Il primo uomo a portare nel corpo le ferite di Cristo: storia e significato di un evento che ha cambiato per sempre la spiritualità cristiana.

LE STIMMATE DI SAN FRANCESCO

Il segno visibile dell’invisibile

Nel settembre del 1224, sul Monte della Verna, San Francesco ricevette le Stimmate:

un episodio mistico senza precedenti, diventato fulcro di fede, arte e narrazione spirituale per secoli.

Redazione Inchiostronero

Quando un’esperienza mistica diventa evento storico, simbolo religioso e archetipo letterario. Le Stimmate di San Francesco d’Assisi rappresentano uno degli episodi più singolari e discussi della storia del Cristianesimo. Mistica e testimonianza si intrecciano in un evento che ha segnato profondamente la spiritualità medievale e la memoria collettiva. Questo saggio ripercorre l’origine storica del fenomeno, il suo significato teologico e simbolico, e il modo in cui esso è stato tramandato, rappresentato e reinterpretato fino a oggi. Attraverso fonti dirette, come la Vita Prima di Tommaso da Celano e la Legenda Maior di San Bonaventura, e riflessioni moderne, analizzeremo perché le Stimmate di Francesco continuino a esercitare un fascino profondo anche nel mondo contemporaneo.


Nel settembre del 1224, durante un ritiro spirituale sul Monte della Verna, nel cuore dell’Appennino toscano, Francesco d’Assisi ricevette le Stimmate: cinque ferite che replicano nel suo corpo quelle della Passione di Cristo. L’evento, documentato con insistenza dalla tradizione francescana e riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa, segna l’inizio di un nuovo paradigma nella mistica cristiana: la santità incarnata, visibile, sanguinante.

Monte della Verna San Francesco riceve le Stimmate

Quel momento, avvenuto in un’epoca già profondamente segnata da fermenti religiosi e riformatori, rappresenta non solo un’esperienza spirituale personale, ma un atto teologico. Nessuno, nei secoli precedenti, era mai stato descritto come portatore dei segni visibili della Crocifissione. Eppure, nella vita di Francesco, tutto sembrava preparare quel vertice: la scelta radicale della povertà, l’amore per la creazione, la fraternità come forma di Vangelo vissuto. Le Stimmate non giungono come premio finale, ma come ultima tappa di una trasfigurazione continua.

È interessante notare che il contesto storico in cui questo accade è quello di una Chiesa gerarchica e ancora ferita dalle tensioni interne: tra istituzione e profezia, tra potere e povertà evangelica. Francesco, pur fedele alla Chiesa, rappresenta una voce marginale, in certo senso profetica, che rivendica il ritorno all’essenza del Vangelo. In questo clima, il segno ricevuto sul corpo assume anche una valenza politica e riformatrice: il santo che “porta le ferite di Cristo” è anche colui che mette in discussione lo status quo ecclesiastico.

San Francesco riceve le stimmate
Ludovico Cardi detto il Cigoli (1559 –1613)

La narrazione delle fonti insiste sull’elemento straordinario. Secondo Tommaso da Celano, le mani e i piedi erano traforati come da chiodi: si vedevano gli orifizi circolari, attraverso i quali si poteva guardare da parte a parte”. Il linguaggio usato è fortemente realistico, quasi clinico, eppure mai privo di un alone teologico. Il corpo ferito non è solo prova, è predicazione. Come annota Frate Elia nella sua lettera ai confratelli subito dopo la morte del santo: “Felice colui che può vedere ciò che io ho visto con questi occhi carnali”.

Anche il simbolo che accompagna la visione è pregnante. Il Serafino crocifisso, descritto nella Legenda Maior come figura a sei ali e luminosa, è teologicamente denso: i Serafini sono, nella gerarchia angelica di Dionigi l’Areopagita, gli spiriti che ardono d’amore puro. Francesco riceve dunque le Stimmate non da Cristo direttamente, ma da un’immagine intermedia, che fonde crocifissione e carità. È una visione che trasmette non solo dolore, ma fuoco, trasporto, “ardore che ferisce”. Come scriverà secoli dopo un altro mistico, San Giovanni della Croce: “O fiamma d’amor viva, che dolcemente ferisci la mia anima nel più profondo centro…”

La visione non è esterna a Francesco: accade in lui. Le ferite, secondo le fonti, non furono imposte dall’esterno, ma sorsero da dentro. Non sono stigmate fisiche come punizione, ma epifanie interiori che prendono corpo. È qui che la teologia medievale mostra la sua sofisticatezza: il corpo non è più strumento secondario, ma superficie teofanica, luogo in cui Dio si scrive. L’imitatio Christi non è solo morale, ma somatica.

Quando Bonaventura descrive l’evento, usa immagini che uniscono mistica e anatomia: “Francesco fu segnato nel corpo come lo era già nel cuore”. Il legame tra interiorità e manifestazione esterna è il nucleo della mistica cristiana più alta: quella che cerca l’unione totale, non la mera osservanza.

L’evento fu presto recepito non solo nella predicazione e nella liturgia, ma anche nell’arte figurativa. I cicli pittorici di Giotto nella Basilica superiore di Assisi rappresentano il momento della stigmatizzazione come vertice narrativo della vita del santo. In un affresco, si vede il raggio che parte dal Serafino e colpisce Francesco in pieno petto. L’arte, in questo caso, non solo interpreta il miracolo: lo rende visibile alla devozione popolare, sostituendo l’assenza del corpo con la sua immagine.

Le Stimmate entrarono anche nella poesia e nella teologia popolare. Jacopone da Todi, nella sua Lauda della Croce, canta “quelle piaghe amate che ‘l cor ferite m’hanno”. Persino Dante, nel Paradiso XI, dedicando il canto a San Francesco, allude al segno delle Stimmate come sigillo d’amore. E nei secoli successivi, ogni caso di mistica corporale si riferirà implicitamente al modello francescano: da Santa Caterina da Siena a Padre Pio, da Veronica Giuliani a Gemma Galgani.

Ma cosa ci dice oggi questo evento? In un tempo in cui la ferita è nascosta, negata, anestetizzata, il corpo stigmatizzato di Francesco è una sfida. Ci dice che la ferita può essere feconda, che il dolore può essere luogo di senso, che la sofferenza, lungi dall’essere uno scarto, può diventare parola viva. E forse ci invita anche a pensare il nostro corpo — ferito, vulnerabile, esposto — non solo come ostacolo, ma come possibile segno.

Nel mondo contemporaneo, in cui l’identità si costruisce attraverso immagini curate e illusorie, il corpo piagato di Francesco parla con voce altra. Non si mostra per piacere, ma per testimoniare. Non si adorna, ma si offre. Non seduce, ma interroga. Le Stimmate, in questo senso, sono una contro-iconografia: non corpo perfetto, ma corpo che racconta il dolore del mondo.

Seconda parte 

Il significato delle Stimmate, nella vita di Francesco, non si esaurisce nella mistica personale: ha ricadute storiche, ecclesiali, politiche. La Chiesa, che pure guardava con cautela ai fenomeni carismatici e visionari, si trovò dinanzi a un evento tanto straordinario quanto carico di conseguenze dottrinali. Papa Gregorio IX, che aveva conosciuto Francesco in vita, procedette con una canonizzazione fulminea: avvenne nel 1228, a soli due anni dalla morte, seguita dalla costruzione della basilica di Assisi e dalla stesura di biografie ufficiali. L’intento era chiaro: stabilire un modello di santità conforme all’ortodossia, ma anche capace di parlare al cuore del popolo.

In questo contesto, l’autenticazione delle Stimmate divenne cruciale. Non era solo questione di fede privata, ma di dottrina pubblica. Gregorio IX confermò ufficialmente che Francesco aveva portato nel corpo le piaghe di Cristo, e ordinò che il fatto fosse ricordato nella liturgia. In questo modo, le Stimmate diventarono dogma implicito e simbolo visivo: elemento che consolidava il prestigio dell’Ordine francescano nascente e, allo stesso tempo, offriva alla cristianità un nuovo modello di santità incarnata.

Ma questa ufficializzazione sollevò, nel tempo, anche critiche e resistenze. Alcuni ambienti teologici, già nel XIII e XIV secolo, si chiesero se fosse lecito attribuire a un uomo le stesse ferite di Cristo. Il timore era quello di un eccesso: una divinizzazione indebita della figura del santo. Alcuni spirituali si spinsero fino a sostenere che Francesco era un “alter Christus” non solo in senso mistico, ma quasi ontologico. La Chiesa, pur riconoscendo la straordinarietà dell’evento, mantenne sempre una certa prudenza interpretativa: Francesco era immagine di Cristo, ma non il suo doppio.

Questa tensione tra eccesso mistico e controllo dottrinale è tipica della spiritualità medievale. Lo ricorda anche Michelina Tenace, teologa contemporanea, quando osserva che “la teologia delle Stimmate ha sempre oscillato tra fascinazione e censura, tra venerazione e sospetto”. Da un lato, le piaghe di Francesco attiravano il popolo, ispiravano i predicatori, alimentavano la pietà popolare. Dall’altro, rischiavano di sfuggire ai confini del simbolico e diventare pericolose se intese in senso letterale assoluto.

E tuttavia, proprio questa ambivalenza rende le Stimmate un evento storico in senso pieno: non solo qualcosa che è accaduto, ma qualcosa che ha prodotto effetti. Le piaghe del corpo di Francesco si sono riversate nel corpo della Chiesa, modificandone l’immaginario e la grammatica del sacro. Non si tratta solo di una pagina di agiografia, ma di una svolta nella teologia implicita del corpo e del dolore. Il Cristo che sanguina in Francesco è lo stesso che, nella pietà popolare, viene adorato nei crocifissi gotici, nelle laudi, nelle processioni del Venerdì Santo.

Si potrebbe dire, con André Vauchez, che le Stimmate “riportano la Passione al presente, la fanno accadere di nuovo, in una carne viva, in una cella nascosta di un eremo”. È questa l’intuizione che attraversa i secoli: la Passione non è finita, ma continua nel corpo dei santi, dei poveri, degli amanti di Cristo.

E anche per questo l’immaginario delle Stimmate ha attraversato tutta la modernità. Pensiamo a Padre Pio, il frate di Pietrelcina, che nel XX secolo ha riportato nel cuore dell’Italia postbellica l’enigma delle piaghe: accettate da milioni di fedeli, ma osteggiate da scienziati, medici, persino da settori ecclesiastici. Il parallelo è evidente: come Francesco, anche Padre Pio è vissuto tra l’accusa di frode e la venerazione incondizionata. Come Francesco, è stato esaminato, sorvegliato, difeso. Ma la sua fama ha travalicato ogni confine. Ancora oggi, le Stimmate di Padre Pio richiamano milioni di pellegrini a San Giovanni Rotondo, nel segno di una ferita che guarisce, di un dolore che consola.

Sorge allora una domanda legittima: come intendere oggi le Stimmate, in un’epoca che diffida del soprannaturale, che cerca spiegazioni psicologiche o mediche per tutto? Alcuni studiosi moderni hanno ipotizzato spiegazioni psicosomatiche: le piaghe come manifestazione estrema di un’auto-identificazione spirituale, una sorta di somatizzazione del desiderio mistico. Altri parlano di isteria religiosa, di suggestione collettiva, di autolesionismo inconscio.

Ma è davvero questa la domanda giusta? Spiegare, in senso medico, un’esperienza simbolica rischia di cancellarne il senso profondo. Come ha scritto Raimon Panikkar, “non tutto ciò che è reale è dimostrabile, e non tutto ciò che è spiegabile è vero”. Le Stimmate appartengono a quella zona liminale dell’esperienza umana in cui il corpo, l’anima, il simbolo e il mistero si intrecciano. Non si tratta di verificarle, ma di chiedersi cosa raccontano, cosa evocano, cosa ancora significano.

Oggi, forse più di ieri, abbiamo bisogno di riscoprire un linguaggio del corpo che non sia ridotto a oggetto di consumo, ma luogo di rivelazione. In questo senso, il corpo ferito di Francesco è ancora profetico: ci dice che si può amare fino a lasciarsi segnare, che il dolore può diventare comunione, che il limite può essere benedizione.

Conclusione – La ferita che parla

Ciò che sorprende, oggi come ieri, non è tanto la possibilità che un uomo riceva delle ferite sul corpo in circostanze misteriose, ma il significato che quelle ferite assumono nella memoria collettiva. Le Stimmate di San Francesco non sono un’anomalia biologica, ma un evento teologico e antropologico. Raccontano l’anelito dell’essere umano a un’unione che non sia solo intellettuale, ma totale, incarnata. Il dolore, così spesso demonizzato o nascosto nella cultura contemporanea, viene qui redento come canale di comunione.

Ci siamo abituati a pensare il corpo come qualcosa da modellare, controllare, migliorare. Ma le Stimmate ci riportano a un’altra logica: quella del corpo vulnerabile, offerto, non perfetto ma fecondo, attraversato da un senso che lo oltrepassa. Francesco non è ferito per caso. È ferito per amore. E in quell’amore la carne diventa parola, segno, sacramento.

Non c’è dubbio che le Stimmate abbiano suscitato scetticismo, anche legittimo. Ma forse, più che chiederci come siano avvenute, dovremmo chiederci perché continuano a commuoverci. È questo che fa di un evento mistico un evento storico: la sua capacità di rimanere vivo, interrogante, provocatorio. Le piaghe sul corpo del Poverello non sono solo un segno del passato, ma una grammatica possibile per leggere il presente.

Forse, nel tempo della distrazione e dell’indifferenza, abbiamo ancora bisogno di qualcuno che ci mostri che si può essere attraversati dal dolore senza esserne annientati. Che l’identità più profonda non si costruisce nel successo, ma nella capacità di amare fino a sanguinare. Francesco non è solo un santo del Medioevo. È una ferita che parla. E oggi, ancora, ci riguarda.

Uno sguardo sulla mistica femminile

L’eredità spirituale delle Stimmate non si esaurisce nella figura di Francesco. Nei secoli successivi, numerose mistiche, soprattutto donne, testimonieranno esperienze analoghe: visioni, piaghe, identificazione con la Passione. Santa Caterina da Siena, nel XIV secolo, riceve le Stimmate in forma invisibile: “le piaghe erano nel cuore, ma non apparivano nella carne”, come annota il suo confessore Raimondo da Capua. In lei, la sofferenza si unisce alla missione politica e profetica: è una donna ferita che parla ai papi, ai re, alla Chiesa intera.

Alessandro franchi e Luisa Mussini, Stimmate di santa Caterina da Siena. “le piaghe erano nel cuore, ma non apparivano nella carne”, come annota il suo confessore Raimondo da Capua.

Angela da Foligno, contemporanea di Dante, racconta in prima persona esperienze di unione mistica con Cristo crocifisso. Nei suoi Memoriali, scrive: “Vidi le piaghe, le amai, le chiesi, e le sentii in me”. Non c’è compiacimento nel dolore, ma una tensione amorosa, struggente. La ferita non è mai fine a se stessa: è passaggio, trasformazione, apertura.

Queste figure femminili — e si potrebbe aggiungere Veronica Giuliani, Gemma Galgani, Teresa Neumann — dimostrano che le Stimmate non sono un evento confinato al maschile o a un’epoca remota. Sono una possibilità simbolica, una chiamata universale alla compassione e alla donazione. In loro, il corpo mistico non è solo simbolo, ma luogo vissuto di unione con il divino. Una via che passa per la carne, ma si apre al cielo.

Appendice – Cosa sappiamo con certezza storica sulle Stimmate di San Francesco

La domanda è cruciale, e ogni indagine seria sul fenomeno delle Stimmate non può eluderla: cosa possiamo davvero affermare con certezza storica?

I fatti accertabili

San Francesco si ritirò effettivamente sul Monte della Verna nell’estate del 1224. Questo è attestato da documenti e testimonianze interne all’Ordine francescano. Lì visse un periodo prolungato di preghiera, digiuno e isolamento, secondo una pratica spirituale consolidata nella sua vita. Al termine di quel ritiro, i suoi compagni – a partire da Frate Leone – riferirono l’apparizione di segni straordinari sul suo corpo, descritti come piaghe nelle mani, nei piedi e nel costato.

Le principali fonti che riferiscono l’evento sono:

  • La Lettera di Frate Elia (1226): prima testimonianza scritta, inviata all’Ordine subito dopo la morte del santo.
  • La Vita Prima di Tommaso da Celano (1228–29): prima biografia ufficiale, commissionata da Papa Gregorio IX.
  • La Legenda Maior di San Bonaventura (1263): sintesi teologica e spirituale della figura di Francesco.
  • La Bolla di canonizzazione di Gregorio IX (1228): il Papa conferma ufficialmente le Stimmate come segno miracoloso.

Non esistono, come prevedibile, prove scientifiche, né descrizioni medico-legali. Tuttavia, è significativo che nessuna voce contraria emerga nei primi decenni dopo la morte del santo, nemmeno tra i critici del movimento francescano. Questo silenzio conferisce un peso ulteriore alla coerenza delle fonti interne.

Perché proprio con Francesco?

L’interpretazione teologica è che Francesco, più di ogni altro, desiderava essere trasformato in Cristo – non solo nell’anima, ma nel corpo. Come dice la Legenda Maior:
“Egli ardeva d’amore per il Crocifisso e meritò di essere trasformato nell’immagine di Lui”.

In chiave storica, possiamo dire che le Stimmate di Francesco segnano l’inizio di una nuova fase nella mistica cristiana, quella in cui il corpo stesso diventa luogo della teofania, della manifestazione divina. È un passaggio decisivo nella spiritualità occidentale.

Nessun caso precedente documentato

Dal punto di vista storico e agiografico, San Francesco è il primo caso conosciuto di Stimmate visibili nella tradizione cristiana. Nei secoli precedenti, pur nella ricchezza del misticismo antico e patristico, non si registra alcuna testimonianza di piaghe spontanee riconosciute come segni della Passione.

La spiritualità cristiana dei primi secoli poneva al centro il martirio, la continenza, l’ascesi: mai si giunse a una riproduzione fisica dei segni di Cristo. Francesco inaugura, dunque, una nuova sensibilità spirituale e antropologica, in cui la carne diventa il luogo del divino.

Interpretazioni

Secondo la teologia medievale, le Stimmate sono un sigillo d’amore, la prova della conformazione totale del santo a Cristo. Come scrive Bonaventura:

“L’amore lo trasformò in colui che amava”.

Alcuni studiosi moderni hanno ipotizzato interpretazioni naturalistiche o psicosomatiche. Ma qualunque spiegazione razionale si scelga, resta evidente che le Stimmate di Francesco non sono un fenomeno isolato, ma un evento fondativo. Hanno dato forma a una nuova modalità di vivere e raccontare l’esperienza spirituale: quella in cui il corpo stesso diventa testimone.

Echi letterari e artistici di Francesco d’Assisi

La figura di Francesco ha generato un’eco straordinaria non solo nella spiritualità e nella teologia, ma anche nell’immaginario culturale, letterario e artistico dell’Occidente. La sua vita — breve, intensa, teatrale — si è prestata da subito a una narrazione mitopoietica. Uomo di Dio e giullare della natura, predicatore tra i lupi e compagno degli uccelli, Francesco è diventato un archetipo poetico e visivo.

L’arte: dal simbolo all’icona

I primi echi artistici nascono già nel XIII secolo. L’Ordine francescano, consapevole della forza comunicativa dell’immagine, sostiene attivamente la diffusione della figura del santo attraverso l’arte sacra.

  • Cimabue, nella Basilica di Assisi, dipinge una delle prime rappresentazioni canoniche di Francesco: il santo in piedi, benedicente, con le Stimmate visibili, volto ascetico ma sereno.

  • Il ciclo più celebre resta però quello di Giotto, nella Basilica superiore di San Francesco. Ventotto affreschi che narrano la sua vita con realismo narrativo e profondità simbolica: la rinuncia agli averi, la predica agli uccelli, la stigmatizzazione. Giotto trasforma la leggenda in racconto epico. L’arte diventa evangelizzazione per immagini, e Francesco assume i tratti di un personaggio biblico.

  • Nei secoli successivi, il tema delle Stimmate diventa uno dei soggetti più raffigurati: da El Greco a Caravaggio, da Tiepolo a Zurbarán, la figura di Francesco inginocchiato sotto il Serafino si impone come icona visiva della mistica cristiana

♣♣♣

La letteratura: dalla lode alla risonanza moderna

Già nel Paradiso dantesco, Francesco è inserito nel canto XI come “sole” dell’Umbria:
“Non fu il secondo dopo il primo amore” – lo colloca immediatamente dopo Cristo, in una scala mistica e affettiva.

Nel Trecento e Quattrocento, Francesco ispira la poesia devota, le Laudi, i racconti agiografici. Ma è con l’Umanesimo e oltre che il santo diventa figura esistenziale, più che semplicemente religiosa.

  • Giovanni Pascoli lo tratteggia come poeta della natura, anima sensibile e universale.
  • Hermann Hesse lo esalta come rivoluzionario gentile, eroe dell’armonia con il cosmo.
  • G. K. Chesterton, nel suo brillante saggio San Francesco d’Assisi, scrive:
    • “Se san Tommaso d’Aquino fu la mente della cristianità medievale, Francesco fu il cuore”.

Nel Novecento, il cinema e la poesia riprendono Francesco in chiave ora contemplativa, ora polemica.

  • In Rossellini (1950) è il santo neorealista.
  • In Zeffirelli (1972), diventa il giovane idealista che sfida la ricchezza e la guerra.
  • In Yves Bonnefoy, poeta francese del XX secolo, Francesco è “colui che disarma il linguaggio”, che rompe la distanza tra l’uomo e la luce.

Una figura riflessa nel tempo

Francesco continua ad attrarre perché è, nel profondo, una figura dialogica: parla con la terra, con gli animali, con il Vangelo, con il suo tempo e con il nostro. Per questo, continua a essere reinterpretato, reinventato, riscritto. È un santo che non si lascia chiudere, che resiste alla riduzione moralistica o devozionale.

La sua immagine — stimmatizzata, emaciata, luminosa — è diventata una delle icone più riconoscibili della cultura cristiana, ma anche uno degli emblemi spirituali più trasversali, capaci di ispirare cristiani, agnostici, mistici, ambientalisti, poeti e artisti.

In un tempo che cerca ancora simboli di gratuità, di empatia radicale, di comunione col vivente, Francesco continua a essere evocato non solo come modello di santità, ma come risposta estetica e profetica all’indurimento del mondo.

Riccardo Alberto Quattrini

 

 

 

 

 

 

Bibliografia commentata

  • Tommaso da Celano, Vita Prima di San Francesco d’Assisi (1228–29)
    Prima biografia ufficiale del santo, commissionata da Papa Gregorio IX. Fonte fondamentale per il racconto delle Stimmate. Lo stile è sobrio ma coinvolto, e resta un documento storico insostituibile.
  • San Bonaventura, Legenda Maior (1263)
    Testo più teologico e “scolastico” rispetto a Celano. Interpreta la vita di Francesco in chiave simbolica e agiografica. Il linguaggio è ricco di riferimenti biblici e misticheggianti.
  • Lettera di Frate Elia (1226)
    Documento coevo e toccante: Elia, successore di Francesco, comunica a tutto l’Ordine l’evento delle Stimmate. È una fonte “calda”, più pastorale che storica, ma preziosa per cogliere la reazione immediata.
  • Gregorio IX, Bolla di canonizzazione di Francesco d’Assisi (1228)
    Atto solenne in cui il Papa riconosce ufficialmente le Stimmate come miracolose. È un testo breve, ma di peso dottrinale e istituzionale.
  • Chiara Frugoni, Vita di un uomo: Francesco d’Assisi, Einaudi
    Uno dei saggi storici più autorevoli e accessibili sul santo. L’autrice analizza le fonti con rigore e sensibilità, decostruendo il mito senza privarlo della sua forza.
  • André Vauchez, Francesco d’Assisi. Tra storia e memoria, Laterza
    Un grande medievista che riflette sul Francesco storico e sul Francesco simbolico. Utile per comprendere la costruzione della memoria francescana nel tempo.
  • Michelina Tenace, Il segno delle stimmate, Cittadella Editrice
    Opera teologica che riflette sul significato simbolico e spirituale delle Stimmate. Approccio contemporaneo, adatto a chi cerca chiavi di lettura attuali.
  • Raoul Manselli, San Francesco. Vita e scritti, Mondadori
    Una biografia compatta ma densa, con ottima traduzione dei testi originali. Fondamentale per chi vuole confrontare le varie testimonianze in modo critico.

 

 

 

 

In tutte queste opere, il corpo del santo è sempre centrale: non glorioso, ma fragile, toccato dalla luce o dal fuoco. È il corpo che parla, che patisce, che ama. È il corpo teologico per eccellenza.

Maestà di Assisi, Cimabue (1285-1288) Tecnica affresco. Dimensioni 320×340 cm Ubicazione Basilica inferiore di San Francesco, Assisi
Gli affreschi di Giotto nella Basilica superiore di Assisi: con video
San Francesco in estasi Michelangelo Merisi da Caravaggio (1594-1595)Ubicazione Wadsworth Atheneum, Hartford (Connecticut)


 

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