”“Tyger! Tyger! Burning bright/in the forests of the night”
LA TIGRE
“Tyger! Tyger! Burning bright/in the forests of the night”.
- “Tigre, tigre, ardente luminosa.
- Nelle foreste della notte.
- Quale mano o occhio immortale.
- Potrebbe inquadrare la tua spaventosa simmetria?” William Blake, The Tyger
Senza dubbio i versi più famosi sulla Tigre. L’interpretazione più possente e suggestiva del felino che, più di ogni altro, Domina, e inquieta, l’immaginario umano.
La Tigre non è il “re della foresta”. Quel ruolo – nel nostro immaginario urbano, moderno, quindi sradicato dal contesto naturale – lo attribuiamo, per abitudine, al leone. Trono consacrato da tutta una letteratura e una filmografia. Con l’inevitabile portato del Simba Disneyano.
E forse la Tigre rappresenta in qualche modo, molto, anzi profondamente diverso, qualcosa che giace negli anditi più nascosti del nostro subconscio collettivo. E ci inquieta.
Bruce Chatwin sostiene – in pagine particolarmente ricche di forza e suggestione – che quando i nostri remoti avi erano nomadi, e vivevano in un ben diverso rapporto con la Natura, cacciatori /raccoglitori che coglievano, e predavano, ciò che l’ambiente offriva, non occupavano il vertice di quella che, oggi, con infelice espressione pseudo-scientifica, chiamiamo catena alimentare . Infelice, perché riduce alla mera sopravvivenza biologica, se vogliamo allo stomaco, tutta l’esistenza. Comunque, non eravamo noi gli assoluti Signori del Mondo. Eravamo sì già predatori. Ma, a differenza di oggi, eravamo anche prede.

E, secondo Chatwin, prede privilegiate di un grande felino appartenente alla specie degli smilodonti. La Tigre dai denti a sciabola. Di qui il timore reverenziale che ancora ci incute l’immagine della Tigre. E cui William Blake diede voce con questi versi compenetrati di stupore. Lo stupore che si prova di fronte ad una bellezza così intensa, così terribile nella sua essenziale semplicità da toglierci il respiro. Una illuminazione. Che non può essere mai indolore.
E Kipling, in quella straordinaria favola allegorica che è Il libro della Jungla, ha saputo dar corpo come nessun altro a questa paura atavica. La grande Tigre, mangiatrice di uomini, acquattata nel profondo della foresta. La minaccia che incombe. E che, per diventare uomo, Mowgli dovrà affrontare. E uccidere.
La Tigre è bellezza. Stupore. Jorge Luis Borges ha dedicato pagine straordinarie a questo tema. Pagine inquiete e inquietanti. Come Le Tigri azzurre.. Dove la cerca di una misteriosa variante della specie, caratterizzata, appunto, dal colore azzurro, diventa un arduo percorso logico. Di logica matematica e simbolica. Quasi a significare che la Tigre, in questa sua incarnazione fiabesca di straordinaria bellezza, rappresenti un processo intellettuale, tanto raffinato ed estremo da divenire “pericoloso”. Laddove la parola “pericolo” significa qualcosa che si trova al limite. Sul confine tra l’ordine e il caos.

L’uomo teme la Tigre. Ne ha terrore. Ma non può non essere affascinato dalla sua terribile bellezza, come dice Chesterton. Non può non esserne attratto. Forse perché la tigre è in noi. E con lei ci dobbiamo misurare, se vogliamo davvero imparare a vivere. Ad essere uomini. E non fragili prede della paura.
Mentre sto scrivendo, sul divano a penisola, ho un sussulto. Il piccolo Simba, il gattino che mio figlio ha voluto come regalo per il suo ultimo compleanno, e che oggi ha circa cinque mesi, mi è saltato sulla pancia. E comincia a fare le fusa. Lo accarezzo. È lungo, molto, per la sua età. Razza abissina tra i suoi antenati. Pelo rosso arancio, maculato, coda lunghissima, ricurva, sottile, e punta bianca. Comincio ad accarezzarlo. E guardo i suoi occhi. Dolci e selvaggi.
Oscar Wilde, ancora lui, ha detto che Dio ha creato il gatto proprio per permettere all’uomo di accarezzare una Tigre….

[btn btnlink=”https://electomagazine.it/la-tigre/” btnsize=”small” bgcolor=”#eded00″ txtcolor=”#000000″ btnnewt=”1″ nofollow=”1″]Fonte: ElectoMagazine del 25 ottobre 2021[/btn]