In un mondo dominato dall’ideologia climatica, la realtà scompare dietro slogan e profezie fallite. Il clima diventa pretesto, e la scienza una scenografia al servizio del potere.

L’ERA DEL DADAISMO CLIMATICO

Il Simplicissimus

L’era della razionalità ecologica è finita. Al suo posto, si è instaurato un vero e proprio dadaismo climatico, in cui il senso è sacrificato alla propaganda, la scienza alla burocrazia, e la verità all’ideologia. Sotto il paravento dell’emergenza ambientale si consuma uno dei più grossolani inganni del nostro tempo: un sistema che, in nome del “clima”, crea consenso, produce profitto, genera carriere, e soprattutto alimenta il bisogno sistemico del capitalismo di colonizzare nuovi settori di accumulazione. Come per i dogmi pandemici, anche in questo caso non si tollerano revisioni né autocritiche: la macchina è troppo grande per ammettere il proprio errore. E così si continua a parlare di “cambiamento climatico” – concetto così vago da essere inconfutabile – mentre i dati reali, come quelli sull’Antartide, mostrano dinamiche molto più complesse e persino contraddittorie rispetto alla narrazione catastrofista. Questo pezzo smonta i pilastri retorici di una fede verde che ha perso ogni contatto con la realtà, rivelandone i meccanismi di potere, le incongruenze e le motivazioni inconfessabili. (f.d.b.)


La farsa climatica ha assunto ormai il carattere della presa in giro, che diventa tanto più grossolana quanto più le persone sembrano disposte a farsi menare per il naso per semplice ignavia o per adesione ideologica, il che implica una certa indifferenza alla menzogna purché a fin di bene o di qualcosa che si crede vagamente tale. Del resto, è difficile tirarsi indietro in questo disperato tentativo del capitalismo finanziario di trovare nuovi campi di accumulazione: troppe burocrazie, troppi gruppi di ricerca, troppe carriere, troppi partiti rischiano di essere compromessi e così, come accade con i vaccini, c’è un’accanita resistenza a scoprire il proprio imbroglio e una riluttanza ancor maggiore da parte delle vittime ad ammettere di essersi sbagliate. Eppure, le cose sono chiare e il fatto stesso che non si parli più di riscaldamento globale, ma di cambiamento climatico che è la mera normalità delle cose, dovrebbe instillare più di un dubbio. Dico chiare perché anche le più fosche previsioni – non parlo ovviamente dell’informazione mainstream che non ha più paura né della menzogna sfacciata, né del grottesco – non giustificano affatto l’urgenza che viene asserita.

Prendiamo, ad esempio, l’Antartide(1) che viene spesso citata come il luogo dell’Armageddon perché lo scioglimento della sua immensa calotta di ghiaccio porterebbe ad un deciso aumento dei livelli dei mari inghiottendo tutte le città costiere. È una previsione che sentiamo fare da mezzo secolo e che viene via via rimandata, esattamente come accade per la fine del mondo immaginata dalle sette più folli, ma che non si verificherà: un nuovo studio dimostra che la calotta glaciale antartica ha subito un inaspettato aumento di massa tra il 2021 e il 2023. I ricercatori della Tongji University, guidati dal dottor Wei Wang e dal professor Yunzhong Shen, hanno documentato queste fluttuazioni utilizzando i dati delle missioni satellitari Grace (Gravity Recovery and Climate Experiment) e Grace-Fo. Come si può vedere dal grafico qui sotto, dopo un declino a partire dall’inizio del secolo adesso c’è una vigorosa ripresa.

Il clima appunto cambia ciclicamente e queste variazioni non trovano spazio nelle teorie catastrofiste che si trovano a dover giustificare l’aumento della CO2 in atmosfera e nello stesso tempo effetti contrari a quelli previsti. Ma se andiamo a leggere le previsioni più spinte e costruite su modellazioni che danno risultati “à la carte”, scopriamo che la previsione più cupa riguarda la perdita di 100 giga tonnellate all’anno di ghiaccio (in sostanza la media dal 2002 al 2019), ovvero dello 0,00041% della massa totale, cifra ben al di sotto del margine di errore e dunque puramente indicativa. Anche ammesso che ci sia questa continua perdita di ghiaccio, cosa peraltro smentita dai dati, ci vorrebbero 300.000 anni prima che tutta la calotta si consumi. È un periodo di tempo dove ci stanno comodamente tre glaciazioni e che comunque costituisce un’era in cui trova posto 60 volte tutta la storia e la protostoria umana dall’età della pietra ad oggi. Come si faccia da questo a dire che l’aumento del livello marino possa essere di 15 metri entro il 2300 è un mistero, tanto più che anche i ghiacci artici tendono a recuperare. Anzi non è un mistero, è una totale fantasia e uno dei più limpidi esempi di perdita dell’integrità scientifica.

È tutta manna per l’informazione generalista che spara cazzate a più non posso sul drammatico innalzamento dei mari di diversi metri in breve tempo, quando gli stessi panel di catastrofisti liquidano queste fantasie come “scarsamente affidabili”. Tuttavia il giornalista Mark Poynting, uno dei principali attivisti della BBC per il programma Net Zero, dice che è così che si fa per creare paura e costringere moralmente le persone ad aderire ai programmi per la decarbonizzazione che comprendono l’utilizzo massiccio di materiali ad alto impatto ambientale e di tecnologie altrettanto invasive, ma tecnologicamente immature, oltre che, guarda caso, anche stretti controlli sulla mobilità, sui consumi, sulle scelte nel quadro di un impoverimento generale. L’unica cosa che sale di livello non sono i mari, ma le disuguaglianze.

Redazione

 

 

 

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