Ulisse, il multiforme eroe dell’epica omerica
LE DONNE DI ULISSE
un Viaggio tra Passione e Astuzia
di Riccardo Alberto Quattrini
Ulisse, il multiforme eroe dell’epica omerica, è una figura che non si definisce solo per le sue imprese, ma anche per le relazioni profonde e contraddittorie che intreccia con quattro donne: Penelope, Circe, Calipso e Nausicaa. Questi incontri sono più di semplici episodi del suo viaggio; rappresentano specchi della sua natura, esplorano la tensione tra passione e astuzia, e si inseriscono in un dialogo eterno tra l’istinto e la ragione, tra il desiderio di libertà e il richiamo alla responsabilità. Queste figure femminili riflettono i conflitti interiori di Ulisse, rendendolo un simbolo complesso della condizione umana, costantemente diviso tra il richiamo dell’avventura e il dovere verso la famiglia e la patria
Penelope è l’immagine della pazienza e della perseveranza. Tessitrice del tempo della fedeltà. Come il telaio su cui lavora per vent’anni, ella tesse e disfa non solo la tela ma anche le illusioni dei Proci, mantenendo viva la speranza del ritorno del marito. Ulisse e Penelope condividono una caratteristica unica: l’astuzia.
“Entrambi i tessuti sono inganni, ma mentre quelli di Ulisse servono a fuggire o sopravvivere, quelli di Penelope sono rivolti a proteggere.”
Penelope utilizza l’inganno per conservare l’integrità del regno di Itaca e la speranza del ritorno del marito. Mentre Ulisse inganna per adattarsi e sopravvivere ai suoi incontri, Penelope tesse e disfa la sua tela come un atto di resistenza e difesa contro i Proci, preservando ciò che Ulisse sta disperatamente cercando.
L’Odissea celebra questa donna che non è mai passiva, ma parte integrante della narrazione. Quando Penelope sfida Ulisse a provare la sua identità chiedendogli del loro letto nuziale, dimostra che il loro legame non è mai stato solo carnale, ma intellettuale:
“Nessun mortale potrebbe smuovere quel letto, a meno che non abbattesse l’olivo che io stesso scolpii e plasmavo” (Odissea, X)
Questo passaggio fa riferimento al letto nuziale di Ulisse e Penelope, che è scolpito direttamente nel tronco di un olivo radicato nella terra. Questo simbolo è potente: l’olivo rappresenta la solidità del loro legame, immutabile e profondo, unito alla casa e alle radici di Itaca. È attraverso questa descrizione che Penelope mette alla prova Ulisse, confermando che è davvero suo marito, l’unico a conoscenza.
La scelta dell’olivo come fulcro del letto non è casuale. Nella cultura greca antica, l’olivo era un simbolo sacro, associato ad Atena e al radicamento, Atena, nella mitologia, rappresenta un elemento di saggezza, strategia e protezione, e svolge un ruolo importante nel sostenere Ulisse nel suo viaggio. grazie all’aiuto di Atena Ulisse riesce a trovare un equilibrio tra la sua natura errante e il suo desiderio di tornare alla propria terra. Ulisse è un personaggio in cui convivono la voglia di esplorare e la necessità di un legame stabile, e Atena incarna proprio questo supporto verso la riconciliazione di queste due tendenze.
Inoltre, il letto nuziale scolpito nell’olivo simboleggia un amore autentico, intessuto di memoria, fedeltà e complicità. Quando Penelope menziona il letto per verificare l’identità di Ulisse, la sua domanda diventa una sorta di rito di riconoscimento: connessione spirituale e intellettuale che trascende la mera apparenza fisica. Il letto, scolpito in un ulivo e ancorato alla terra, rappresenta la stabilità e l’intimità della loro unione, una base immutabile nel caos delle avversità. Questo gesto rivela non solo la conoscenza reciproca, ma anche una connessione profonda costruita su anni di fedeltà, attesa e complicità, un simbolo del loro legame indissolubile che va oltre il tempo e le prove affrontate.
“Donna, ben dolorose parole son queste che tu mi dici; chi mai rimosse il mio letto ben fatto? Difficile sarebbe stato anche ad un abile uomo, se non fosse un dio venuto in suo aiuto, di spostarlo facilmente: non c’è forza di uomo che lo faccia. Vedi, un segreto v’è nel letto ben fatto: io stesso lo costruii, nessun altro; dentro il cortile c’era un ulivo, ben cresciuto, alto e florido, come una colonna.” Omero, libro 23.
Dal talamo d’ulivo, radicato nel cuore della casa come un simbolo di stabilità e fedeltà, si apre l’orizzonte instabile del viaggio di Ulisse. Ulisse, re di Itaca, fu chiamato a mettere da parte la quiete del suo focolare e la dolcezza dell’abbraccio di Penelope, per rispondere al richiamo del dovere. L’obbligo verso la sua gente e il giuramento fatto agli altri re greci lo spinsero a lasciare le rive sicure della sua isola, un sacrificio che sapeva essere inevitabile per proteggere l’onore e la stabilità del mondo greco. Dietro di sé, Ulisse lasciò il talamo d’ulivo, scolpito con le sue mani, simbolo di radicamento e intimità. Ogni passo verso Troia lo allontanava da ciò che più amava, ma il peso della corona gli imponeva di affrontare quel viaggio. L’allontanamento da Penelope non fu solo una distanza fisica, ma anche il preludio di un lungo viaggio dell’anima, dove il re guerriero avrebbe dovuto costantemente scegliere tra il richiamo del dovere e il desiderio di tornare a quella pace che lasciava dietro di sé.
Quando Ulisse lasciò Itaca, non sapeva che il suo viaggio si sarebbe trasformato in un’odissea lunga vent’anni, né che il richiamo della guerra l’avrebbe allontanato da Penelope e Telemaco per un decennio intero. Il futuro davanti a lui era un mare aperto, incerto e inquieto, e il suo unico pensiero era di adempiere al dovere di re e alleato. Non poteva sapere che, dopo Troia, non sarebbe bastato tornare indietro: il suo destino lo avrebbe portato attraverso isole sconosciute e incontri inattesi, in un percorso costellato di tentazioni, prove e seduzioni. Circe, Calipso, Nausicaa… ognuna di queste donne era un enigma, un’ombra sul suo cammino di ritorno, e Ulisse non aveva alcuna mappa per guidarlo fuori da queste terre straniere. Tutto ciò che aveva era la memoria del suo talamo d’ulivo e il desiderio di tornare, un desiderio che non immaginava avrebbe dovuto difendere contro tante avversità.
Le donne che Ulisse incontrerà nel suo viaggio non sono semplici figure ma sono riflessi di ciò che egli cerca, teme o desidera. Penelope, Circe, Calipso e Nausicaa rappresentano quattro volti dell’esperienza umana: la fedeltà e la pazienza, il potere e la seduzione, l’amore vincolante e l’innocenza salvifica. Attraverso di loro, l’eroe non si limita a compiere il suo cammino, ma si confronta con i propri limiti, le proprie ambizioni e il suo cuore è un simbolo che parla di una lotta universale tra il desiderio e il dovere, tra la fuga e il ritorno.
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La prima donna che Ulisse incontrò lungo il suo viaggio di ritorno fu Circe, la maga dell’isola di Eea. Da un lato, è una figura ammaliante, capace di intrappolare Ulisse e i suoi uomini nella promessa di un piacere eterno e nella fuga dalle responsabilità. La sua magia è un richiamo potente che offre conforto e un rifugio dal caos del viaggio. Ma Omero non la presenta solo come una figura negativa; è anche una guida e un’insegnante per Ulisse, poiché gli permette di accedere a nuove conoscenze, come il viaggio nell’Ade.
Circe rappresenta il dualismo tra la seduzione e l’illuminazione. Quando i suoi uomini approdarono su quelle coste misteriose, furono attirati da Circe, il cui fascino magico e potere incantatorio trasformarono molti di loro in animali. Circe era l’incarnazione della tentazione: non solo offriva il piacere immediato e la dimenticanza, ma proponeva a Ulisse un rifugio dal tumulto del mare e dalle insidie del mondo. Circe, con i suoi incantesimi e la sua capacità di leggere i desideri nascosti di Ulisse, divenne per lui una sfida personale, una seduzione che minacciava di trattenere il suo spirito errante. Per un anno intero, Ulisse si lasciò cullare dai piaceri offerti da Circe, ma la sua promessa di aiutarlo a proseguire il viaggio e la consapevolezza del richiamo della sua casa lo spinsero infine a lasciare l’isola e continuare il cammino verso Itaca. Dopo aver lasciato l’isola di Circe, il viaggio di Ulisse lo condusse verso un’altra sfida.
Dopo una serie di avventure (tra cui il viaggio nell’Ade, l’incontro con le Sirene, Scilla e Cariddi, e la tragedia sull’isola del Sole), Ulisse naufraga sull’isola di Ogigia dove dimorava la ninfa Calipso. Calipso, il cui nome significa ‘colei che nasconde’, rappresenta un’altra forma di tentazione, forse ancor più insidiosa, perché avvolta dalla promessa di amore eterno e di immortalità. Ulisse naufragò sulle sue coste e fu accolto dalla ninfa con amore e devozione. Calipso si innamorò di lui e lo trattenne per sette lunghi anni, offrendogli non solo il proprio affetto, ma anche l’opportunità di divenire immortale, di sfuggire alle pene della mortalità e alle sofferenze del mondo umano.
Ma per quanto allettante fosse questa promessa, Ulisse non poté dimenticare la sua casa. Ogigia divenne per lui una prigione dorata, una condizione in cui il tempo si fermava, ma che, con il passare dei giorni, lo rendeva sempre più nostalgico. Calipso, con tutta la sua bellezza e il suo potere, incarnava la seduzione dell’oblio, la possibilità di lasciar perdere il passato e vivere una vita senza fine, ma senza radici.
Alla fine, furono gli dei a intervenire: Zeus inviò Ermes per convincere Calipso a lasciar andare Ulisse. Con riluttanza e dolore, la ninfa accettò, permettendogli di riprendere il mare. Calipso rappresenta, quindi, la più grande delle tentazioni: la possibilità di una felicità senza conflitti, una vita perfetta ma lontana da tutto ciò che definisce veramente Ulisse – il viaggio, la lotta, e soprattutto, il desiderio di tornare a Itaca, a Penelope e al figlio Telemaco.
Dopo giorni in balia delle onde, Ulisse si risvegliò tra la sabbia dell’isola dei Feaci, distrutto e debole. Mentre cercava riparo, sentì delle voci femminili, il suono cristallino di risate che interrompevano la quiete della spiaggia. Le voci appartenevano a Nausicaa, la giovane principessa, e alle sue ancelle, giunte lì per lavare i vestiti e trascorrere un momento spensierato.
Quando Ulisse uscì dal suo nascondiglio tra i cespugli, la sua figura, coperta di sale e alghe, apparve imponente e selvaggia. Le ancelle, spaventate, fuggirono gridando, ma Nausicaa rimase. In quel momento si rivelò il coraggio della principessa: invece di indietreggiare, si fermò, colpita da quel misterioso sconosciuto e dalla dignità delle sue parole. Ulisse, consapevole del suo aspetto spaventoso, si rivolse a Nausicaa con dolcezza e rispetto, elogiandone la bellezza e supplicando il suo aiuto.
Nausicaa, affascinata dalla cortesia di Ulisse e dal suo parlare regale, decise di offrirgli soccorso. Ordinò alle ancelle di procurare vesti pulite e lo invitò a seguirla al palazzo del padre, il re Alcinoo. Ulisse, guidato dalla giovane principessa, provò un senso di gratitudine e di speranza che non sentiva da molto tempo: Nausicaa, con il suo sguardo gentile e il cuore aperto, rappresentava una luce di speranza, la promessa di un aiuto disinteressato, un momento di tregua dopo tante sofferenze.
Nell’accoglienza della famiglia reale dei Feaci, Ulisse fu trattato con ogni onore, e fu proprio grazie alla generosità di Alcinoo e alla compassione di Nausicaa che poté finalmente riprendere il viaggio verso la sua amata Itaca. Nausicaa, con la sua purezza e il suo desiderio di fare del bene, divenne il simbolo di quella parte dell’umanità capace di gentilezza e solidarietà, anche nei confronti di uno straniero sconosciuto. Per Ulisse, ella rappresentò non una tentazione, come le altre donne che aveva incontrato, ma una vera ancora di salvezza, una figura che lo aiutò senza secondi fini, guidandolo con grazia verso la conclusione del suo viaggio.
Le figure di Circe, Calipso, Nausicaa e Penelope rappresentano archetipi universali che ritornano nella storia e nella mitologia, incarnando vari aspetti della femminilità e dell’amore che si contrappongono alle prove del viaggio dell’eroe. Da Circe, che simboleggia la seduzione del potere, a Penelope, che rappresenta la fedeltà del ritorno, tutte queste donne offrono una sfida o un sostegno essenziale, e trovano analoghi storici e mitologici che aiutano a illuminare il loro significato nella narrazione dell’Odissea.
Circe e Morgana sono entrambe maghe con poteri che vanno oltre quelli umani e capaci di trasformare e influenzare gli uomini. Come Circe, Morgana nella leggenda arturiana è una figura ambigua: può essere alleata o avversaria, incantatrice o liberatrice. Entrambe incarnano la seduzione e la conoscenza oscura, e rappresentano la tentazione di cedere alla magia e ai piaceri della vita, allontanandosi dai propri doveri. (dalla leggenda di Re Artù). Ancora Calipso può essere messa in relazione con Arianna, che aiutò Teseo a uscire dal Labirinto, ma che poi fu abbandonata sull’isola di Nasso. Entrambe le figure si innamorano di un eroe e sono lasciate indietro. Arianna è abbandonata dopo aver fornito un aiuto fondamentale a Teseo, mentre Calipso è costretta a lasciar andare Ulisse nonostante il desiderio di trattenerlo con sé per sempre. Entrambe rappresentano la fragilità dell’amore non corrisposto e il dolore dell’abbandono. E come dimenticare Cleopatra, la regina d’Egitto che affascinò Giulio Cesare e Marco Antonio con il suo carisma, la sua astuzia e il suo potere. Come Circe, Cleopatra rappresentava la seduzione unita alla forza di carattere, capace di influenzare grandi uomini e di cambiare il corso della loro vita. Entrambe usano l’intelligenza e il fascino come strumenti di controllo, creando un legame con i protagonisti della storia che va oltre il semplice incontro.
Calipso e Didone entrambe condividono la stessa tragedia dell’amore non corrisposto. Come Calipso trattiene Ulisse nella sua isola, Didone tenta di trattenere Enea a Cartagine, offrendogli amore e una nuova vita lontana dalle sue responsabilità. Entrambe le figure femminili offrono agli eroi un rifugio sicuro e un amore eterno, ma alla fine devono lasciarli partire affinché possano compiere il loro destino. In questo senso, rappresentano l’ostacolo che blocca il ritorno o la realizzazione di una missione più alta. (dall’Eneide di Virgilio)
Nausicaa e Beatrice rappresentano entrambe figure di purezza e di guida. Nausicaa aiuta Ulisse a riprendere il suo viaggio verso casa con gentilezza e innocenza, senza alcuna pretesa. Allo stesso modo, Beatrice è il simbolo di una purezza spirituale che guida Dante attraverso il Paradiso. Entrambe le figure incarnano l’ispirazione e la bontà che spingono gli eroi a continuare il loro viaggio con speranza e rinnovato vigore, mostrando un amore che è altruistico e spirituale, privo di possesso. (dalla “Divina Commedia” di Dante Alighieri). Senza peccare di blasfemia Nausicaa può essere paragonata alla Vergine Maria nella tradizione cristiana per il suo ruolo di guida e intercessione. Come Maria è considerata una figura di purezza e compassione, pronta ad aiutare e guidare chi si trova in difficoltà, anche Nausicaa, con il suo gesto disinteressato, rappresenta la bontà altruista e l’accoglienza verso uno sconosciuto. Entrambe le figure non chiedono nulla in cambio, offrendo assistenza solo per il bene dell’altro.