Montale dimenticato: il simbolo di una cultura in declino
LA TOMBA DI MONTALE E IL DEGRADO DELLA CULTURA ITALIANA
Antonello Cresti
La grandezza culturale di un Paese non si misura solo dai premi e dai riconoscimenti, ma dal rispetto per il proprio patrimonio intellettuale. Se l’Italia è stata culla di giganti della letteratura, dell’arte e del pensiero, oggi sembra incapace di custodirne l’eredità. Il degrado della tomba di Eugenio Montale diventa così il simbolo di un Paese che dimentica i suoi maestri e, con loro, il valore della cultura stessa.

La cultura di un Paese non si misura solo dai premi vinti, dalle celebrazioni ufficiali o dalle vuote commemorazioni istituzionali, ma soprattutto dalla capacità di custodire e onorare la memoria dei suoi grandi. In questo, l’Italia sta fallendo miseramente. Il caso della tomba di Eugenio Montale a San Felice a Ema, Firenze, che rischiava di finire nell’ossario comunale se non fosse stato per la battaglia degli eredi, è uno di quei segnali tanto silenziosi quanto inquietanti del degrado culturale in cui siamo sprofondati.
Parliamo di Montale, un poeta e pensatore vincitore del Premio Nobel per la Letteratura nel 1975, quando ancora quel riconoscimento aveva un peso autentico e non era diventato un titolo da spartire tra gli scribacchini di corte, benedetti da apparati mediatici compiacenti e accademie intellettualmente sterilizzate. Un poeta che con il suo sguardo disincantato e la sua parola aspra e lucida ha descritto la disgregazione dell’individuo moderno e il naufragio dell’Occidente nella palude della mediocrità. Oggi, il destino della sua tomba sembra metafora perfetta della dissoluzione di una cultura che si lascia morire con rassegnazione, sommersa dal rumore di un presente privo di profondità.
Ci si potrebbe chiedere come sia possibile che l’Italia, terra di poeti, artisti e pensatori, abbia smarrito il senso della propria grandezza. Ma la risposta è sotto gli occhi di tutti: l’amnesia culturale non è un effetto collaterale della modernità, è un progetto. Un progetto silenzioso ma costante, portato avanti attraverso il dominio dell’effimero, la glorificazione del futile e la sistematica demolizione di qualsiasi pensiero critico.
In una società dove tutto viene ridotto a consumo immediato, dove i cicli dell’informazione e dell’intrattenimento si rinnovano in un vortice sempre più rapido, la memoria diventa un peso, un ingombro da rimuovere. Perché fermarsi a leggere Montale, quando si può ingozzarsi di contenuti mordi e fuggi, confezionati per il consumo rapido e l’oblio istantaneo? Perché ricordare la profondità della poesia, quando l’intero panorama culturale è colonizzato dall’industria dello spettacolo, con il suo carrozzone di star usa e getta e il circo annuale del Festival di Sanremo?
La progressiva marginalizzazione di figure come Montale rientra in una dinamica più ampia, che Pier Paolo Pasolini aveva denunciato con feroce lucidità: l’omologazione culturale. Oggi, il conformismo non viene imposto con la violenza, ma con la seduzione dell’intrattenimento. L’intellettuale scomodo viene semplicemente ignorato, sepolto sotto montagne di contenuti superficiali e discorsi vuoti. Non serve censurare Montale: basta lasciarlo morire due volte, la prima fisicamente, la seconda nell’indifferenza generale.
Ci troviamo così in un’Italia che ha abdicato alla sua funzione storica di culla del pensiero e dell’arte per trasformarsi in un luna park del futile, dove il valore culturale si misura in like, visualizzazioni e audience televisiva. L’orizzonte dell’industria culturale non è più quello della ricerca della bellezza e della verità, ma quello della produzione di consenso e omologazione. In questo panorama, l’idea che Montale possa ancora dire qualcosa alle nuove generazioni diventa quasi un atto sovversivo.
Eugenio Montale, con la sua tipica ironia amara, probabilmente non si sarebbe sorpreso di tutto questo. Del resto, era un poeta profondamente consapevole del naufragio della modernità e dello svuotamento della parola. Forse, avrebbe sorriso, con il suo ghigno disincantato, nel vedere che la sua memoria suscita fastidio in un Paese che preferisce trastullarsi con i testi delle “canzoni” sanremesi piuttosto che confrontarsi con il peso della propria eredità culturale.
Ma questo sorriso è anche la nostra condanna. Perché se un Paese non è più in grado di difendere la memoria dei suoi giganti, allora si condanna a diventare un’ombra di sé stesso. Il destino della tomba di Montale non è solo un episodio di cronaca: è il segnale di un declino che, se non verrà arrestato, farà dell’Italia non più la terra di Dante, Leopardi e Montale, ma un triste parco giochi per analfabeti funzionali e consumatori di spazzatura culturale.
