”Al cinema si riaccendono le luci, mi guardo intorno: i due terzi del pubblico sono donne
LA RITIRATA DEI MASCHI
IL SALISCENDI DELLE DONNE
Al cinema si riaccendono le luci, mi guardo intorno: i due terzi del pubblico sono donne. Per essere più precisi, la metà sono coppie, e l’altra metà quasi solo donne. In libreria mi guardo intorno: la maggioranza assoluta tra i banconi e alla cassa sono donne. Idem nei musei e nelle mostre, più donne che uomini. Al teatro pure. Se vai in bus o in metro e vedi qualcuno leggere libri, quasi certamente sono donne. Potrei continuare. Quando presento i miei libri il pubblico tende sempre più ad essere prevalentemente femminile. E dire che trent’anni fa, erano quasi tutti uomini, soprattutto giovani.
Cambio scena, l’ultima tornata elettorale. Le donne sono sparite. Nelle grandi città prima c’erano un paio di donne sindaco, a Torino e Roma, ora sono scomparse. Neanche una donna, nemmeno ai ballottaggi. In politica se non ci fosse Giorgia Meloni, non ci sarebbe una sola donna leader, neanche nei partiti più femministi. E la beffa più divertente è che la donna più votata in questa tornata di elezioni comunali, anzi il candidato più votato a Roma, sia Rachele Mussolini. Una donna che di nome e di fatto, nel sangue e nelle idee, non si può certo ascrivere al femminismo sinistrorso… C’è una sola donna che governa una regione, in Umbria, ed è del centro-destra; ce n’erano un altro paio, ora non più. La Regione è una toilette per soli uomini. I sindacati, sia dei lavoratori che degli imprenditori, un tempo avevano qualche donna al loro vertice, ora non più. Mosche bianche. Mi pare che la stessa cosa valga per le cariche istituzionali, una mosca bianca (ancora una volta di centro-destra, alla guida del Senato) e poi ovunque masculi, pur suddivisi in varie fasce o per restare alle classificazioni sicule: omini, mezziomini, ominicchi, piglianculo e quaquaraqua.(P.I.)
Il paradosso si può riassumere in una considerazione biforcuta: ma guarda, le donne crescono e sono prevalenti nei territori liberi, nella società, nelle sale cinematografiche, nei teatri, nelle librerie, nelle gallerie – ovvero dove non ci sono quote rosa, fasce obbligate e minimi garantiti. Spariscono invece ai vertici dei mondi pubblici, a partire dalla politica e dalla pubblica amministrazione, dove vigono invece norme in favore della rappresentanza femminile. Una prova in più che le quote di genere non funzionano; ingessano la scala sociale, mortificano i meriti e le capacità individuali, riconosciuti pure dalla Costituzione, ma al tempo stesso non producono riassestamenti di leadership in chiave femminile. E se andate a vedere dietro la campagna di una donna al Quirinale, in larga parte serve – come in passato – a segare qualche candidato maschio in pole position, più che per ottemperare a un obbligo moralistico e un po’ fatuo di genere. Avessimo una Merkel, capirei…
Come leggere questa schizofrenia italiana, e non solo italiana? Con un’interpretazione a due corsie: la ritirata dei maschi dalla vita sociale e culturale ma non dal potere e dalle leadership; e l’espansione delle donne nella vita sociale e culturale ma non nel potere e nelle leadership. E comunque, i flussi liberi, gli accessi aperti e per così dire naturali, garantiscono più circolazione e fluidità rispetto agli irrigidimenti prescrittivi e delle tirannie di genere.
Detto questo, però, qualcosa dobbiamo pur dirla sull’altro versante, quello maschile. La ritirata dei maschi da quegli ambiti vitali in cui si forma la mentalità di un paese, il profilo e la narrazione, è veramente penosa, sconfortante. Quel che accade nei campi della cultura, dello spettacolo, della rappresentazione e della vita sociale, prima o poi diventa l’orientamento prevalente negli altri ambiti. Per la politica, le istituzioni, le amministrazioni, i vertici, è solo questione di tempo ma prima o poi anche lì avremo l’egemonia femminile. E non so se chiamarla emancipazione femminile o piuttosto decadenza maschile; non se il fenomeno primario sia da ascrivere più a un’accresciuta sensibilità delle donne o a un crescente inebetimento dei maschi. Direi salomonicamente a entrambi.
Il repertorio classico delle motivazioni ancora regge, pur nel suo corredo di ovvietà: quando l’uomo andava in guerra e a caccia, quando era colui che sfidava l’incognito e le intemperie, si sporgeva fuori casa e portava da mangiare alla famiglia, comunque si occupava quasi esclusivamente delle fonti di sostentamento, aveva una naturale propensione e autorevolezza non solo a guidare la società (e la famiglia) ma anche a interpretarla, a capirla, tramite la cultura, lo spettacolo, la ricreazione. Oggi, se eccettuiamo lo sport, dove la presenza femminile negli stadi e negli eventi, in primis calcio, è cresciuta enormemente ma non è ancora maggioritaria, il resto è tutto un sorpasso. Prevale lo stereotipo del bamboccione, motteggiato dalle donne con la frase-sentenza: “non hai le palle”. Viceversa, il lavoro delle donne fuori casa, il ruolo sociale, l’intraprendenza nella vita privata, di relazione e nei rapporti sessuali, ha determinato un diverso equilibrio domestico e sociale.
Non penso ci sia da esultare o da mortificarsi; così va la vita, e non sono certo i pregiudizi femministi o maschilisti ad aiutarci a capire e a vivere meglio. La saggezza empirica è quella di valutare le situazioni reali, le persone, le loro qualità e i loro limiti senza partire dai sessi. Non è il caso di legiferare per correggere, sostenere, impedire alcunché. Non voglio nemmeno inerpicarmi in quelle insidiose e nebulose letture trans-ideologiche sul fatto che siamo passati da una società sul piano dei valori a conduzione maschile, paterna, virile a una società a conduzione femminile, materna, sia in versione delicata che virago. È successo ed è una pagina nuova di storia. Intanto per semplificare, contempliamo il paradosso schizoide: lo Stato è maschio e la Società è femmina.
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