Un viaggio nel confine tra genio e follia, dove la matematica e la scienza si incontrano con l’abisso della condizione umana
LA PIETRA DELLA FOLLIA
di Benjamín Labatut
Come e quando gli incubi di Lovecraft, le visioni di Philip K. Dick e l’inquietante matematica di Hilbert – sciolti nell’inferno che chiamiamo Rete – abbiano finito per diventare qualcosa che assomiglia al nostro mondo. O peggio, che lo è
Nella filosofia contemporanea, per “retrattilità” si intende quella caratteristica del mondo e degli oggetti per cui quanto più essi vengono studiati e indagati, tanto più rivelano di sé delle parti oscure, nuove, incognite. Come rileva Benjamín Labatut, è proprio tale caratteristica a essere alla base del mondo in cui viviamo, con il quale riusciamo a interfacciarci in maniera sempre meno sicura e che mostra di sé aspetti quanto mai sinistri. Nel suo nuovo saggio, l’autore illustra infatti come a un’evoluzione tecnologica in ascesa esponenziale non corrisponde affatto un mondo più ordinato e comprensibile, ma, in maniera decisamente controintuitiva, la realtà che viviamo sembra sempre più sfuggire al nostro controllo.
TRAMA
“La pietra della follia” è una raccolta di storie che esplora la sottile linea tra genialità e follia attraverso la vita di grandi scienziati e matematici del ventesimo secolo. L’opera mescola narrazione e saggio, presentando eventi storici intrecciati con elementi di finzione per svelare il lato oscuro della conoscenza. Labatut si concentra sui momenti cruciali in cui queste figure storiche si sono spinte al limite del sapere umano, sfidando le convenzioni della scienza e della logica. Attraverso storie come quelle di Werner Heisenberg e Alexander Grothendieck, il libro mostra come la ricerca della verità possa condurre a una perdita di stabilità mentale e alla riscoperta di un’umanità fragile e complessa. La narrazione, densa di tensione emotiva e filosofica, guida il lettore in un viaggio in cui il progresso scientifico si scontra con l’incertezza, rivelando la bellezza e il pericolo nascosti nella sete di conoscenza.
“La follia è una pietra che pesa sulla mente, ma pochi sanno che non può essere semplicemente tolta: deve essere compresa, accarezzata, resa leggera.”
Labatut, ci accompagna in un percorso affascinante e inquietante, una narrazione a metà tra il saggio e la narrativa, in cui il confine tra la scienza e il mito si assottiglia fino quasi a scomparire. Un’opera che è molto più di una semplice raccolta di storie: è un’indagine appassionata sulla natura della scoperta e sulle sue conseguenze imprevedibili, sulla bellezza che si nasconde nei numeri e sull’oscurità che talvolta li accompagna.
Labatut racconta di uomini straordinari che, nelle loro ricerche verso l’ignoto, hanno rischiato di perdere la propria umanità. Come le vite di matematici e scienziati, da Heisenberg a Grothendieck, si intrecciano in questo testo – la loro dedizione assoluta al sapere si traduce in una caduta verso l’abisso, la pietra della follia che è al contempo un simbolo e una realtà nella loro esperienza. Labatut ci offre momenti di pura intensità, come in questo estratto:
“Ogni scoperta, ogni passo verso l’ignoto, sembrava sfidare non solo la scienza, ma il senso stesso dell’esistenza”.
Uno degli estratti più potenti è la descrizione della notte in cui Werner Heisenberg, da solo su un’isola, Ecco un estratto che illustra questo momento:
“L’intuizione gli arrivò in una notte di isolamento assoluto, quando ogni logica sembrava disgregarsi, e l’universo intero, come un gigante addormentato, pareva trattenere il respiro”. L’immagine dell’uomo da solo con la vastità del cosmo e la fragilità delle sue certezze è forse la più evocativa dell’intero libro: “Era come se il mondo intero, tutta la realtà, fosse sospesa sopra un baratro senza fondo, pronta a collassare al primo errore.”
La forza di Labatut sta nel rappresentare la tensione tra la razionalità e il precipizio dell’incertezza. I protagonisti del libro, pur mossi dalla loro ricerca di conoscenza, sembrano sempre più vicini a un punto di non ritorno, dove le loro scoperte non sono solo intuizioni scientifiche, ma esperienze profondamente umane, talvolta dolorose e sconvolgenti.
“La scienza non è soltanto metodo, ma anche delirio metafisico: l’illusione di pensare che questo nostro mondo sia conforme a un ordine, un ordine che possiamo non soltanto riconoscere, ma persino comprendere.”
Nel romanzo, la “pietra” diventa un simbolo della pesantezza del disagio interiore, una condizione che non può essere semplicemente rimossa senza capire il dolore da cui nasce. Attraverso il personaggio del medico, il libro esplora la lotta tra la ragione scientifica e la comprensione empatica dell’individuo. Il medico rappresenta l’approccio della società moderna: cercare soluzioni rapide e razionali, senza voler comprendere appieno la complessità della mente umana. Questa lotta diventa un conflitto centrale quando il medico si scontra con il limite del proprio sapere e scopre che, a volte, comprendere il dolore significa anche accettarne l’irrazionalità.
L’altro lato della medaglia è rappresentato dai pazienti, figure umane che non sono semplicemente “malati”, ma portatori di una verità alternativa, scomoda e irrazionale, che mette in discussione i limiti della normalità. Il romanzo suggerisce che ciò che viene etichettato come ‘follia’ spesso è solo una lente diversa attraverso cui guardare il mondo, una lente che consente di vedere oltre il velo delle convenzioni.
“Era come se tutti i segreti del mondo fossero racchiusi in quella mente frammentata. Voleva afferrarli, ma più si avvicinava, più la nebbia delle illusioni si faceva densa.”
Questo contrasto tra chi cerca di ‘guarire’ e chi è considerato ‘malato’ rappresenta il vero nucleo tematico del libro, lasciando al lettore il compito di riflettere se la follia sia veramente una condizione da rimuovere, o piuttosto una parte della natura umana che ci permette di esplorare i limiti della realtà e della coscienza.
In definitiva, “La pietra della follia” è un’esplorazione intima della fragilità della mente umana, un invito a considerare le diversità psicologiche non come un difetto da correggere, ma come un’altra forma di essere che merita ascolto e comprensione. È un romanzo che mette in discussione l’idea stessa di normalità e cura, suggerendo che, per quanto tentiamo di ‘rimuovere’ la follia, essa ci appartiene come parte integrante della nostra esperienza umana.
Analisi finale:
“La pietra della follia” è un’opera che lascia il lettore con una sensazione di meraviglia inquieta. Labatut riesce a farci riflettere su quanto sia fragile l’equilibrio tra il progresso e la follia, mostrando come la conoscenza, pur essendo un faro nell’oscurità, può anche diventare fonte di smarrimento e angoscia. La profondità con cui l’autore esplora il legame tra genio e disperazione offre un ritratto commovente e destabilizzante della condizione umana, rendendo questo libro una lettura essenziale per chiunque sia interessato a comprendere le complessità del pensiero scientifico e le sue conseguenze sull’animo umano.
L’autore:
Benjamín Labatut, nato a Rotterdam nel 1980 e cresciuto tra l’Aia e il Sud America, è diventato uno degli scrittori più intriganti della scena letteraria contemporanea. I suoi lavori mescolano realtà storica e finzione, dando vita a narrazioni che sfidano il lettore a riflettere sul significato della conoscenza e sull’impatto che essa ha sulla nostra esistenza. Tra le sue opere più celebri troviamo “Quando abbiamo smesso di capire il mondo”, che ha ricevuto un’accoglienza entusiastica a livello internazionale per la sua profondità e originalità.
Altri titoli consigliati: Se ti è piaciuto “La pietra della follia”, potresti trovare stimolante anche “Lezioni di fisica” di Carlo Rovelli, o “I sonnambuli” di Hermann Broch, entrambe opere che esplorano il fragile equilibrio tra scienza, razionalità e i misteri dell’universo.