La marcia su Roma fu una rivoluzione con il consenso dei genitori

LA RIVOLUZIONE RASSICURANTE DI MUSSOLINI


La marcia su Roma fu una rivoluzione con il consenso dei genitori. Quando presidenti, odiatori e leccatori sostengono oggi che fu l’avvento di una banda di criminali guidata da un delinquente, dopo atti di barbarie e di violenza, dimenticano che quella Marcia avvenne col largo consenso dei poteri e del popolo italiano, spaventati entrambi dalla rivoluzione bolscevica in Russia e dal biennio rosso di violenze e soprusi in Italia.

Un testimone insospettabile, Palmiro Togliatti, sottolineò che conservatori, liberali e clericali sostennero il fascismo, insieme alla grande industria, alla monarchia, allo stato maggiore dell’Esercito, alle gerarchie del Vaticano. In una conferenza a Bari il 23 marzo del 1952, dedicata a Gramsci e pubblicata nel volume La politica culturale, ed. Riuniti, 1974, il leader comunista affermò: “Quando il fascismo costituisce il governo, qual è il partito che gli nega la collaborazione? Nessuno! Nel primo governo Mussolini vi erano quattro popolari, due liberali, due nazionalisti e cinque democratici”. E riferendosi a De Gasperi, Togliatti ricorda il sostegno dello statista democristiano al governo fascista e a “parecchie riforme buone” come lui le definiva, sostenendo in un discorso tenuto a Milano il 22 gennaio del 1924: “Al banco dei ministri siedono le idee che io rappresento”.

Cosa fu la Marcia su Roma? Una controrivoluzione preventiva, come scrisse l’anarchico Luigi Fabbri e dissero i comunisti? Un colpo di stato, come scrisse Missiroli? Una crisi parlamentare con salutare soluzione extraparlamentare, come pensò Benedetto Croce? Una rivoluzione indolore, senza vittime e senza caos, come poi disse il Re? Un’insurrezione che poi diventò regime, come scrisse Mussolini? Una rivolta solo minacciata, una parata con prova simulata di rivoluzione? Sul piano dei fatti la Marcia su Roma fu tutto questo. Ma nel suo significato politico la Marcia su Roma fu una «rivoluzione rassicurante» perché volle rassicurare il Paese e il suo establishment, il popolo e i “palazzi”. Già dal 1921 il rivoluzionario Mussolini aveva lasciato i toni antisabaudi, anticlericali e antiborghesi. Con la Marcia rassicurò la Corona, lo Stato, le Istituzioni, le forze armate e i militi, la Magistratura, la Chiesa, la Borghesia, il Capitale, e pure il Parlamento, fece un governo di coalizione. E rassicurò gli italiani che si sarebbe ripristinata la legalità, l’ordine pubblico, la vita normale, la sicurezza sociale, l’amor patrio. «Tutto funzionò in quei giornidisse sette anni dopo il Renon ci furono vittime, le scuole restarono aperte, i tribunali, i magistrati fecero il loro dovere, gli operai andarono ugualmente fiduciosi a lavorare». La rivoluzione, per il Re, riportò ordine nel «popolo più indisciplinato della terra».

In secondo luogo, la Marcia su Roma non fu la calata dei barbari sulla capitale. L’azione fascista nasceva dal grembo della cultura italiana, dopo lunga incubazione. Non la sostennero solo gli agitatori dell’arte, della letteratura e del giornalismo, i futuristi e i nazionalisti, ma anche i maggiori scrittori, poeti, musicisti e pensatori; e figure come il duca d’Aosta e la Regina Margherita. Benedetto Croce aveva presieduto nel 1914 il Fascio d’ordine che auspicava l’alleanza tra liberali nazionali e cattolici e criticava la massoneria, il giudaismo e il parlamentarismo.  Ma gran parte dei gerarchi fascisti erano massoni e non pochi ebrei, già irredentisti e nazionalisti, marciarono su Roma. Croce paragonò le squadre fasciste alle «orde del cardinale Ruffo che avevano servito a scopi nazionali» e, da seguace di Sorel, disse a Giustino Fortunato che «la violenza è levatrice della storia». Alla Camera votò la fiducia al Duce anche dopo il delitto Matteotti.

Nel 1921 Mussolini siglò un patto di pacificazione con i socialisti, mentre nasceva il partito comunista dalla costola rivoluzionaria del Psi che era stata più vicina a Mussolini ai tempi dell’interventismo rivoluzionario. L’Italia fascista fu il primo Paese occidentale a riconoscere l’Unione Sovietica pochi mesi dopo l’avvento al potere.

il Bienno Rosso: alle origini della violenza come metodo di lotta politica

Dove nasce la Marcia su Roma? Dalla Guerra vinta e sanguinante, frustrata e mutilata, i tanti Caduti, l’esperienza del fronte con l’adrenalina ancora in circolo, le sue ferite aperte e le sue energie rimaste attive. Nasce poi dal caos del dopoguerra, dagli scioperi e dalle violenze del biennio rosso. E ancora: nasce dal cortocircuito tra decadenza politico-civile ed esuberanza giovanile-culturale. Infine, dalla forte personalità di un Capo che fu chiamato Duce (dicono che il primo ad appellarlo in quel modo fosse stato Pietro Nenni, già suo compagno di galera, ai tempi dell’interventismo rivoluzionario).

Il fascismo fu, come scrisse Nolte, «il modello di una rivoluzione conservatrice e incruenta». Rivoluzione-restaurazione. Eppure, era imbevuta degli umori più rivoluzionari: MarxNietzsche e il loro anello di congiunzione, Georges Sorel. La stessa cosa avvenne con il totalitarismo: la parola fu coniata per il fascismo, la rivendicarono Gentile e Mussolini, ma il fascismo non fu mai un regime totalitario compiuto: non ne ebbe i tratti delineati da Hannah Arendt né la ferocia; durante il regime Monarchia e Chiesa, Capitale e Apparati dello Stato restarono in piedi, quasi indenni. Il fascismo fu un regime autoritario di massa, e una dittatura cesarista e nazionalpopolare.

Nel ’21 Mussolini si fece monarchico e legalitario, fu il primo «ateo devoto», ritenne la missione universale della Chiesa romana un orgoglio per l’Italia. Impresse la svolta di regime, come egli stesso scrisse su Gerarchia, quando istituì il Gran Consiglio del Fascismo e la Milizia Volontaria per la sicurezza nazionale, da un verso costituzionalizzando il fascismo ma dall’altro ponendo sotto tutela fascista lo Stato. È curioso infine ricordare che nel ’21 nelle consultazioni al Quirinale l’allora deputato Mussolini suggerì al Re di nominare capo del governo il presidente della Camera di allora, Enrico De Nicola. Quando cadde il fascismo e poi la monarchia, il monarchico De Nicola fu il primo provvisorio presidente della Repubblica. Heri dicebamus, avrebbe detto Croce. La democrazia riprese laddove era stata interrotta, e seguì il consiglio del Dittatore…

Il fascismo non è il Mostro venuto dal Nulla ma il figlio della nostra storia e il frutto delle ideologie moderne. Il fascismo fu la rivolta vitalista contro la decadenza della civiltà e la minaccia del bolscevismo, nel nome di un passato mitico e di un avvenire glorioso. La volontà di potenza fu la fonte della sua energia vincente ma anche dei suoi disastri, inclusa la rovina finale. Questo ci pare il suo necrologio onesto. Ma sul fascismo interessano solo le dannazioni.

 

 

 

 

 

 

La Verità – 28 ottobre 2022

 

 

 

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