro di Möbius.

L’attinenza tra il nastro di Möbius e la follia sta nella loro comune sfida alla nostra percezione della realtà. Entrambi evocano un senso di paradosso, continuità e ambiguità, rendendo il nastro di Möbius un potente simbolo per rappresentare gli stati mentali che trascendono il razionale e si avventurano nell’irrazionale.

Dunque, in “La pietra della follia”, Labatut non ci offre risposte, ma ci invita a condividere la fragilità e la bellezza di coloro che hanno osato sognare oltre i limiti, anche a costo di smarrirsi. Una lettura che risuona come un avvertimento e una celebrazione della nostra irrefrenabile sete di conoscenza.

Stile e Ricezione Critica

Labatut adotta uno stile che mescola narrativa e saggio, creando un testo ibrido che invita il lettore a riflettere sui temi proposti. La critica ha accolto positivamente l’opera, lodando la capacità dell’autore di intrecciare storie e riflessioni profonde in un formato conciso. Ad esempio, una recensione su De Baser evidenzia come Labatut riesca a “trascinare il lettore in un viaggio nella follia partendo dal suo straziato Cile e svelando che nessuno di noi può essere al sicuro dentro le proprie convinzioni”.

Conclusione

L’attinenza tra il nastro di Möbius e la follia sta nella loro comune sfida alla nostra percezione della realtà. Entrambi evocano un senso di paradosso, continuità e ambiguità, rendendo il nastro di Möbius un potente simbolo per rappresentare gli stati mentali che trascendono il razionale e si avventurano nell’irrazionale.

Riccardo Alberto Quattrini

 

 

 

Bibliografia

Opere di Benjamín Labatut

  1. “La pietra della follia” (2021)
    • Pubblicato da Adelphi nella collana “Microgrammi”.
    • Riflessione su scienza, follia e limiti della conoscenza.
    • ISBN: 9788845936347.
  2. “Quando abbiamo smesso di capire il mondo” (2020)
    • Pubblicato in Italia da Adelphi.
    • Esplora il confine tra progresso scientifico e le sue conseguenze imprevedibili.
    • ISBN: 9788845935074.

Fonti e approfondimenti

  1. Hieronymus Bosch: “Cura della follia”
    • Studio del dipinto che ispira il titolo e parte del tema del libro.
    • Disponibile su cataloghi d’arte o siti di analisi storica dell’arte.
  2. Saggi su Lovecraft e il suo impatto:
    • Joshi, S. T. (1996). H.P. Lovecraft: A Life. Hippocampus Press.
      Un riferimento critico completo su Lovecraft, con particolare attenzione al contesto culturale delle sue opere.
  3. David Hilbert e i limiti della matematica:
    • Hilbert, D. (1900). “Mathematical Problems.”
      Il discorso originale sui 23 problemi matematici presentato al Congresso Internazionale dei Matematici a Parigi.
  4. Philip K. Dick e la percezione della realtà:
    • Dick, P. K. (1981). How to Build a Universe That Doesn’t Fall Apart Two Days Later.
      Un saggio che offre spunti sulla filosofia dell’autore e sul tema della realtà alternativa.
  5. Sul rapporto tra scienza e follia:
    • Foucault, M. (1961). Storia della follia nell’età classica.
      Un classico per comprendere il legame tra follia, conoscenza e potere.

Recensioni e articoli

  1. DeBaser:
    • Recensione di La pietra della follia: DeBaser.it
      Analisi dei temi e delle implicazioni dell’opera.
  2. State of Mind:

Riviste accademiche e siti utili

  • Project MUSE (per articoli accademici su scienza e letteratura).
  • JSTOR (per approfondimenti su Hilbert, Lovecraft e Dick).
  • Treccani Online (per contesto filosofico e storico).

 

Approfondimenti del Blog

(1)

 

 

 

Descrizione

Come e quando gli incubi di Lovecraft, le visioni di Philip K. Dick e l’inquietante matematica di Hilbert – sciolti nell’inferno che chiamiamo Rete – abbiano finito per diventare qualcosa che assomiglia al nostro mondo. O peggio, che lo è.

(2)

 

Descrizione

Libro vincitore del Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica 2022

La nascita della scienza moderna in un lussureggiante intrico di storie

«Nel suo appassionante viaggio tra le scoperte che hanno rivoluzionato il nostro modo di vedere il mondo, Benjamin Labatut ribalta ogni luogo comune su chi le ha compiute. E soprattutto sul loro metodo: più visionario che positivista» – Marino Niola, Robinson

«Si accendono come visioni, come improvvise epifanie, i capitoli di Quando abbiamo smesso di capire il mondo» – Left

«La matematica e la scienza raccontate come un’inquietante, grandissima storia di fantasmi» – Philip Pullman

C’è chi si indispettisce, come l’alchimista che all’inizio del Settecento, infierendo sulle sue cavie, crea per caso il primo colore sintetico, lo chiama «blu di Prussia» e si lascia subito alle spalle quell’incidente di percorso, rimettendosi alla ricerca dell’elisir. C’è chi si esalta, come un brillante chimico al servizio del Kaiser, Fritz Haber, quando a Ypres constata che i nemici non hanno difese contro il composto di cui ha riempito le bombole; o quando intuisce che dal cianuro di idrogeno estratto dal blu di Prussia si può ottenere un pesticida portentoso, lo Zyklon. E c’è invece chi si rende conto, come il giovane Heisenberg durante la sua tormentosa convalescenza a Helgoland, che probabilmente il traguardo è proprio questo: smettere di capire il mondo come lo si è capito fino a quel momento e avventurarsi verso una forma di comprensione assolutamente nuova. Per quanto terrore possa, a tratti, ispirare. È la via che ha preferito Benjamín Labatut in questo singolarissimo e appassionante libro, ricostruendo alcune scene che hanno deciso la nascita della scienza moderna. Ma, soprattutto, offrendoci un intrico di racconti, e lasciando scegliere a noi quale filo tirare, e se seguirlo fino alle estreme conseguenze.

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