Potremmo chiamarla la rivoluzione dei droni

L’ERA DEI DRONI SFIANCA L’OCCIDENTE


Mi rendo conto di rischiare la noia del lettore parlando di cose militari, eppure proprio l’attacco iraniano di qualche giorno fa, può chiarire molte cose riguardo alla guerra moderna, all’Ucraina e allo Yemen che tiene in scacco le forze della Nato, molto più potente almeno sulla carta. Potremmo chiamarla la rivoluzione dei droni che stanno cambiano tutto. Ma andiamo per ordine e vediamo come si è concretizzata la risposta dell’Iran a Israele che aveva bombardato l’ambasciata di Teheran a Damasco. Una risposta, lo ripeto ( vedi qui e qui ) di fatto simbolica, ma al tempo stesso con un preciso significato militare.

A parte i sette missili ipersonici usati per colpire le due basi aree israeliane e altre installazioni militari che non sono stati intercettati da nessuno, nonostante il folle uso di Patriot e che se avessero portato delle atomiche avrebbero trasformato Israele in una landa vetrificata (cosa che la stupida informazione occidentale trascura di far notare), il resto dell’attacco è stato portato da vecchi droni Shahed. Si tratta di mezzi molto economici la cui parte più costosa è quella elettronica: la cellula è di polistirolo, il serbatoio del carburante è praticamente una bottiglia di plastica, mentre il motore è un piccolo due tempi cinese con una durata di poche ore. Volano piuttosto lentamente (sotto i 200 chilometri ora), non raggiungono quote alte e tendono a dondolare e ondeggiare piuttosto che seguire un percorso rettilineo, soprattutto se il vento è raffica. Paradossalmente questo li rende molto difficili da abbattere proprio perché non si può essere certi della traiettoria. E tuttavia occorre intercettarli perché non si tratta di giocattoli, portano con sé 50 chili di esplosivo sufficienti a devastare molte strutture, a distruggere un carro armato o una postazione antiaerea.  Questo finisce per saturare le difese che debbono lanciare missili assai più costosi dei droni stessi per cercare di tirali giù.

Il fatto è che dopo un attacco intenso di questo tipo le forze antiaeree e antimissilistiche non possono più reagire a un secondo attacco. La saturazione delle difese attraverso droni di costo minimo è ora la tattica centrale contro le grandi e costose concentrazioni militari, tipo quello della Nato. E c’è poi il discorso economico da fare: esperti militari hanno stimato che l’intera operazione sia costata all’Iran nell’ordine di 50 milioni di dollari; d’altro canto, i militari statunitensi hanno fatto sapere che la loro missione di difesa aerea è costata circa un miliardo di dollari, mentre nel complesso (compresi i razzi usati da Israele) il costo è probabilmente superiore ai 2 miliardi di dollari. Ciò rende il rapporto di spesa di 1:40 a favore dell’Iran. Considerando che l’economia iraniana era 15 volte più grande di quella israeliana prima del 7 ottobre 2023 ed è ora 20 volte più grande si arriva all’inevitabile conclusione che Israele non può continuare così. Si potrebbe pensare che gli Usa possano assorbire questi costi enormi, ma poi c’è la spirale mortale del debito da tenere a mente: una pila di debito delle dimensioni di un terzo dell’economia americana deve essere rinnovata nei prossimi anni. Chiunque pensi che gli Stati Uniti possano ancora essere un alleato affidabile per qualcuno non è poi così sveglio.

Tutto questo porta a una conclusione; non ci sarà una risposta israeliana, perché gli stessi Usa che si sono dissanguati per l’Ucraina, non vogliono più sostenere le spese miliardarie per l’allargamento del conflitto.

Redazione

 

 

 

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