È finito il tempo degli eroi, dei grandi condottieri, delle civiltà, contano solo le vittime

LA VITTIMA HA SEMPRE RAGIONE

Marcello Veneziani

“Il Prezzo della Vittima” Quando Marco Ferretti, giornalista indipendente e spirito critico, legge la sentenza della Cassazione che impone un risarcimento ai migranti trattenuti sulla nave Diciotti, resta sconcertato. Quarantamila euro per pochi giorni a bordo di una nave: una cifra che stride con le difficoltà quotidiane di migliaia di italiani abbandonati dallo Stato. Ma in un mondo in cui la vittima ha sempre ragione, chi osa mettere in discussione la narrazione dominante? Deciso a indagare, Marco inizia a scavare dietro le quinte del caso, scoprendo le dinamiche di potere, le pressioni politiche e i giochi di interessi che trasformano la giustizia in un campo di battaglia ideologico. Ogni passo lo porta più vicino a una verità scomoda, una realtà in cui le vittime non sono sempre innocenti e i colpevoli non sempre carnefici. Ma smascherare il meccanismo ha un prezzo. Più Marco si avvicina al cuore del sistema, più si accorge di essere diventato lui stesso un bersaglio. In un’Italia dove la giustizia sembra piegarsi alla morale del politicamente corretto, esiste ancora spazio per la verità? f.d.b.


Leggo la sconcertante sentenza della Cassazione che impone al governo di risarcire i migranti che furono trattenuti sulla nave Diciotti per alcuni giorni ai tempi del governo gialloverde guidato da Conte: una sentenza che farà danni a catena perché da un verso scoraggerà chiunque dal fare il proprio dovere nel vigilare sugli sbarchi clandestini e sugli accessi irregolari e dall’altro verso incoraggerà migliaia di migranti a chiedere risarcimenti denunciando situazioni analoghe di presunte angherie subite.

Poi leggo che il governo in occasione dell’8 marzo, un tempo Festa della Donna ora divenuta festa della vittima, vara la legge contro i femminicidi; ovvero finisce l’universalità della legge, ci sono omicidi più gravi di altri, per genere e statuto. Anche se da quando si è coniato il femminicidio, i delitti contro le donne sono aumentati anziché diminuire.

Intanto sullo scenario internazionale l’unico collante che tiene insieme l’Europa e che la spinge perfino ad armarsi in fretta e furia, spostando le risorse sulle spese militari è la solidarietà con la vittima Zelensky e con l’Ucraina. Poi vedo che in Italia la sinistra scenderà in piazza sabato prossimo in nome dell’Europa, reputata vittima con l’Ucraina del bullismo di Trump. Ma il vittimismo, a sinistra, si ritorce contro l’Europa stessa, accusata di volersi armare e dunque di voler passare da vittima a potenziale aggressore; sicché la manifestazione in favore dell’Europa diventa una manifestazione contro l’Europa che si arma… No all’America di Trump, no all’Europa delle Armi, non all’Italia della Meloni; un programma davvero costruttivo… Sono i circoli viziosi in cui si perde la sinistra, che è nemica acerrima della realtà e del senso comune.

Eurofolli

Dall’altro versante, l’accusa ricorrente che viene rivolta a Giorgia Meloni è di atteggiarsi a vittima ora della sinistra, ora dei magistrati, ora dei media, ora di chiunque ostacoli il suo cammino di governo. La Meloni fa la vittima e ci marcia, dicono i suoi accusatori. Anzi si osserva che la destra intera campa sul vittimismo, sul sentirsi discriminata, patisce la sindrome di Calimero. In realtà l’indole della destra storicamente non era quella di parteggiare per le vittime ma per i vinti, ovvero per coloro che sono, si, perdenti ma dopo aver combattuto, Ora il vittimismo starebbe prendendo il posto del “vintismo”.

Il vintismo è un termine che richiama gli anni Venti del Novecento e indica la tendenza a rievocare modelli autoritari, nazionalisti o reazionari di quel periodo. In pratica, è una visione politica che guarda indietro, idealizzando la forza e il decisionismo come soluzioni ai problemi attuali. Veneziani dice che oggi il vintismo sta lasciando spazio al vittimismo, cioè a una società in cui prevale la competizione tra chi si presenta come più oppresso e meritevole di tutela. f.d.b.

Mettete insieme tutti questi fatti così disparati e avrete un referto unico: questo è il tempo delle Vittime. Se parli di storia devi parlare solo dalla parte delle vittime, dei genocidi e dei massacri patiti; l’unico patriottismo consentito è per le patrie altrui, vittime di turno o vittime per antonomasia.

È finito il tempo degli eroi,(1) dei grandi condottieri, delle civiltà, contano solo le vittime. Beati i popoli che non hanno bisogno di vittime… Ma il discorso si estende a ogni altro ambito. Se si parla dei ragazzi, degli adolescenti, il solo vero argomento di preoccupazione è la loro vulnerabilità, la loro fragilità, insomma il loro statuto di vittime della società, degli adulti, dei bulli, dei genitori. I ragazzi vanno protetti, difesi, dalla violenza della società e perfino dei discorsi. A scuola l’attenzione verso i disabili e i ritardati è ormai prioritaria rispetto al ruolo educativo, formativo e selettivo della scuola; legioni di docenti sono ormai ridotti a mansioni di badante, perché impiegati come insegnati di sostegno per chi ha carenze. Anche nello sport le paralimpiadi hanno ormai una visibillità quasi pari alle Olimpiadi. La difesa a oltranza delle minoranze, come il colorato mondo lgbtq+, è in fondo la protezione di una categoria con lo statuto speciale di vittime. E lo stesso vale per i rom, i neri, i migranti. Siamo entrati da anni nell’era del vittimismo universale. Lo notavamo già alcuni anni fa, e lo ripetiamo da tempo.

Al vittimismo ora dedica un affilato saggio Pascal Bruckner, che già si era occupato di temi collaterali ma che ora esce con un pamphlet dal titolo inequivocabile, Povero me! Perché le vittime sono i nuovi eroi, (2)edito da Guanda. La vittima non è solo compatita, ma si trasforma in modello di riferimento, eroe non per quel che ha fatto ma per quel che ha subito; perfino nella toponomastica aumentano le strade dedicate alle vittime, mentre si diradano le vie dedicate ai grandi, ai geni, agli eroi, ai pionieri dell’umanità. Il vittimismo, spiega René Girard, risale a un dispositivo antico, in uso in alcune civiltà tradizionali, affine al capro espiatorio e al sacrificio rituale. Ma è indubbio che il vittimismo nel nostro tempo sia una distorsione del cristianesimo, una derivazione secondaria dei precetti cristiani. Però Sant’Agostino avvertiva che non è la pena ma la causa a fare i martiri. Ovvero, non è la malvagità altrui a santificare la vittima, ma il fatto che la vittima abbia messo a repentaglio la sua vita, la sua incolumità, per una grande causa, per testimoniare la fede, la carità, la giustizia e il bene.

Intendiamoci, il vittimismo è sempre esistito ed è stato uno degli alibi più potenti per giustificare le proprie azioni e le proprie pretese. A volte perfino i lupi si travestono da vittime, quando vogliono trovare una scusa per aggredire gli agnelli, come ci dicono le antiche favole di Fedro. Ma l’essenza dell’ideologia woke, come del comunismo di ieri, è la coincidenza tra giustizia e vittimismo: potere alle vittime, o quantomeno protezione speciale per loro, con risarcimento e onoranze.

Bruckner sottolinea acutamente che il vittimismo è l’altra faccia dell’edonismo diffuso nella nostra società; c’è una specie di dolorismo sotterraneo che fa da contraltare alla ricerca spasmodica del piacere, quel sottile intreccio di ricerca della felicità e propensione alla tristezza, che fa della nostra società una galleria di depressioni. La sofferenza, anzi, è divenuto un prolifico genere letterario, secondo Bruckner, e gli outing di violenze subite, di malattie attraversate, di traumi patiti sostanzia la vena autobiografica, i coming out, assai diffusi nel nostro tempo.

Come tutte le patologie, il vittimismo è una virtù degenerata in vizio. In origine aver cura e premura verso chi soffre, verso chi subisce ingiustizia e violenza, è una sensibilità meritoria, alimentata anche da un vivo senso di giustizia e umanità; diventa invece patologica quando antepone il vittimismo a ogni altro criterio di valutazione, cancella ogni merito, valore, qualità ed eccellenza per dare priorità alle vittime; si creano poi categorie che per mestiere sono vittime e spesso vittime sedicenti; il vittimismo diventa alibi, mestiere, attività da cui trarre profitto. Insomma, la vittima ha sempre ragione anche quando ha torto. Ma il peggior vittimismo è quello di chi trae profitto personale nel nome e per conto delle vittime. Ovvero ritira lui l’incasso per aver fatto l’avvocato della vittima. Quante vittime presunte, e presuntuose…

La Verità – 14 giugno 2024
La Verità – 9 marzo 2025

 

 

Approfondimenti del Blog

«CANCELLATE GLI EROI E LE GRANDI IMPRESE»

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Descrizione

«Si consuma su scala globale una sorta di competizione fra le disgrazie dove ciascuna deve gridare più forte delle altre. Alla fratellanza tra gli sconfitti subentra la cacofonia dei lamentosi, che promuovono la figura del martire e alimentano le due grandi passioni della vendetta e del risentimento.»

Nell’Occidente edonistico la sofferenza è diventata oggetto di culto. Quell’umanità che prima aspirava al progresso e alla modernità è ora sostituita da un’umanità vittimizzata, per cui la libertà coincide con il diritto di lamentarsi. Tutti, anche i privilegiati, fanno a gara nell’esibire le proprie disgrazie per innalzarsi al di sopra degli altri, col rischio di creare una nuova aristocrazia di paria a discapito dei veri emarginati. Ma cosa accade quando il desiderio di essere riconosciuti come vittime diventa l’unica spinta della società contemporanea? In questo saggio puntuale e attualissimo, Pascal Bruckner affronta una delle questioni centrali del nostro tempo: la genealogia e il trionfo dell’ideologia vittimistica. In un mondo globalizzato che ci pone sfide sempre più complesse – dal cambiamento climatico alla guerra, alla violenza, al terrorismo – questa egemonia del vittimismo, che porta poi al risentimento e alla vendetta, non può che rivelarsi perdente. Per non crescere le nuove generazioni in una società della paura e della rassegnazione, sostiene Bruckner, è necessario quindi abbandonare questa propensione all’infelicità e alla fragilità. «Gli uomini e le donne devono imparare a opporsi alla seduzione del panico. Sta tutto qui l’eroismo di essere semplicemente umani». Piangeremo impotenti sulla durezza dei tempi o troveremo il coraggio di resistere ai colpi del destino?

 

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